Quando il governo ha rigurgitato il testo della proposta di riforma della Costituzione, altrimenti detto del premierato, abbiamo ritenuto opportuno che la nostra riflessione si interrogasse sulle capacità professionali dell’autrice di tanta magnificenza. La Ministra per le riforme istituzionali è un prodotto nella scuola giuridica dell’Università di Ferrara, già nota come ricercatrice di un ex ministro della Realcasa, monarchico fedelissimo e pervicace fino alla sua morte, docente dell’Università di Padova, del quale la nostra ha evidentemente seguito gli insegnamenti e gli orientamenti, raffinando le sue competenze in materia di diritto canonico, divenendo avvocatessa rotale, si dice, di non molte fortune. Abortita la carriera universitaria, ha percorso quella politica, ricomprendo la seconda carica dello Stato nella scorsa legislatura e ancora prima facendo parte della Consiglio superiore della Magistratura.
Tuttavia, la proposta che di seguito riproduciamo non è frutto della creatività giuridica di chi l’ha formulata ma ricalca e rimastica le proposte costituzionali a suo tempo ipotizzate da Giorgio Almirante che sognava di far emergere dalle fogne la III Repubblica, che dovrebbe finalmente sotterrare la prima, quella nata dalla Resistenza, e attuare la “pacificazione”, cancellando l’antifascismo. Il testo della proposta è il seguente:
Articolo 1
(Modifica dell’articolo 59 della Costituzione)
Il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione è abrogato.
Articolo 2
(Modifica dell’articolo 88 della Costituzione)
Al primo comma dell’articolo 88 della Costituzione sono soppresse le parole “o anche una sola di esse”.
Articolo 3
(Modifica dell’art. 92 della Costituzione)
L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.
Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.”.
Articolo 4
(Modifica dell’art. 94 della Costituzione)
All’articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modifiche:
Il terzo comma è sostituito dal seguente: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”;
dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere.”
Articolo 5
(Norme transitorie)
Fino al termine del loro mandato, i senatori di diritto a vita nominati ai sensi del previgente secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione restano in carica.
La presente legge costituzionale si applica a decorrere dalla data del primo scioglimento delle Camere, successivo alla data di entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio dei Ministri e delle Camere.
Nel commentare la sua proposta la destra ciancia di democrazia diretta, affermando, per catturare l’interesse degli elettori necessario, poiché certamente la proposta, se approvata, dovrà essere sottoposta a referendum confermativo, che eleggere direttamente il capo del governo costituirebbe attuazione della democrazia diretta quando invece è a tutti noto che si tratterebbe di dar vita ad un governo plebiscitario, privo di quel bilanciamento dei poteri che da Montesquieu distingue le democrazie liberali. In altri termini costituirebbe la trasformazione del paese in una democratura, nella quale il Presidente del Consiglio, in quanto eletto dagli elettori, sovrasta con i suoi poteri quello di ogni altro, azzera le prerogative del Presidente della Repubblica, trasforma il Parlamento in un organo di ratifica degli atti del Governo, ma, curiosamente, non ha il potere di sfiduciare un ministro del suo governo! Tutto questo tanto più alla luce del fatto che è una legge elettorale, contestualmente approvata, conferirebbe al partito di maggioranza il 55% della rappresentanza in Parlamento, a somiglianza di quanto disposto a suo tempo dalla legge Acerbo, che legittimò il fascismo al potere, oggi addirittura da inserire in Costituzione!
Non si sa se per scienza della relatrice o come forma di depistaggio, al fine di aumentare il carattere straniante e di arma di distrazione di massa della proposta, il testo presentato si caratterizza per un particolare intreccio tra i poteri conferiti al Presidente del Consiglio e a colui o colei che eventualmente dovesse succedergli in caso di crisi. Infatti, il Presidente della Repubblica, ridotto al ruolo di notaio, in questo caso, avrebbe la possibilità di conferire l’incarico di formare il nuovo governo solo ad un politico eletto nella stessa maggioranza del premier dimissionario, a condizione che
si faccia garante dello stesso programma di Governo. Se anche questo Governo fosse sfiduciato non vi sarebbe altra soluzione che lo scioglimento delle Camere e il ritorno al voto.
Questa norma pasticciata, che attribuisce in seconda battuta al potenziale nuovo premier un potere maggiore di quello eletto mettendo nelle sue mani il potere ricattatorio – quello di determinare lo scioglimento del Parlamento – finisce, in realtà, per rendere estremamente instabile il sistema che si afferma di voler adottare come antidoto ai governi tecnici, peraltro senza abolire la libertà del primo ministro incaricato di nominare come ministri tutti i tecnici che vuole.
Se rivolgiamo poi al comportamento di questo governo il richiamo al programma, la premier dovrebbe essere dimissionaria più e più volte, in quanto ben poche sono le promesse elettorali contenute nel programma che il governo ha attuato.
Sulla base di queste sia pur sommarie considerazioni bisogna concludere che siamo ancora nella fase di “fuffa” che il governo mette in campo per distogliere il dibattito dell’opinione pubblica e degli elettori da quelli che sono i reali problemi nel paese, troppo grandi per essere affrontati da una classe politica che punta tutto su una figura leader, peraltro non esente da continui inciampi di immagine e di comportamenti e che, come la conversazione informale con i comici russi dimostra, pubblicamente esprime alcune posizioni, mentre è convinta che sarebbe necessario assumerne altre, che
sono quelle dei suoi avversari politici.
Il vittimismo come antidoto all’incapacità
La caratteristica fondante del comportamento di questo governo e la continua lamentela a proposito dei suoi tanti nemici che impedirebbero l’azione del governo, il quale altrimenti farebbe meraviglie, solo che non avesse da contrastare l’ostruzionismo di chi ad esso si oppone. Il guaio è che l’opposizione è inesistente perché non riesce a farsi carico dei problemi reali del paese, è incapace di parlare ai bisogni che emergono da un contesto sociale sempre più frammentato e diviso, sempre più afflitto dalla povertà, caratterizzato dalla differenza abissale di reddito fra chi possiede e chi è povero,
con il 10% del paese che versa nell’indigenza più totale.
Ma non sono solo i più poveri la vittime di questo governo, perché anche il ceto medio viene puntualmente taglieggiato sulla base di una politica corporativa che privilegia alcuni gruppi sociali a scapito di altri, che mette gli uni contro gli altri lavoratori/trici autonomi e lavoratori/trici dipendenti, che distrugge ogni istituto di solidarietà sociale, nel campo della cura della persona e della salute, nel campo dell’istruzione, in quella dei servizi sociali e di quant’altro necessario a garantire un’accettabile qualità della vita. Il paese è privo di prospettive ed assiste impotente, mentre vengono dilapidate le risorse del PNRR che, è bene ricordarlo, sono solo in parte a fondo perduto, mentre in larga parte costituiscono un debito contratto a nome e per conto delle future generazioni.
È tempo, perciò, di tornare ai veri problemi del paese prima che la crisi economica che si prepara come conseguenza diretta delle guerre in corso produca effetti ancora maggiori e devastanti sulla disponibilità di risorse, rendendo impossibile ogni intervento di solidarietà volto ad alleviare le condizioni misere nelle quali vive una parte sempre maggiore di popolazione nel nostro paese e in quelli più poveri, afflitti delle guerre.
Da subito comitati per il NO Questa maggioranza di governo ha i numeri in Parlamento per varare l’autonomia differenziata e per approvare sia questa legge majala di riforma costituzionale, ma deve sottoporla a referendum confermativo. Perciò occorre portare la
mobilitazione nelle strade e nelle piazze, sui posti di lavoro, ovunque, dando vita fin da ora a strutture di coordinamento, a comitati per il No che spieghino gli obiettivi e le contraddizioni della proposta di riforma e far capire che l’autonomia differenziata che costituisce il prezzo pagato dai fascisti meloniani a quelli salviniani oggi non conviene più perché sono cambiati gli elementi strutturali dell’economia che la rendevano appetibile per le Regioni che ne hanno fatto richieste.
Infatti la crisi economica incombente sull’Europa, e in particolare sull’economia tedesca, vanifica il suo ruolo di polo di attrazione per strutture macro regionali, satelliti di quelle tedesche, alle quali si vorrebbe dar vita attraverso l’attuazione dell’autonomia differenziata che permetterebbe di sganciare più agevolmente le Regioni meno sviluppate, rompendo l’assetto tendenzialmente egualitario delle strutture sociali pubbliche, caratterizzate dall’uguaglianza tendenziale dalla solidarietà vanificando ogni possibilità di attuazione di una norma programmatica come è l’art. 3 della Costituzione vigente.
Occorre spiegare e far capire che la riforma costituzionale, presentata come una modifica della sola seconda parte della Costituzioni in realtà incide e condiziona l’applicazione delle norme costituzionali fondamentali relative ai diritti, frantumando il paese e sacrifica soprattutto il principio di uguaglianza.
La Redazione