Democrature e Stato di diritto

Per trasformare uno Stato di diritto – cioè quella forma di Stato che assume la democrazia, la salvaguardia e il rispetto dei diritti umani e delle libertà, garantisce lo Stato sociale come obiettivi – in una democratura, occorre smantellarne gli istituti di garanzia e la loro indipendenza. Per farlo si deve operare innanzi tutto sulla Costituzione. modificandola, indebolendo e trasformando l’equilibrio tra i poteri, limitando il ruolo degli organi di controllo, in modo che divenga possibile che l’agire dello Stato non sia vincolato e conforme alle leggi. Ciò al fine di accrescere la verticalità e il decisionismo del sistema di governo. attraverso la “dittatura dell’esecutivo”, facendo sì che – dopo la fase il ridimensionamento del ruolo di istituti come la Corte dei conti, dell’indipendenza della magistratura, la soppressione dell’obbligatorietà dell’azione penale e l’attribuzione all’esecutivo del compito di individuare i reati da perseguire e tanto altro – una riforma costituzionale sancisca il nuovo assetto.
È quanto sta facendo il Governo, sia attraverso l’agire quotidiano che mediante il progetto di riforma istituzionale, senza che le opposizioni – che quando non sono conniventi, come il “terzo pollo”, sono complici – abbiano piena consapevolezza di questa strategia e riescano a fare opposizione. Se desiderassero veramente farla dovrebbero prendere atto che i numeri sono sfavorevoli in Parlamento e spostare lo scontro e il confronto nel paese e nelle piazze, ma, divise come sono dalla conflittualità che caratterizza i loro rapporti, per una disabitudine maturata in anni di governismo e per la sopravvenuta incapacità di parlare al paese, non lo fanno.
È perciò che il Governo può attaccare senza problemi la magistratura contabile, dalla quale non vuole sentirsi dire che è in ritardo sull’attuazione del PNRR; il Tesoro e la Ragioneria dello Stato, che sollevano rilievi e dubbi sullo stesso tema; tutto questo avviene mentre è in atto una riforma della giustizia che. dopo aver abolito l’abuso d’ufficio, ha come principale obiettivo la soppressione dell’obbligatorietà dell’azione penale, sostituita dalle indicazioni del Governo su quali reati perseguire e quali no. A completare il quadro,l’attuazione dell’autonomia differenziata, suggellata dalla riforma
costituzionale, affidati al peggior personale politico di cui la maggioranza dispone.

Nelle mani di apprendisti stregoni

Bisogna infatti ricordare che il ministro giustizia Nordio deve la sua notorietà ad un’inchiesta sulle Cooperative rosse, che gli procurò il sostegno entusiastico della destra. L’inchiesta, progressivamente sgonfiatasi di fronte all’assenza assoluta di riscontri che avrebbero dovuto portare alla condanna degli accusati, finì con un rimborso per parte di essi che avevano subito gli effetti di una incriminazione di lunga durata, senza che si fosse giunti al processo, e ciò malgrado l’attuale ministro si erga a difensore del garantismo, evidentemente solo per alcuni. Il suo solo successo professionale, come pubblico ministero in campo penale può essere riconducibile alla condanna dell’ex Presidente della Regione Veneto Galan, dopodiché si registrano ripetuti fallimenti come quello di aver totalmente sottovalutato la pericolosità della mafia del Brenta. Costui, andato in pensione, si è rifugiato nella libellistica e ell’attività politica.
Incaricato del dossier autonomia differenziata, il ministro Calderoli, si è sempre distinto per la faziosità con la quale ha affrontato il problema, per la disonestà intellettuale che ha caratterizzato la sua azione, testimoniata dal sistematico occultamento dei costi della riforma. Le sue proposte, concretizzatasi nella scelta di procedure discutibili e
vessatorie. tese a nascondere le disuguaglianze crescenti che il sistema da lui proposto introduce, aumentando il divario tra le regioni e riducendo in qualità e quantità i servizi erogati ai cittadini, avranno l’effetto di aumentare le diseguaglianze tra le diverse aree del paese.
Affidando le riforme costituzionali all’avvocatessa Casellati Alberti si omette ricordare che ci si è rivolti ad una fallita docente universitaria, sedicente esperta il diritto ecclesiastico, forse esperta, ma neanche troppo, in annullamenti di matrimoni ecclesiastici, che da allieva del Prof. Sandro Gherro, monarchico, già ministro della Real Casa, sarà tuttalpiù a conoscenza del diritto canonico, ma ha poca dimestichezza con i principi costituzionali repubblicani, come dimostrano le sue pubblicazioni scientifiche di contenuto decisamente mediocre e l’attività svolta come Presidente del Senato.

Mutamento delle istituzioni, del costume e dei rapporti sociali e produttivi

Ma nel progetto della destra la trasformazione del paese deve investire tutti gli aspetti della società. Pertanto, il mutamento istituzionale deve essere accompagnato da quello dei rapporti economici e di classe e da quello valoriale, incidendo quindi sui diritti garantiti ai cittadini. Ne consegue che a mutare devono essere i rapporti economici, utilizzando la leva della tassazione e introducendone una per categorie che ha come obiettivo la corporativizzazione della società, privilegiando i lavoratori autonomi e diminuendo le tasse dei ricchi, agevolando gli evasori. Una fiscalità differenziata per
ceti e professioni ha il compito di frammentare l’unità di classe e consentire la gestione del consenso, costituisce l’obiettivo dichiarato da perseguire. Ma questo non basta: bisogna frammentare ogni possibile unità di classe, ogni possibile aggregazione politica e sociale antagonista al blocco di potere costituito dalla destra, differenziando le posizioni di ognuno, alimentando l’individualismo, sopprimendo la solidarietà.
Questo tipo di intervento passa dalla modifica dei rapporti di lavoro, della sua organizzazione, dall’eliminazione delle tutele che esso riceve dall’ordinamento, dalla fissazione dei salari; occorre colpire le rappresentanze dei lavoratori, eliminando la contrapposizione tra capitale e lavoro attraverso la cogestione con le organizzazioni sindacali compiacenti del mercato del lavoro e della rappresentanza di lavoratrici e lavoratori, rendendole quiescenti rispetto al regime dei rapporti di lavoro occasionali, precari e sottopagati, assumendo come valore il riferimento l’interesse della nazione nel
quadro di un’unità di intenti tra lavoratori e datori di lavoro che, in quanto rappresentati per categorie, trovano soddisfazione delle loro necessità ed esigenze, di volta in volta e separatamente, in modo differenziato e in rapporto al sostegno che esse danno al Governo e ai padroni alla nazione. A tutti loro si addita un nemico comune: il lavoratore
immigrato, con il risultato di dividere gli sfruttati, sollecitare gli istinti razzisti di molti, rendere meglio gestibile per i padroni il mercato del lavoro e l’esercito industriale di riserva, come dimostrano le scelte politiche e le leggi sui migranti.
Un tale riassetto dei rapporti economici e sociali viaggia, nel progetto della destra, di pari passo con l’intervento sulla riprofilatura dei valori, che avverrà assumendo come punto di riferimento quelli della famiglia tradizionale, di una società stratificata, sostanzialmente patriarcale, che abbia in massimo conto il rilancio della crescita demografica per evitare una paventata sostituzione etnica che costituisce l’incubo manifesto, per quanto inesistente, di questa destra al Governo. In quest’ottica diviene un obiettivo da perseguire il ripristino del rispetto dell’identità di genere, creando ogni
ostacolo possibile per disincentivare le famiglie unigenitoriali e ripristinare i valori ritenuti tradizionali, combattere l’aborto, strumentalizzare la maternità surrogata, brandendola come un’arma verso rapporti sociali aperti e solidali, rivalendosi sui diritti dei bambini delle coppie unigenitoriali.

Il consolidamento del cambiamento

Il cambiamento per essere tale deve consolidarsi e divenire una caratteristica costante della nuova società e dei nuovi equilibri e rapporti sociali che si vogliono costruire in modo da consentire che il controllo politico e sociale sia a sua volta permanente e assicuri la sopravvivenza politica del regime che si vuole costruire. Pertanto, i mutamenti prodotti dall’azione politica devono essere confermati e supportati dalla modifica permanente delle istituzioni. Ecco perché questo Governo ha come obiettivo l’attuazione dell’autonomia differenziata e una riforma della governance che consenta il
rafforzamento degli esecutivi, la velocizzazione dei processi decisionali, la indiscutibilità delle scelte, con conseguente diminuzione delle garanzie di contenere il potere della pubblica amministrazione e dello Stato. Si spiega così la riforma del codice degli appalti, spacciata per una ottimizzazione dei tempi di esecuzione delle opere, la riforma paventata del processo amministrativo per ridurre le garanzie all’arbitrio della pubblica amministrazione, la revisione della procedura di gestione del territorio, l’adozione della cosiddetta politica del fare che in realtà nasconde quella del laissez faire.
L’introduzione dell’autonomia differenziata permette di concentrare le risorse di tutti sulle Regioni più ricche e di lasciare che quelle più povere gestiscano in autonomia il loro progressivo decadimento, accentuando differenze territoriali e, sul piano sociale, aumentando le differenze tra ricchi e poveri, sollecitando l’egoismo di alcuni e l’assenza assoluta di comportamenti solidali, che nel progetto della destra devono divenire valori negativi. Al contrario di quanto si creda, tutto questo non potrebbe funzionare senza la modifica dei processi di governo a livello centrale, caratterizzandoli per il decisionismo e la verticalità. La riforma costituzionale della governance, sia che si scelga il presidenzialismo, il semi presidenzialismo o il premierato non è l’antidoto al decentramento consentito dall’autonomia, ma piuttosto un modo di accompagnare a livello centrale un processo decisionale dirigistico che caratterizzerà sia lo Stato centrale che la sua attività periferica in alcune regioni. Questo progetto di revisione istituzionale viene spacciato come un ammodernamento del sistema di governo, un’accelerazione e uno snellimento dei processi decisionali, una risposta politica alla crescente tendenza degli elettori alla disaffezione dal voto, un rimedio al rifiuto di partecipare ad una società dello spettacolo dove i ruoli di potere sono definiti e non sono certo trasformabili o sottoposti ad una mutazione come effetto del voto.
La riforma istituzionale che si prepara mira, in realtà, ad allontanare ulteriormente dalla partecipazione gli elettori e i cittadini per costruire un sistema oligarchico di direzione politica che costituisce una evoluzione perversa dell’ordinamento liberale dello Stato. Con questa riforma il potere getta la maschera e si presenta per quello che è agli
occhi di un popolo: un comitato d’affari gestore delle attività per il popolo, visto come sempre più composto da sudditi più che da cittadini, che opera a tutela e negli interessi di gruppi ristretti e ben definiti di oligarchi. È significativo che questa struttura di governo divenga sempre più simile a forme degenerative di altri tipi di governo, come quelli nati dalla crisi dei regimi dell’Est europeo, ed evolutisi anch’essi assumendo la forma istituzionale di democratura.

La riforma dello Stato sociale

La riforma delle istituzioni dello Stato preoccupa poiché essa si accompagna a quella del welfare state, già in crisi in questo ciclo un economico e politico, ma che in Italia viene condotta incidendo su uno dei fattori più delicati che concorrono a renderlo possibile: l’esistenza di una tassazione progressiva che con le entrate fiscali lo alimenta con le risorse necessarie alla sua esistenza. È in questo senso e in questa prospettiva che va collocata l’introduzione della flat tax che non è solo uno strumento di redistribuzione del prelievo fiscale a favore dei più ricchi e di alcune categorie, ma anche uno strumento di diminuzione delle risorse sociali, facendo sì che nella società si affermi il principio che i servizi vanno pagati direttamente e che all’attività dello Stato, come agente di redistribuzione del reddito, si sostituisca l’autonomia degli individui, chiamati a gestire il proprio salario e la propria miseria, oppure il proprio reddito e la propria ricchezza, quando questi provengono da attività speculative e finanziarie, imprenditoriali e di gestione della struttura economica del paese. È questa la strada per introdurre un crescente individualismo che è nemico della solidarietà, ben spiegabile e rappresentabile con quanto il Governo sta facendo a proposito della sanità pubblica per la quale si riducono le risorse, con conseguente riduzione dei servizi, inducendo l’utente cittadino a ricercare nella sanità privata, la soluzione dei suoi problemi di salute, e poco importa se ciò si accompagna ad una diminuzione complessiva dei livelli di assistenza, caratterizzati dalla quasi scomparsa delle attività di prevenzione, da tempi lunghi di attesa per ricevere le prestazioni richieste e necessarie – anche quando queste sono urgenti e salvavita – alla indispensabile utilizzazione di professionisti privati che sempre più spesso operano intra menia, utilizzando strutture dello Stato e svolgendo un doppio lavoro certamente ben remunerativo.
Si potrebbero fare tanti altri esempi, basti pensare all’istruzione e a tanti altri settori nella vita sociale, caratterizzati dall’erogazione di servizi, per comprendere quale profonda trasformazione della società si prepara. Del resto questo processo è in atto da tempo, assecondato dai partiti di sinistra, che spesso si sono fatti portatori delle stesse istanze del capitale di riduzione del cosiddetto salario indiretto e della contemporanea tendenza a ridurre le tasse per i più ricchi.

Noi e lo Stato di diritto

Noi comunisti anarchici abbiamo sempre manifestato le nostre critiche alla concezione liberale dello Stato di diritto, ma abbiamo visto le scelte di quelle compagini statali che hanno adottato questo modello di Stato, più o meno perfetto, e certamente ricco di contraddizioni e difetti, come una situazione più favorevole nella quale vivere, cercando di organizzare e sviluppare la lotta di classe per la trasformazione dello Stato borghese in una società di liberi ed uguali, internazionalista, federativa, autogestionaria, che permettesse a donne e uomini di vivere in modo migliore, nella quale è possibile realizzare l’uguaglianza e il benessere per tutti senza discriminazione di sesso, razza religione, e questo proprio perché siamo convinti della necessità di una società più giusta. Ma quello che ciò oggi la destra propone è un modello di Stato e di società autoritaria, dittatoriale, caratterizzata dalle libertà conculcate, sia economiche, che civili, che sociali.
È per questo motivo che abbiamo ben chiaro che bisogna opporsi in ogni modo a questo progetto, anche se partiamo da una situazione di obiettiva difficoltà, segnata da profonde trasformazioni sociali, da un crescente scontro sociale tra città e campagna, tra metropoli e periferie, che si manifesta in modo sempre più chiaro e che ha effetti a livello di gestione del consenso e quindi elettorali, come evidenziato da quanto sta avvenendo in molti paesi dove si vedono prevalere la paura del cambiamento, i timori per uno sviluppo tecnologico incontrollato, che erode il mondo del lavoro, acuisce le differenze, lascia pochi redditi e lavori sicuri e costituisce quindi un bacino di consenso per le destre che offrono come loro proposta politica il rifiuto del cambiamento e la conservazione dell’ordine esistente, quanto non di costruirne uno, securitario e protettivo, che trova conferme nel recupero della tradizione.
Per ripartire bisogna avere il coraggio di osare e di cercare di prendere atto di quanto sta avvenendo, lavorando sul territorio per riconquistare il consenso, per radicarsi nella società e ripartire con un’opposizione politica capace di progettare, di proporre, di prospettare soluzioni possibili ai problemi sempre nuovi che si presentano, che vadano nella direzione della tutela dell’uguaglianza, della libertà, della solidarietà.

La Redazione