Verso un mondo multipolare

Nello scorso numero della newsletter davamo notizia del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita a segnalare la trasformazione del mondo da bipolare il multipolare.[1] Segnalavamo che i nuovi assetti si profilano sulla scena mondiale per cui, prefigurando la visione del mondo, dobbiamo vederlo come formato da blocchi continentali, da aree a gestione omogenea costituite dalla Cina, all’India, dalla Russia alle quali si affiancano aree come quella mediorientale che tendono a stabilire relazioni di cooperazione sulla base di comuni interessi come quella costituita dai paesi arabi e dagli altri paesi del Brics. Tratto comune a questi paesi è costituito dal possesso di ordigni nucleari poiché la guerra Ucraina ha fatto comprendere anche ai più riottosi che l’unica possibilità di svolgere una politica indipendente è quella di potere all’occorrenza di ricorrere all’arma atomica come strumento di deterrenza per garantire il proprio posto nelle relazioni internazionali e fare sì che queste non siano prigioniere del ricatto militare della superpotenza di turno.
È del tutto evidente che un tale assetto del mondo si pone in alternativa a quello bipolare, disegnato dagli USA e da questi coltivato per giustificare e sostenere la loro egemonia. Tuttavia, vi è un altro terreno sul quale lo scontro necessariamente si si sposta ed è quello degli scambi economici e commerciali e quindi della moneta utilizzata a questo fine.
Non va dimenticato che per effetto della guerra in Ucraina e delle conseguenti sanzioni occidentali la Russia è stata costretta a realizzare i propri affari e sviluppare il proprio commercio utilizzando valute diverse dal dollaro. Il paese, peraltro, non ho dimenticato che all’indomani del conflitto le banche occidentali hanno sequestrato depositi russi per un valore di 300 milioni di dollari compiendo di fatto un furto ai danni del paese ed è perciò alla ricerca di una nuova valuta che consenta agli scambi economici e commerciali facendo a meno del dollaro. Perciò in risposta alle sanzioni la Russia commercia con l’estero con valute diverse dal dollaro utilizzando negli scambi le rispettive valute nazionali con la Cina ma anche con l’India, l’Iran Un passo in questa direzione è costituito dalla decisione del 30 mar 2023 del governo brasiliano ha siglato un accordo con la Cina in base al quale gli scambi commerciali tra i due Paesi avverranno nelle rispettive valute, senza utilizzare il dollaro statunitense. Ciò significa che gli scambi commerciali si svolgeranno in real brasiliani e yuan, anziché in dollari, come accadeva nelle transazioni internazionali. Per capire l’importanza e il peso di questa scelta occorre ricordare che la Cina è il principale partner commerciale del Brasile. Il commercio tra i due Paesi ha raggiunto i 150 miliardi di dollari nel 2022, con 89,7 miliardi di dollari esportati dai brasiliani in Cina. In Brasile viene fatta la metà (48%) degli investimenti cinesi in America Latina che tra il 2007 e il 2020, hanno superato i 70 miliardi di dollari. Pertanto, la decisione brasiliana conferma la tendenza a sostituire il dollaro con altre valute nell’ambito del commercio internazionale contribuendo a causare la perdita di centralità economica dell’Occidente.
Dispiacerà alla Meloni, ma il vero piano Mattei lo sta adottando la Cina che similmente al manager dell’ENI promuove scambi paritari a tutto vantaggio delle economie dei paesi più deboli, ottenendo allo stesso tempo il risultato non secondario di indebolire alla base l’economia USA e di impedire che il benessere statunitense dipenda in parte dal dominio esercitato da questo paese sul commercio internazionale attraverso il controllo della moneta. Possiamo dire finalmente gli accordi d Bretton Woods sul sistema monetario internazionale da adottare vanno definitivamente esaurendo la loro funzione e il loro ruolo.

Il ruolo dei paesi Brics

Questa strategia a lungo coltivata dalla Cina, costretta da sempre a impegnarsi sul mercato delle valute al punto da possedere 967,8 miliardi di dollari del debito governativo statunitense (stando a quanto dichiarato dal dipartimento del Tesoro USA) per sostenere il proprio ruolo sul mercato internazionale, ha iniziato lentamente a disimpegnarsi (- 13 miliardi rispetto al mese precedente) in non casuale coincidenza con il Summit BRICS dello scorso giugno a guida cinese. In quella occasione la Cina ha posto all’ordine del giorno il riassetto dell’ordine globale come conseguenza della pandemia e, soprattutto, dell’invasione russa dell’Ucraina, con l’obiettivo di contrastare la crescita dell’isolamento internazionale derivante dai lacci e lacciuoli imposi dagli
Stati Uniti con le sanzioni alla Russia di Putin.
La Cina sa bene negli ultimi vent’anni l’economia dei paesi BRICS è cresciuta con una velocità ben superiore rispetto al sistema economico occidentale. È consapevole che nel 2022, tali paesi comprendono oltre il 41% della popolazione mondiale, il 24% del Pil mondiale e circa il 16% del commercio internazionale; sa inoltre che, l’Argentina, l’Iran e l’Algeria hanno formalizzato la richiesta di adesione al gruppo, mentre si è ipotizzato che possano aderire anche Arabia Saudita, Egitto, Senegal, Nigeria, Turchia, Indonesia e altri ancora: Inoltre i BRICS sono sempre più interconnessi con la Shanghai Cooperation Organization (SCO), di cui sono membri Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan. Non è perciò velleitario l’obiettivo di determinare un paniere di valute che sostituisca il dollaro nel commercio internazionale.
I progetto cinese di costruzione di un consenso internazionale alternativo a quello occidente-centrico è fondato sul supporto dei Paesi in via di sviluppo non è di facile realizzazione e richiede tempi lunghi e prudenza ma in quanto a gradualità e pazienza i cinesi sono maestri: intanto si accontentano che l’OPE di concerto con la Russia diminuisca di un milione di barili al giorno la produzione di petrolio per sostenerne il presso, consapevoli che le forniture russe continueranno a prezzi di favore.
Inoltre, procedono con cautela per non scontrarsi con l’India, paese rivale che allo stesso tempo mantiene i rapporti con i paesi fili occidentali dell’indopacifico: sa bene che allargare i BRICS significa nei fatti dar vita a un nuovo soggetto formato da un numero potenzialmente infinito di nuovi membri. Ciò significa individuare chiari criteri di accesso per i candidati, superando eventuali veti dei membri storici. Per farlo bisogna innanzi tutto chiarire quali rapporti si stabiliscono con la sua banca, la Nuova Banca di Sviluppo, che nel 2021 si era già aperta all’ingresso di Egitto, Uruguay, Bangladesh e Emirati Arabi Uniti.

E l’Europa

L’Europa invece che legarsi al carro USA dovrebbe prendere atto che di ciò che la realtà economica ci dice: già oggi il mondo è divenuto multipolare e non più unipolare, la posizione di rendita del dollaro è finita o comunque volge al termine. Le sanzioni alla Russia hanno prodotto come reazione lo sviluppo accelerato dei Brics che sono in piena espansione, mentre si va delineando una gestione dei territori omogenea per aree, che superano in alcuni casi la dimensione delle nazioni e che hanno come tratto comune la deterrenza nucleare.
Il dominio mondiale da parte della finanza statunitense e occidentale, che ha avuto un ruolo centrale, di comando, nel modo di produzione capitalistico è concretamente messo in discussione. Inoltre, un cambio di ruolo delle monete di scambio costituisce un mutamento degli equilibri di potere, non solo un fatto economico.
È finita l’epoca in cui il ruolo del dollaro come valuta utilizzata per gli scambi internazionali ha garantito agli Stati Uniti una posizione di rendita.
Ne consegue che conviene all’Europa promuovere una nuova cooperazione tra i popoli e i paesi di tutto il mondo, forte del fatto che essa rappresenta ancora per l’economia mondiale e per la stessa Cina promotrice del cambiamento, un mercato irrinunciabile per la prosperità e lo sviluppo di tutti. Quindi è il tempo che l’Europa pmenai ai propri interessi adottando politiche autonome di relazione con i diversi attori internazionali.
Per fare ciò occorre spezzare il cordone ombellicale, in realtà di subordinazione, che la lega agli Stati Uniti e quindi, invece che rafforzare la NARO e armarsi, promuovere la pace e la convivenza tra i popoli, prendendo le distanze da una visione sovranista e dirigistica del mondo, lasciando gli USA e il suo principale vassallo, il Regno Unito al loro destino.

[1] La Redazione, PACE. Newsletter Crescita Politica, UCADI, 169, marzo 2023

Gianni Cimbalo