L’elezione della nuova segretaria del PD può essere letta da diversi punti di vista: interni, esterni e generali. Partiamo dall’interno. Il PD è un partito evaporato, ovvero la fase successiva al partito liquido tanto decantato negli anni passati. Talmente evaporato che il gruppo dirigente non solo sceglie, ancora una volta, di fare eleggere il segretario agli estranei (una moda che sembrava passata dopo l’esperienza devastante del renzismo, dove si dimostrò che questa era la strada per demolire il partito) ma non si rende neppure conto di aver proposto come proprio candidato una figura invisa anche ai suoi. E così, puntualmente, il segretario o meglio la segretaria (iscritti al pd da una manciata di giorni) votata ai gazebo, surclassa il nome scelto dai circoli. Ma se un iscritto (“militante” è ormai una parola troppo grossa) conta meno di uno sconosciuto che, pagando 2 euro e firmando un generico documento, si aggiudica il diritto di scegliere chi guiderà il partito, che senso ha la sua presenza? La domanda sorgerebbe spontanea se non fosse che ormai questa fase è storia vecchia. Il concetto stesso di partito come struttura di soggetti uniformati da una ideologia finalizzata alla conquista del potere è ormai defunto. E questo aspetto non pare neppure più essere sollevato o addirittura pensato.
All’interno di un sistema unico di pensiero (che come tutte le ideologie totalitarie nega persino le crisi sistemiche in cui si dibatte da 15 anni) i partiti si dividono sulle questioni di superficie, oppure, quando lo iato apparirebbe più profondo, questo viene esposto senza mai discutere sul sistema, sul capitale, il quale parrebbe ormai essere diventato uno “stato di natura”.
Quindi dal punto di vista interno al PD, la vittoria della Schlein per quanto ci possa rimanere simpatica o possa rappresentare una qualche novità, si inserisce in questo contesto postmoderno ed “occasionale” che contraddistingue il PD. Ieri era Renzi che “scalava” il partito, oggi è la giovane donna che lo conquista dall’esterno. Con un concetto del ruolo del segretario/a come colui, o colei, che “vince” e non chi dovrebbe rappresentare e dirigere un partito nella massima convergenza (un partito dovrebbe essere un’associazione di soggetti uniformemente pensanti e non l’imitazione
del Parlamento).
Detto (e scritto) tutto ciò passiamo ad una visione dall’esterno. Non c’è dubbio che la vittoria di Elly Schlein rappresenti non tanto un cambio di passo reale (questo sarà tutto da verificare). ma un chiaro indice di insofferenza verso la classe dirigente del PD da parte del variegato mondo esterno al partito e anche, come logica conseguenza nella follia delle “primarie aperte”, da parte degli avversari di quel partito. Una insofferenza che l’establishment non ha saputo cogliere in nessun modo, trovandosi adesso con una segreteria spaccata a metà, ma la cui maggioranza è contro la nuova segretaria. In ogni caso, per le strane strade che la sorte sceglie, potrebbe anche essere che questo arrivo in “zona cesarini” vada a evitare la fine del partito che ormai pareva data per certa. Non si sa se questo sarà un bene o un male. Potrebbe anche essere l’indice di un cambiamento, ma che viaggia sempre su una base impalpabile e fragile, basata sulle singole personalità, sul marketing, sulla comunicazione fine a se stessa. Ieri Renzi, oggi la Schlein.
Sul piano generale, invece ci si muove in un curioso mondo virtuale. Dove i giornali della destra (“Libero”, “Il Giornale” e il radicale “La Verità”) vedono nell’elezione della nuova segretaria nientepopodimeno che una bolscevica, rappresentandola anche con il naso adunco e rimarcando le origini ebraiche. L’anticomunismo (ma anche l’antisemitismo) è ancora la vera radice unificante delle destre italiane, anche quando di comunismo non è rimasto neppure il ricordo. Un mondo che cercava fino a poco tempo fa di cincischiare anche con argomenti “socialisti” (per i gonzi), ma che dimostra proprio di non sapersi trattenere. Curiosamente anche per la stampa di regime si tratta di una
svolta a sinistra, guardata con un po’ di preoccupazione e già “Repubblica” ci si è fiondata per dare la linea.
Chiariamo una cosa. A noi della Schlein e del PD ci importa il giusto e se ne parliamo è soprattutto perché si tratta di un partito ancora votato da milioni di persone e che ha governato questo paese negli ultimi anni con chiunque e lo riteniamo, come lo abbiamo sempre ritenuto, uno dei soggetti più dannosi per qualunque pensiero di ricomposizione di classe e che ha avallato praticamente ogni distruzione delle conquiste sociali degli ultimi 50 anni, per scambiarle con la fuffa di diritti civili del resto neppure veramente perseguiti.
La storia si incaricherà di darci torto e il nuovo PD diventerà sicuramente il baluardo della rinata lotta sociale.
Verrà ripristinato l’art. 18, demolita l’alternanza scuola-lavoro, aumentata la spesa sanitaria, fermata la Fornero, annullata la precarietà.
Tutta farina del sacco “democratico” a dire il vero. Sarà dura per la Schlein convincere che era tutto sbagliato, a meno di cambiare proprio il partito.
Insomma, siamo sicuramente indegni e cinici, ma saremmo lieti di sbagliarci se anche questa non fosse l’ennesima recita di un cambiamento che è solo nelle parole, nel look, nell’approccio e nel packaging di un partito ora diventato una specie di club del sorriso.
Certo che riunirsi dentro la “nuvola” di Fuksas non è che chiami alla mente proprio un qualcosa di popolare e quell’aria da eterni primi della classe non manda proprio in visibilio le folle.
Certo la soddisfazione di vedere un po’ schiumare la pessima classe dirigente che ha preceduto la Schlein c’è e anche la ridefinizione delle cariche non sarà una passeggiata. Ma si tratta comunque di schermaglie ad uso interno.
Intanto noi seguiremo con attenzione questo nuovo corso pieno di amore, ma non possiamo impedire che ci venga a mente Troisi quando (in “Ricomincio da tre”) gli viene detto “quando c’è l’amore c’è tutto” lui risponde “: No, chell’ è ‘a salute! ”
Andrea Bellucci