Dimmi dove vivi e ti dirò che diritti avrai

Calderoli prosegue deciso a bai passare il parlamento e violando la legge vuole far approvare l’autonomia differenziata e attuarla per decreto. La strategia dell’esponente leghista è ben sintetizzata dal comunicato di Palazzo Chigi che ci informa che il Consiglio dei ministri ha «definito il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute all’approvazione preliminare del disegno di legge
sull’autonomia differenziata».
Tutto ruota intorno a quanto disposto dal titolo quinto della Costituzione interconnesso con le procedure per la sua revisione. In particolare, l’art. 116, terzo comma, recita: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate nel secondo comma del medesimo articolo alle lettere l, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n ed s,
possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata». È vero che si tratta di una mera facoltà e non di un obbligo costituzionale, che non può essere avulso dai rapporti fra organi costituzionali e diritti dei cittadini come delineati nel testo costituzionale, ma se le Regioni ottenessero la competenza piena in tutte le materie di competenza concorrente e nelle materie di competenza esclusiva dello Stato (norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali), verrebbe surrettiziamente ribaltata la norma che definisce i confini fra i poteri dello Stato e quelli delle Regioni, senza ricorrere al procedimento di revisione della Costituzione, di cui all’art. 138. Verrebbe pregiudicata certamente l’eguaglianza dei cittadini, in aperto contrasto col principio fondamentale di cui all’art. 3. Un esempio emblematico è offerto dall’istruzione
dove la possibilità di attribuire alle Regioni la competenza sulle norme generali si scontra con la disposizione contenuta nell’art. 33, che invece afferma che: «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione».
Se lo spostamento della competenza legislativa dallo Stato alle Regioni venisse attuato per tutto ciò che riguarda le scelte fondamentali relativi al sistema produttivo e alla vita civile come l’istruzione, i trasporti, le comunicazioni, le reti dell’energia, le condizioni di lavoro e dei lavoratori, l’ecologia, l’ambiente, la sanità, al posto di una disciplina legislativa ne avremo venti, ognuna con efficacia territoriale limitata al territorio regionale. Ne consegue, ad esempio che al posto del contratto collettivo di lavoro, verranno ripristinate le gabbie salariali; di fronte a una nuova pandemia, avremo l’impossibilità di determinare delle regole di profilassi comuni. Non sarà possibile programmare una politica energetica per la transizione ecologica e la decarbonizzazione dell’economia. Inoltre, la presenza di venti mini Stati regionali farà decollare la spesa pubblica legata al costo dell’apparato amministrativo che crescerà a dismisura: una scelta insensata, inefficiente, costosa e caotica.
Inoltre, le forti differenziazioni nella erogazione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, soprattutto in una situazione di austerità come quella attuale, impongono la necessità di trovare un punto di equilibrio accettabile sulla qualità e sui costi dei servizi e prestazioni essenziali per tutti, richiederebbe la mobilitazione di ingenti risorse che è difficile trovare. L’esigenza di procedere alla determinazione dei LEP sarebbe un presupposto necessario per poter attribuire alle Regioni le risorse necessarie per l’esercizio delle nuove competenze trasferite dallo Stato.
Si potrebbe obiettare a questo si è provveduto inserendo nella legge di bilancio una decina di commi con i quali si prevede una procedura accelerata che, entro il dicembre del 2023, dovrebbe portare alla determinazione dei LEP, che avverrà con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri violando la procedura prevista dalla Costituzione. Il che è che, nel complesso, l’autonomia differenziata liquida definitivamente tutto ciò che è “pubblico”, e quindi finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri. Così i principi e diritti sociali previsti nella prima parte della Costituzione di fatto vengono annullati, aprendo praterie per allargare alla  privatizzazione in ogni settore e a contratti di lavoro regionali.

I complici nell’attuazione l’autonomia differenziata

A creare le condizioni perché tutto questo potesse avvenire ha provveduto la sinistra e il PD in particolare promuovendo con forza pervicacia determinazione e arroganza la riforma del titolo V della costituzione, che venne approvato con lo scarto di un solo voto rispetto al quorum necessario, creando il precedente che la Costituzione potesse essere riformata con maggioranze così esigue.
Il fatto è che il partito a vocazione maggioritaria, nato dalla fantasia veltroniana che mostra i limiti delle motivazioni che ne stanno alla base; credeva di essere l’eterno occupante delle istituzioni, un eterno partito di governo, convinzione che invece lo porterà ad un’estinzione senza rimpianti di nessuno. È l’eredità catto comunista che con quando sta avvenendo dimostra il suo fallimento e viene liquidata dalla storia e dagli
elettori. A pagarne le spese tutti gli italiani, ad iniziare da quelli più poveri. Questi i motivi veri della crisi finale del PD.
Per rispondere a questo attacco i ceti popolari e tutte le forze di sinistra si trovano nella condizione peggiore possibile. Il Coordinamento per la democrazia costituzionale è rimasto uno dei pochi organismi che si oppone al progetto mediante una legge di proposta popolare contenente proposte alternative a quella del governo ma certo questo non basta né si può confidare nelle resistenze emergenti tra i governatori delle regioni meridionali ivi compresi quelli eletti dalla destra, preoccupate dal depauperamento delle condizioni di vita delle popolazioni dei territori da essi governati. È necessario dar vita a un forte movimento di massa che blocchi il processo legislativo, innanzi tutto facendo pressioni sulle sedicenti opposizioni parlamentari perché su questo tema non vi sia trattativa e mediazione alcuna.
Questo risultato è ottenibile solo a condizione che l’informazione sull’autonomia differenziata cresca e si sviluppi facendo chiarezza sulla mancanza di attualità ed interesse della sua attuazione anche per le regioni del nord del Paese.

L’autonomia differenziata: un falso obiettivo per il Nord del paese

L’autonomia differenziata per le regioni del nord del paese, oltre a trovare le sue motivazioni in opzioni relative alla forma di Stato e di governo da sempre presente nel paese e che animò la Costituente del 1947, discende da una valutazione economica sulle capacità produttive delle regioni del nord Italia rese possibili dal loro ancoraggio all’area produttiva della Germania, particolarmente forte negli ultimi 30 anni.
È nostra opinione che la guerra Ucraina in atto e la crisi economica post Covid stanno modificando profondamente gli assi economici e di sviluppo, le linee neurali del sistema economico trasferendo in prospettiva nel sud del paese gli hub energetici, sia a riguardo dei terminali per l’accesso alle aree fornitrici di energia che di aree produttive di energia eolica e solare. Ciò implicala necessità di investimenti di portata nazionale sostenuti dallo Stato che i venti mini Stati che l’autonomia differenziata creerebbe non sono in grado di affrontare. La pandemia inoltre ha dimostrato che i territori hanno bisogno di centralizzare le risorse per meglio gestire l’economia e i servizi piuttosto che polverizzarle in modo differenziato.
In buona sostanza il treno dell’autonomia dei territori come funzionale allo sviluppo e all’economia è passato a causa dei nuovi assetti che vanno assumendo gli scambi internazionali, le relazioni economiche e le linee neurali di approvvigionamento di energia e perciò quei territori che beneficerebbero oggi dell’autonomia rischiano in prospettiva di esserne danneggiati.

Gianni Ledi