Un Biden di medio termine

Nelle elezioni di medio termine l’impegno delle donne in difesa dell’aborto ha consentito a Biden di mantenere la tradizionale sconfitta del presidente in carica entro limiti accettabili. A consentire questo risultato ha contribuito l’impresentabilità di molti candidati trumpiani, impresentabili e sconfitti dal voto. Ciò malgrado con la conquista della Camera dei Rappresentanti da parte repubblicana è lecito aspettarsi un blocco pressocché totale dell’agenda legislativa del presidente Joe Biden, che dipende dalla capacità di trovare maggioranze in entrambe le Camere.
In passato non era inusuale che si trovasse consenso tra presidenti e maggioranze al Congresso di partiti opposti, ma la tradizione bipartisan è andata affievolendosi negli anni ’90 ed è scomparsa quasi del tutto durante la presidenza di Barack Obama. Biden dovrebbe quindi governare a colpi di ordini esecutivi – spesso suscettibili di essere contestati in tribunale – e prepararsi a dure battaglie su quelle leggi senza l’approvazione delle quali la macchina governativa non può funzionare.
Tra queste la più rilevante è l’innalzamento del tetto del debito pubblico, che segue una procedura che dovrebbe essere automatica; senza il governo federale andrebbe in default tecnico perché non potrebbe onorare il debito e pagare gli stipendi. I n passato i Repubblicani hanno usato come arma di ricatto contro Obama condizionandolo fortemente, soprattutto negli anni finali del suo mandato.
La maggioranza alla Camera dà ai Repubblicani la possibilità di utilizzate i poteri di inchiesta del Congresso ed è noto che uno degli obiettivi del leader dei Repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, che probabilmente succederà a Nancy Pelosi ha promesso un’indagine su Hunter Biden, il figlio del Presidente, implicato in affari poco chiari in Ucraina e coinvolto nella vicenda di laboratori di ricerca di armi biologiche.
È prevedibile che la politica statunitense si caratterizzerà per un’alta litigiosità interna a causa della polarizzazione dovuta alla radicalizzazione del Partito Repubblicano sotto la spinta di Donal Trump tornato a candidarsi alla Presidenza. E ciò non potrà che riflettersi sulla politica estera di Biden, e questo anche se l’annunciata e temuta vittoria a tutto campo dei repubblicani non si è realizzata.
L’elettorato progressista si è mobilitato in difesa dell’aborto prova ne sia che negli Stati in cui tale diritto era effettivamente a rischio la performance dei Democratici è stata formidabile, mentre è stata deludente in altri casi. Altro cavallo di battaglia dei democratici è stata la delegittimazione delle pratiche democratiche da parte dall’ex presidente Trump e dei suoi sostenitori, che continuano a contestare la regolarità dell’elezione di Biden nel 2020 ed è significativo il fatto che malgrado un’alta inflazione ciò non sia stato sufficiente per far perdere la maggioranza al Senato ai democratici
e anche la vittoria alla Camera dei rappresentanti è stata contenuta.
Questo risultato costringe tuttavia Biden ad adottare maggiore prudenza rispetto all’Ucraina in ragione degli alti costi che il sostegno alla guerra comporta. Il Congresso a guida repubblicano sarà molto attento al bilancio anche se il Presidente potrà continuare a contare sul sostegno della lobby dei produttori di armamenti e di quella abilissima e ben dotata che sostiene l’Ucraina e che, sostenuta dagli oligarchi e dal governo di quel paese, continua ad orientare le scelte dell’amministrazione anche promettendo diritti di sfruttamento sulle risorse minerarie del Donbass.
Non ha caso tutti i commentatori segnalano la vittoria schiacciante del governatore della Florida Ron DeSantis, un ultraconservatore definito “moralista e bigotto”, ma che non ha seguito Trump nel denunciare brogli e sull’aborto ha una posizione moderata che ha messo insieme una coalizione elettorale che abbraccia anche una parte significativa della comunità latina, è l’astro nascente del Partito Repubblicano ed è il maggiore contendente di Trump per la nomina a candidato presidenziale nel 2024. Invece, i candidati sostenuti da Trump sono stati sconfitti in Pennsylvania, in Arizona, Nevada e forse Georgia impedendo la conquista repubblicana del Senato. le scelte di Trump sono costate il Senato ai Repubblicani, con un grave danno di immagine per Trump.
Questo risultato elettorale sembra indicare che l’epoca della polarizzazione degli  schieramenti si avvia ad essere superata e che l’elettorato americano, là dove i seggi sono effettivamente competitivi, tende a preferire candidati che accettano le regole del gioco democratico, rifuggono da posizioni fondamentaliste su temi come l’aborto, e sono aperti ad articolare in senso meno rigidamente e ideologico il voto, progressista o conservatrice che sia.
Rimane il fatto che nonostante i democratici abbiano perso la maggioranza alla Camera, il vero sconfitto di queste elezioni sembra essere stato proprio lui, Trump.

Enrico Paganini