CASTELLO ULULÌ, LUPO ULULÀ

Sono ormai 30 anni che, ad ogni tornata elettorale, l’unica arma rimasta ad una forza politica (ma anche ad una intera area culturale che potremmo identificare con la parte – sempre più ristretta – mediamente benestante del paese) è un antifascismo ridotto a pura rappresentazione. Dove il fenomeno fascista, ben incarnato nella storia culturale, materiale, politica, viene ridotto ad una specie di bullismo rafforzato. La cosa è abbastanza banale: non potendo mettere in discussione il sistema capitalistico, viene meno completamente la parte di reazione di classe del fascismo “regime reazionario di massa”. Ci tocca davvero citare Togliatti (per una definizione che rimane perfetta), per cui il ventennio non diventa altro che un periodo di violenza cieca, di cattivoni che negavano la libertà (la libertà intesa ovviamente con il senno di poi: quello di fare come ci pare, a patto di avere i soldi).
Questa specie di farsa viene rimessa in piedi, dicevo, ad ogni appuntamento con i seggi. Io non so se gli Italiani vengano sparflashati come in MIB per cui ci si dimentica di quello che è accaduto pochi anni prima ma, vorrei ricordare che nelle vicende umane alcuni fatti accadono anche perché ne sono accaduti altri prima. E a volte su quelli accaduti prima qualche menagramo come noi aveva detto qualcosa.
Provo a riassumere velocemente, senza tornare tanto indietro (che, si sa, la storia è venuta un po’ a noia a tutti).
Lasciamo perdere la fine del PCI su cui si è scritto ormai anche troppo e su cui stenderei il velo della pietà e della ricerca filologica a cui ormai quelle vicende sono destinate. Facciamo lo stesso anche con la nascita, dopo 2 cambi di nome, del PD. Un esperimento completamente fallito, oppure del tutto realizzato (bisogna vedere da quale angolazione lo si guarda), che ha seppellito sotto un ammasso di coglionerie tipiche del neofita, qualunque analisi (non dico proposta) sulla società, accecato dalla nebulosa della “terza via” Blairiana, ovvero il proseguimento delle politiche della Tatcher con qualche discorso generico sui diritti. Per di più ideata da un criminale di guerra responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone in una guerra avviata su basi del tutto inventate. Non dimenticherei invece il discorso di Veltroni al Lingotto del 2007 “C’è poi un capitolo, del patto fra le generazioni, che dobbiamo avere il coraggio di non dimenticare. A carico di
noi tutti, ormai da vent’anni, pesa un ingente debito pubblico, conseguenza dei conflitti sociali degli anni ’70 e dell’irresponsabilità degli anni ’80. Anche questo, rischiamo di trasferire alle generazioni più giovani e ai nostri figli”. Un vero, e tutt’altro che innocente, manifesto ideologico.
Ma stringiamo. Anche se, mi pare sempre più evidente che la strada avviata dalla ex-sinistra non sia stata per nulla segnata da scelte sbagliate o ripensamenti (o, peggio, ancora per dirla con Fassino da “necessità storiche”), ma che si sia trattato di scelte politiche coerenti e ponderate. Tuttavia l’arrivo di Renzi ha segnato un ulteriore passo, forse inedito anche per il PD (di cui però è stato l’interprete più genuinamente radicale). Il giacobinismo renziano (che non ha conquistato il partito con la violenza ma con un mix spregiudicato di consenso reale, minacce e brutale spoil-system, guarda caso tutto a favore della vecchia e nuova leva democristiana) ha infatti costituito un passo assai ampio verso una totale tabula rasa del passato “comunista”. Una tabula rasa così spregiudicata che, a parte poche anime belle e meno belle, proprio ai rimasugli ex-comunisti l’uomo nuovo è piaciuto così tanto.
Qui vorrei ricordare la vera e propria politica di classe portata avanti dal rignanese e dai suoi degni compari: Job acts, abolizione art. 18, la “nuova scuola”, per non parlare dell’assalto alla Costituzione, condotto dal suo partito (dove adesso si fa finta di non ricordare) con una violenza inusitata contro chiunque si parasse nel mezzo: l’ANPI finì nella bufera con attacchi ad personam (partigiani ultranovantenni arruolati senza alcun ritegno, appuntamenti carbonari, accuse di “votare come Forza Nuova” ecc…). Per quanto dentro l’ANPI attuale, guidata da un ottimo dirigente, si preferisca sorvolare su quella stagione di appena pochi anni fa, evitando così di riaccendere dispute livorose, ma anche evitando di fare chiarezza su un passaggio non secondario, non esiterei a definire quel comportamento “squadrismo”. Persone “comuni” militanti o simpatizzanti di quel partito scelsero, anche a costo di bruciarsi i ponti dietro le spalle.
Ora, l’avvento di Renzi e la trasformazione di quel partito in una macchina caotica, fatta di singoli potentati e di miracolati dall’appartenenza al “cerchio magico” sono stati, a mio modestissimo parere, quanto di più simile a quello che era l’apparato del PNF. A scanso di equivoci e querele non voglio dire che il PD sia un partito fascista (mancano moltissimi elementi per poterlo anche solo pensare), ma che la struttura di quella formazione politica ha strettissimi legami con quella concezione. Occupazione degli spazi pubblici, politica come amministrazione, inesistenza in vita al di fuori (ricordo la lettera di Mussolini a Farinacci, critico estremista del regime “Ricordati che chiunque esce dal partito decade e muore. Cordiali saluti“).
Ma detto questo, e passata la cosiddetta “sbornia” Renziana (Renzi adesso pare non sia mai esistito. Eppure era il segretario del PD fino a pochi anni fa e il Parlamento attuale, fino al 25 settembre, è pieno di suoi adepti. Nella cancellazione della memoria gli eredi del PCI devo dire che hanno conservato bene quella del famoso motto di Guareschi: “contrordine compagni”) non è che le cose siano cambiate. Anzi sono peggiorate (o migliorate, sempre secondo il punto di vista).
Il PD, dopo le elezioni del 2018, aveva attaccato i 5 stelle come la peste, poi ci aveva fatto il governo insieme e dopo ancora, scaricando Conte, ha appoggiato il governo della Finanza, così come aveva appoggiato quello di Monti. In questa maniera ha dimostrato di essere il partito, non solo dei benestanti, ma del capitalismo finanziario, dell’austerità
ordoliberale, dell’atlantismo cieco e autolesionista. Io, francamente, non so che altro ci voglia per rubricare quel partito sotto la voce “avversari politici”. Forse l’amicizia con persone con cui si sono fatti percorsi di vita insieme impedisce una visione della realtà, o forse giocano altri fattori, complessi e imponderabili.
Ma nel proseguire verso la sua corsa nihilista il PD ha avuto anche il coraggio di tagliare anche il ramo su cui sta, andando a ridurre il numero dei parlamentari e approvare una legge elettorale il cui combinato disposto rischia di consegnare il paese ad una maggioranza in grado di modificare la Costituzione senza neppure bisogno del referendum confermativo.
A questo punto della storia, dopo la caduta di Draghi (il primo Presidente del Consiglio che cade in Parlamento avendo la maggioranza…. in Parlamento!) e la rottura con il M5S (che sa tanto di “offerta che non si può rifiutare” da parte del signor Atlantico) iniziano gli alti lai contro il “fascismo alle porte”.
Qui la questione si fa interessante: o davvero il PD è un partito di dementi (tutto può essere) e quindi ci troviamo di fronte ad una vera e propria patologia (dissonanza cognitiva, schizofrenia o forse “l’impermanenza dell’oggetto” delle fasi indicate da Piaget) oppure ha fatto qualche conto.
Ovvero: vince la destra alle elezioni, il governo non dura e si chiama un nuovo salvatore. Così il PD, sconfitto alle elezioni (voglio precisare che questa cosa di “vincere” le elezioni è in contrasto con l’impianto originario della Costituzione e del sistema parlamentare che vorrebbe la massima rappresentatività in Parlamento e un accordo fra le diverse forze politiche. Ma se si ragiona con la logica del vincitore o dello sconfitto proseguiamo logicamente in questa strada), tornerebbe sui luoghi ai quali non può rinunciare, pena la sua scomparsa: ovvero al potere, al governo, dove si decide la spartizione e come garante dell’ordine “atlantico” (necessario come il pane agli USA in crisi pluridecennale).

“Il diavolo fa le pentole non i coperchi”

Tuttavia, le cose non sempre (o quasi mai) vanno come si crede e potrebbe anche darsi che il governo di destra riesca a proseguire (anche perché per USA, un atlantismo vale l’altro, e non mi pare che la Meloni si caratterizzi per essere ostile agli USA, ad Israele).
Rimangono gli attacchi sui “diritti civili”- le uniche voci su cui si esprimono apparenti diversità di “programmi”.
Lo dico francamente, anche a costo di apparire superficiale, a me questa diatriba pare tutta fuffa ad uso mediatico, per evitare di affrontare un qualunque argomento di carattere politico, economico e sociale, visto che su questi aspetti la vedono tutti allo stesso modo (è il PUL: Partito Unico Liberale).
Ma dell’antifascismo in tutta questa cavalcata cosa rimane? Davvero si può pensare che un paese spoliticizzato da 30 anni, in cui l’ignoranza e la mistificazione della storia è diventata istituzionale (basti pensare al “giorno del ricordo” e delle giornate contro “il totalitarismo” europee, dove fascismo e comunismo vengono appaiati) a qualcuno interessi il fascismo come tema elettorale?
Ma anche noi dovremmo farcene una ragione: il tempo passa inesorabile e i paradigmi cambiano. Quanto potrà campare – se non di rendita – un antifascismo ridotto ad una favoletta contro un fascismo così genericamente inteso da dissolversi in una nebulosa che non si capisce neppure come possa essere sorto e abbia durato 20 anni?
Il quale comunque salì al potere senza elezioni e fu sconfitto combattendo, senza elezioni.

Andrea Bellucci