LOR SIGNORI

Non ci occuperemo delle discussioni su chi sarà il nuovo Presidente della
Repubblica. Mai come questa volta è affar loro, affare della casta che gestisce
questo paese, ne dilapida le risorse, producendo diseguaglianza, povertà e
miseria a intensità crescente.
I problemi sono altri, anche se chi è sopravvissuto alla crisi ingrassa e la produzione riprende. Ne sanno qualcosa lavoratrici e lavoratori delle tante aziende in crisi, il cui numero aumenta in modo inesorabile mentre, il Governo dei veti incrociati vara norme sulle delocalizzazioni del tutto prive di efficacia, affidandosi alla funzione regolatrice del mercato, come se la Confindustria e i suoi accoliti fossero i veri saggi di questo paese.
Il demiurgo, desideroso di spostarsi al Colle, ha dichiarato raggiunti gli obiettivi del Governo di controllo della pandemia di messa a punto dei piani del PNRR, ma tutti sono in grado di vedere quanto l’epidemia sia sotto controllo e per verificare a che punto sia la messa a terra dei progetti del PNRR basta scorrere la Relazione sullo stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza redatta in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2021, n.77,convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n.108. Si capirebbe allora che è stata predisposta la cornice teorica, la struttura, ma mancano molti dei progetti concreti e soprattutto mancano innumerevoli provvedimenti da approvare per rendere operativi i
progetti.

Un Governo allo sbando

Tutto questo avviene mentre molti nel Governo imboccano pericolose derive come fa Cingolani che sogna un nucleare sicuro ed ecologico che non esiste, in combutta con la lobby dei costruttori francesi di centrali e i procacciatori dell’uranio africano da quei territori nei quali l’Italia invia di nascosto soldati camuffati da incaricati di controllare i traffici di migranti.
Se c’era una riforma urgente da avviare riguardava il riordino dell’assistenza sanitaria togliendo immediatamente il numero chiuso a Medicina, stanziando le borse di sostegno agli specializzanti, avviare la formazione di personale infermieristico, intervenire sull’assistenza di prossimità modificando la gestione della medicina di base e progettando la struttura territoriale dell’assistenza. Ma niente di tutto questo. Manca una gestione delle crisi industriali e Giorgetti e il suo staff si stanno distinguendo per una gestione inesistente del MISE per quanto riguarda le crisi aziendali e la messa a punto dell’individuazione delle filiere strategiche da proteggere, perché rimangano nel paese e ciò malgrado che un Ministro che si diceva populista e sostenitore degli interessi nazionali dovrebbe dirigere e orientare significativamente la politica del
Governo.
E invece il Governo cincischia, è immobilizzato dai veti incrociati e il decisionismo del Demiurgo si scioglie come neve al sole a causa dei tatticismi necessari a destreggiarsi nella fase preelettorale della Presidenza della Repubblica e per ogni problema si ricorre al rinvio. Comunque vada il gioco del Quirinale sarà necessario un rimaneggiamento del Governo e della maggioranza e non solo perché il desiderio di tutti i parlamentari di mantenere in vita le Camere per poter maturare la pensione blinderà la legislatura. ma perché una lobby più potente si avanza per rivendicare la gestione dei tanti progetti del PNRR: si tratta di quella affollata pletora di tecnoburocrati, di grand commis, di teste d’uovo, che si propongono ed ambiscono a gestire il malloppo. È alle porte una battaglia per le nomine a questi incarichi che non risparmierà esclusione di colpi, che lascerà molti cadaveri nelle anticamere e darà un volto ai nuovi (vecchi?) padroni del
paese.

Guardando fuori dall’uscio

Mentre l’attenzione di tutti in Italia è ripiegata sui tanti problemi del paese e cresce la preoccupazione per la crescita dell’inflazione e dei prezzi dell’energia, complice un mercato selvaggio liberalizzato che strozza l’utente e lo rende vittima dello stolkeraggio dei tanti disperati che lavorano nei call center a caccia di clienti, abbiamo smesso di guardare fuori dall’uscio, cosa che ci ripromettiamo di fare con i prossimi numeri andando a guardare ciò che avvenne nell’America Latina dopo che il Cile è stata evitata la vittoria del candidato pinoschettista emule di Bolsonaro. Si è aperto nel paese un
percorso di ricostruzione costituzionale che merita di essere analizzato anche nella prospettiva delle prossime elezioni in Brasile che dovrebbero vedere la candidatura di Lula che riporterebbe il paese fuori dalla stretta dei militari e della destra.
Dovremo guardare con attenzione a quello che avviene nell’area dimenticata del Corno d’Africa e cercare di capire dove va l’Etiopia, paese da sempre determinante rispetto agli equilibri dell’area. Dovremo cercare di capire cosa sta cambiando nei paesi rivieraschi del Nord Africa, ne va non solo della politica migratoria ma anche di un possibile spostamento dell’attenzione dell’Europa verso il sud dell’Unione e quindi verso il mediterraneo. Sarà essenziale fare chiarezza sulle presenze francesi (e italiane) in Africa.
È tempo di tornare ad occuparsi della politica globale della Cina delle sue vie della seta e dello sviluppo dell’area del Pacifico meridionale sulla quale si trovano in competizione la Cina e gli Stati Uniti mentre si disegna un ruolo nuovo per Giappone Corea del Sud e Singapore nei processi di assetto economico finanziario dell’area con Singapore che sta definitivamente prendendo il ruolo di Hong Kong come piazza finanziaria dell’area.
Bisognerà indagare su che cosa succederà negli equilibri politici del sub continente indiano dopo il ritiro USA dall’Afganistan e su quanto, l’India radicalizzata dal fondamentalismo indù sarà in grado di trovare alleati nell’area o non finirà per spingere i paesi islamici dell’area ad una santa alleanza che coinvolgerebbe non solo il Pakistan, potenza nucleare come del resto l’India, ma anche l’Indonesia che è il paese islamico più popoloso del mondo.
L’area del mondo arabo vive le sue guerre dimenticate come quella dello Yemen e insieme l’eterno conflitto arabo israeliano che ruota intorno alla crisi su Gaza e a quella libanese, complicata dalla trattativa aperta sul nucleare iraniano.
Quanto è lontano il rippresentarsi sulla scena mondiale del fondamentalismo islamico che ci ha abituato a un andamento carsico per cui scompare per poi immediatamente e improvvisamente riesplodere?
Mentre gli Stati Uniti vanno velocemente a sbattere, stretti in una crisi tra democratici e trumpiani, indice e conseguenza di un paese spaccato in due dal suprematismo bianco in crisi e da una componente multietnica che fatica a prevalere, prende corpo una situazione che pone quell’economia in una situazione di incapacità di riprendersi dalla
seconda sconfitta militare consecutiva della sua storia. Ci sono voluti circa venti anni per superare il trauma vietnamita; quanti ne saranno necessari per superare quello afgano?
Occorre guardare in prospettiva alla politica energetica Russa e alle necessità di sicurezza di quella che rimane una delle più grandi potenze militari del pianeta a fronte di una politica aggressiva ed espansiva condotta dalla NATO la quale tende costantemente ad allargarsi mettendo in pericolo gli equilibri strategici: in questo quadro lo scontro sull’Ucraina e quello sull’esportazione di gas in Europa offrono la cartina di tornasole non solo per gli esiti dello scontro ma incide sull’area europea.

L’enigma Europa

L’Europa è impegnata in una gigantesca trasformazione della propria economia e in un fase di transizione che la pone in una condizione di oggettiva fragilità e debolezza che può essere superata solo a condizione di serrare i ranghi nella direzione di una maggiore integrazione. Per raggiungere questo risultato deve sconfiggere e mettere a tacere le tante voci e componenti sovraniste. Non sarò facile: per farlo serve una politica economica coraggiosa, occorre mutare le condizioni che consentono alle forze sovraniste di operare, strozzandole economicamente e questo si può fare solo accrescendo i settori di condivisione e andando spediti verso una gestione comune del debito, verso una politica fiscale comune, ostacolando e ponendo fine al dumping fiscale e salariale, altrimenti il progetto di riconversione green fallirà.
Solo una maggiore coesione tra gli Stati membri può creare le condizioni per il graduale ingresso nell’Unione dei paesi balcanici che ne sono ancora fuori e rispetto ai quali occorre impedire che questi divengano i luoghi nei quali continuare a far sguazzare le imprese che speculano su un minor costo del lavoro, condizioni fiscali di privilegio, una
legislazione del lavoro carente nei diritti, soprattutto delle donne.
Se sarò unita e coesa l’Europa potrà mantenere la promessa fatta agli scozzesi di mantenere accesa la luce in previsione di un loro ritorno. É un dato di fatto che – complice la pandemia la Brexit si è rivelata un disastro le cui conseguenze negative sono in costante crescita: ne viene che solo una Europa forte e coesa potrà permettersi di accogliere i brandelli, uno per uno del Regno disunito.
Poiché i tempi entro i quali questo processo è destinato a realizzarsi non sono molto lunghi l’unione deve attrezzarsi e approfittare dell’assenza degli inglesi per darsi nuove regole e rinforzare la coesione se non si vuole che riprenda spazio il freno costante al processo unitario esercitato dalla Gran Bretagna durante la sua permanenza nell’unione. Per questo motivo urge che da subito vengano presi provvedimenti verso i paesi del gruppo di Visegrad e soprattutto verso la Polonia e l’Ungheria. Sanzioni e sospensioni disposte oggi verso questi paesi saranno la ricchezza di domani
Sarebbe bello, utile e significativo che il confronto si aprisse non sui diritti umani – e questo non perché non siano importanti – ma perché più gravide di conseguenze sarebbero politiche europee comuni in materia di contrasto al dumping salariale, fiscale, e normativo, promuovendo anche una comune legislazione sui diritti dei lavoratori e il rispetto delle regole e delle condizioni di lavoro omogenee su tutto il territorio dell’Unione. Inoltre una generale vertenza per l’uguale salario tra uomini e donne potrebbe sanamente costituire un elemento comune per tutti i paesi

La Redazione