A Place in the Sun

“La Gran Bretagna non ha alleati, amici o nemici eterni. Solo interessi permanenti”
Lord Palmerston, ministro degli Esteri dell’impero britannico, Primo marzo 1840, Camera dei Comuni.

Con ogni evidenza Lord Palmerston difficilmente oggi potrebbe ispirare una qualche simpatia. Ma, probabilmente, anch’egli si sentirebbe fuori luogo aggirandosi, smarrito, nel nostro mondo, costellato di “guerre umanitarie”, di “papi buoni”, di “capitalismi sostenibili”. Il capitalismo del suo tempo era quello che era: crudele, rude, disumano. Le nazioni del suo tempo erano quello che erano: dominate da una élite di uomini d’affari miranti a conquistare spazi, merci e mercati. La classe dominante, senza se e senza ma.
Oggi le considerazioni critiche sul mondo attuale sono di norma appannaggio e appannate non dalle rivendicazioni sociali e dalle lotte che, quando ci sono, e ogni tanto ci sono, si accendono, sempre più parcellizzate, spesso parziali e incomprensibili anche a chi le agita.
No, le considerazioni sono dominate dal dilagare di teorie irrazionali e piagnone, dal complotto universale, dalla paranoia dominante (che altrimenti come avrebbe potuto un gruppo di inquietanti sprovveduti come quelli del M5S arrivare al 25% nelle ultime elezioni).
Prima di ogni considerazione, l’astante di turno, premette che “io non sono mai stato comunista”, “lungi da me voler affrontare le questioni in maniera ideologica”, come se l’ideologia o il comunismo fossero “effetti collaterali” di un mondo distillato in provetta, imperturbabile e indifferente. Come se l’ideologia non fosse uno sguardo sul mondo. Forse l’unico. La classe operaia (quella mitizzata, quella dei sacrifici necessari, della fine della scala mobile) è scomparsa all’improvviso. Non dal mondo, beninteso, ma dall’orizzonte di chi diceva di conoscerla.
Questo declino del raziocinio è stato accompagnato dalle necessarie e complementari ideologie (queste sì dominanti) della “fine del lavoro” accolte con leggerezza da tanti compagni e meno compagni (dove il termine libertario si è accompagnato molto spesso a quello di una perenne ricreazione).
Come se la liberazione dal lavoro potesse avvenire in questo modo e in questo mondo.
In questo mondo asimmetrico la liberazione dal lavoro (la fine dell’odiato “posto fisso”) non poteva che essere la disoccupazione, il precariato, la deindustrializzazione (perché difendere l’industria? Meglio fare il freakkettone in qualche posto alternativo. La liberazione del lavoro passa dall’agricoltura biologica?).
Beninteso, disoccupazione, precariato, salari bassi sono da sempre gli strumenti canonici del capitalismo (con tanti saluti a chi crede il contrario cullandosi in belle idee tipo “investire in R&S”: e perché mai se nessuno è obbligato a farlo?). La differenza è che questi strumenti sono ormai da un trentennio condivisi e applauditi proprio da chi dovrebbe essere la vittima.
Eichmann capì che sarebbe stato molto difficile e complesso deportare milioni di persone per massacrarle nei campi di sterminio. Molto, molto più facile fare sì che fossero le stesse vittime a presentarsi, con documenti alla mano per recarsi
verso la propria morte.
Qualcuno si sveglia oggi perché si comprano la Telecom per pochi spiccioli. E allora? Mi verrebbe da dire, ‘è’ il capitalismo, bambini, quello vero’. Dopo un ventennio di privatizzazioni e svendite del patrimonio industriale italiano (qualcuno si ricorda di una cosa chiamata “Nuovo Pignone?”) 1 ci si straccia le (finte) vesti di un nazionalismo industriale davvero poco credibile.
Quando ormai l’Italia è (e dovrebbe essere ormai evidente anche ai più riottosi, convinti che la realtà sia quella che il proprio partito nelle decine di giravolte, gli ha raccontato, anche se ormai si è smesso anche di raccontare qualunque cosa) destinata, nella divisione del lavoro, ad essere un paese di consumatori di prodotti di scarto, del lusso e del turismo, come in ogni paese colonizzato che si rispetti.
Preti e papi che vanno nelle fabbriche a predicare lavoro, discussioni surreali su una parola misteriosa come quella di “esodati”, una riforma delle pensioni che, più che una riforma, è un genocidio (accolta senza colpo ferire: d’altronde non l’ha mica fatta Berlusconi), padroni e sindacati a braccetto per difendere non si sa bene cosa.
Eh sì Lord Palmerston si sarebbe davvero trovato a disagio. Noi invece continuiamo a predicare il “made in Italy” che non è quello a cui pensava Olivetti molti anni orsino (macchine all’avanguardia, ricerche scientifiche, progetti sociali complessivi) ma è composto dalle varie sagre, dai “prodotti tipici”, dal “marketing territoriale” (qualcuno sa di preciso cosa sia?).
Non ci rimane che sperare e confidare, dunque, come sempre, nel nostro posto al sole, però quello delle spiagge e degli ombrelloni, non quello Dreiser2 ne tanto meno di Mussolini. Forse, il poveruomo, si troverebbe anche a lui a disagio. Tra aratri e spade apparteneva ad un mondo che ormai, quando può, fa a meno anche del fascismo e delle bombe, che, infatti, cessarono nel 1980.
Ne ammazza di più la televisione che la repressione.

Andrea Bellucci