Ragioni e prospettive della crisi

Nel 2004 discutemmo in un seminario indetto su linee guida individuate da Saverio Craparo dell’aggiornamento a quella data dell’analisi economica; rilevammo che nel corso dell’ultimo decennio il sistema capitalistico aveva subito correzioni ma il meccanismo di controllo del ciclo produttivo non aveva trovato che una soluzione parziale e inefficace al problema del rilancio dell’accumulazione, per la quale
permaneva l’insicurezza. Individuati alcuni fattori di instabilità del sistema, analizzavamo la situazione tentando delle previsioni sulla futura evoluzione di assetto, che i fattori di crisi allora in gioco rendevano necessaria. Per far questo occorreva riempire una nuova, quarta, riga della tabella che riproduciamo nella quale sono rappresentate le intenzioni di mutamento del capitale nel prossimo decennio.

Periodo Tecnologia Produzione Mercato Struttura Controllo
2.1 Fino agli anni ’70 elettromeccanica fordismo oligopoli stato-nazione moneta
2.2 Dagli ani ’80 sei tecnologie ciclo frammentato competizione per segmenti reticolo di azinede aree omogenee ?
2.3 Nuovo secolo finanza ciclo frammentato concentrazione oligopolistica sviluppo neuronale authority
2.4 Prossimo decennio finanza parziale ricomposizione monopoli di settore sviluppo neuronale authority

Lo schema risultante è quello sopra riportato.
Rilevavamo altresì che “se il neoliberismo, mai completamente applicato nella realtà, ha comunque costituito uno schema teorico utile per consentire la rottura col paradigma keynesiano, ormai da un ventennio non è più neppure la teoria di riferimento degli operatori economici. Si sono affacciate nuove teorie economiche”.
L’intuizione era corretta ma allora non riuscivamo a intravedere quale sarebbero stati i futuri obiettivi per quanto riguardava l’individuazione del nuovo terreno di controllo del ciclo, tanto da lasciare scoperta la relativa casella nella tabella, e conservavamo grandi perplessità sul ruolo della moneta nel produrre crescita e sviluppo per la sua capacità di generare fenomeni speculativi distruttivi per l’economia reale. Quanto è avvenuto ci ha dato ragione e gli effetti delle bolle speculative sui derivati sono sotto gli occhi di tutti. Rimane il problema delle nuove frontiere dello sfruttamento e dell’accumulazione che sembrano risolte per i paesi di nuovo sviluppo (Cina, India, Brasile e Sud Africa), i quali stanno percorrendo la fase dell’industrializzazione profonda relativa alle attività di trasformazione e di produzione.
Rimangono gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa la quale rappresenta il mercato più vasto e dalle enormi potenzialità ma deve trovare al suo interno elementi di economia reale che la dotino delle risorse necessarie a consumare se non a produrre. Insomma in Europa il sistema capitalistico deve saper trovare nuove prospettive per l’accumulazione.

La “ricapitalizzazione” dello sfruttamento

Prima di procedere è necessario formulare alcune considerazioni di merito.
1. Queste considerazioni muovono dalla convinzione che non sia veritiera la teoria marxista sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, intesa come crisi ultima del capitalismo.
2. Il capitalismo è una teoria economica dinamica capace d’inventare, progettare, creare nuove e diverse opportunità di sviluppo e non è racchiudibile all’interno di una visione statica dell’uso degli strumenti di produzione e dell’organizzazione dello sfruttamento.
3. Il capitalismo progetta lo sfruttamento e ne cambia la forma ma non la sostanza. Pertanto rimane un compito essenziale della classe operaia ( intesa in senso più ampio dal riferimento a coloro che lavorano in fabbrica) e degli sfruttati costruire l’alternativa al sistema di sfruttamento capitalistico ribaltandolo attraverso la costruzione di un movimento di massa basato sulla progressiva autocoscienza e autorganizzazione.
4. Lo sviluppo del capitale non segue linee e fasi omogenee ed uniformi e pertanto accade che all’interno delle stesse aree territoriali coesistano sistemi di sfruttamento caratteristici di cicli diversi di sviluppo.
Pertanto non esistono forme economiche arretrate ed avanzate ma forme di sfruttamento integrate, composte di volta in volta dai fattori organizzativi necessari a articolare lo sfruttamento.
5. Da ciò consegue che le forme di sfruttamento, sia pur caratteristiche o prevalenti in un’area territoriale, vengano utilizzate e sperimentate sia pure in misura diversa a livello globale.
Ciò premesso oggi il capitalismo sperimenta soprattutto in Europa, ma applica a livello globale, una strategia tendente ad impossessarsi dei beni comuni per farne occasione di speculazione e di profitto. Si spiegano così le politiche sull’ambiente a livello globale di inquinamento (distruzione dell’ambiente attraverso lo sfruttamento selvaggio di esso); impossessamento delle risorse energetiche, vecchie e nuove (petrolio e gas ma anche solare e eolico); accaparramento dei beni essenziali come l’acqua mediante la sua privatizzazione; acquisizione e controllo delle materie prime necessarie alla produzione; impossessamento e sfruttamento della terra iniziando con l’acquisirne i diritti di proprietà per poi commercializzarli o destinarli a produzioni funzionali di volta in volta al modello di sfruttamento (es. produzione di carburanti attraverso l’agricoltura).

Le nuove frontiere della rapina

Ma tutto ciò non basta e occorre pianificare una politica di accumulazione nelle aree di de industrializzazione dei paesi avanzati, ad esempio dell’area europea. Questo processo è guidato dal capitale finanziario, il quale si fa promotore di una più estesa liberalizzazione del mercato e di impossessamento dei beni comuni per reintrodurli nel circuito del profitto. Si spiegano così gli interventi sulle municipalizzate che gestiscono servizi, sui trasporti – primo tra tutti il servizio ferroviario -, sulle poste, sulle proprietà immobiliari pubbliche, sull’energia e la sua distribuzione, ecc. Il fine è che questi settori divengano occasioni di investimento e di profitto soprattutto là dove sono venute meno le attività delle industrie manifatturiere e di trasformazione.
A guidare questo processo è, dicevamo, il capitalismo finanziario e speculativo che ha il suo principale centro di direzione mondiale a Wall Street ed in particolare nella Goldam&Sachs, ma conserva un’ottima base nella City di Londra e nei capitali finanziari dediti soprattutto alla speculazione che da qui si muovono per condizionare i mercati.
Si contrappone a questo modello il sistema economico disegnato in Europa dalla Germania, la quale punta in prevalenza all’attività di produzione di beni e alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti, credendo che la qualità delle merci sia in grado di difenderla in una situazione di una crisi di mercato così profonda. E’ irrealistico pensare che le manovre recessive in atto nei paesi europei (e non negli Stati Uniti, dove si stanno avvicinando alle elezioni con un possibile cambio di guardia) li preservi dalla crisi. Le loro esportazioni si restringerebbero e la crisi eventuale (ma improbabile dell’euro) renderebbe del tutto non competitivi i loro prodotti.
2. Sono sinteticamente queste le cause profonde dell’attacco all’Euro.
3. E’ in questo scenario che avviene l’attacco alle economie europee attraverso l’innalzamento dello spread.
4. Sono questi i motivi di base delle cosiddette liberalizzazioni.
L’ultima visita di Monti alla City è l’ufficializzazione dell’eventualità che l’Italia potrebbe passare dall’area della Germania a quella della Gran Bretagna; la borsa londinese e gli speculatori hanno raccolto il messaggio e non si oppongono ad una diminuzione dello spread dei titoli italiani.
Perché l’Italia sia credibile sui mercati occorre sia apra all’ingresso di capitali speculativi nel paese, che offra alla finanza internazionale il settore dei beni comuni come un campo libero nel quale raccogliere profitti, che sconfigga definitivamente le residue sacche di resistenza operaia.

Il Governo Monti e noi

Le scelte di Monti e di Napolitano sono forti e chiare e abbiamo dei seri dubbi sul fatto che Bersani e soci capiscano dove si sta andando; lo sa bene D’Alema i cui legami con la City emergono a tratti ma in modo sempre più netto. Al momento propendiamo per la complicità inconsapevole, vista l’inconsistenza di analisi politica che caratterizza il PD, la sua visione miope dei rapporti internazionali, il suo essere nello schieramento di sinistra europeo un coerente difensore del liberismo.
Quello che a noi interessa rilevare è che da questa politica i lavoratori non hanno niente da guadagnare, ma anzi vedranno ridotte le loro capacità di resistenza allo sfruttamento e vedranno impoverirsi ulteriormente le proprie condizioni di vita.
Le privatizzazioni in materia di trasporti avranno riflessi negativi sulla quantità e qualità del servizio, nonché dei suoi costi, come l’esperienza inglese dimostra. La vendita del patrimonio pubblico ricorda tristemente analoghe operazioni frequenti nella storia d’Italia, caratterizzate da bassi ricavi e risoltesi in un regalo agli acquirenti. Le dismissioni della presenza pubblica nei servizi minaccia di distruggere il valore e
la funzione sociale di essi.
Ma quel che è centrale in questa strategia, ben interpretata dal governo più politico che l’Italia ha avuto negli ultimi quaranta anni almeno, è l’attacco a quel che resta del mondo del lavoro. Esso avviene su due direttrici:
a) l’assenza di una politica industriale di sostegno all’occupazione e di mantenimento delle attività produttive, finalizzata a distruggere i luoghi di resistenza e azione operaia;
b) la distruzione della legislazione sulla tutela del lavoro mediante l’abrogazione o comunque il ridimensionamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori; visto il valore fortemente simbolico che questo fatto avrebbe, segnalando la rotta totale del movimento antagonista.
c) l’abolizione del valore legale e obbligante del contratto nazionale di lavoro;
d) l’attacco ai lavoratori del pubblico impiego e della scuola indicati come causa di spesa parassitaria che si risolve in una riduzione complessiva delle libertà.
Ci abbiamo provato.
E’ vero, nel 2004 non abbiamo saputo veder chiaro, ma avevamo tentato di farlo e abbiamo comunque lottato con le nostre povere forze contro l’introduzione diffusa del principio di sussidiarietà, denunciandone l’inganno; abbiamo svelato la truffa nascosta dietro al passaggio dal servizio pubblico al servizio universale; abbiamo cercato di contribuire a rafforzare i nuclei di resistenza operaia continuando a lavorare anche
nel sindacato; abbiamo lottato nella scuola e nelle università cercando di difenderne laicità, qualità, ruolo sociale; ci siamo impegnati nelle battagli sociali ma…..siamo sconfitti a meno che…
A meno che non riparta una battaglia in tutti i campi che, tenendo conto della mobilitazione che il deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro producono, inevitabilmente emergeranno.
In queste occasioni l’avere ragionato e capito quali sono le cause della crisi e le caratteristiche della fase che attraversiamo può essere utile a noi e a chi ci legge per saper indirizzare le lotte, saper distinguere tra le iniziative di classe e quelle nate da un’agitazione di tipo sanfedista, da sempre cavalcata dalla destra sociale.
Il nostro punto di attacco non può che essere quello della difesa dei beni comuni, del posto di lavoro e del salario, dei servizi, soprattutto sanità, scuola e trasporti.

Il collettivo redazionale