La serietà del capitale

Le agenzie di rating hanno il compito di valutare la capacità finanziaria di paesi ed imprese, di misurare la loro idoneità ad effettuare pagamenti e investimenti a breve – medio – lungo termine nonché quello di emettere giudizi e prognostici relativi al rischio di mancati pagamenti. Tutte queste valutazioni, nonostante la loro complessità, sono gestite a livello monopolistico da solo tre agenzie capaci letteralmente di dominare il
business del rating a livello globale. Si tratta della Moody’s, della Standard & Poor’s e della Fitch Ratings. Il loro obiettivo è quello di elaborare un linguaggio idoneo a far comprendere agli investitori il livello di rischio delle singole operazioni, in modo tale che questi, confortati da valutazioni che avanzano pretese di razionalità, possano decidere liberamente se investire o disinvestire su un titolo.
La nascita delle agenzie risale al 1909, data in cui vennero istituite al fine di valutare le emissioni obbligazionarie delle compagnie ferroviarie americane. Costituite limitatamente a quest’ambito, vedono poi espandere il proprio raggio d’azione ad altri settori fino a emettere valutazioni in materia di solvibilità, andando così a svolgere attività che un tempo erano portate a termine dagli istituti di credito, prima di un loro impegno nella concessione di finanziamenti.
Ad incoraggiare la loro diffusione nel Regno Unito prima e negli USA poi, sono state le stesse legislazioni nazionali le quali hanno consentito di attribuire a enti privati compiti di natura giurisdizionale che altrimenti sarebbero di competenza dello Stato. Tutto ciò si trasformò di fatto in un massiccio ricorso alla giustizia arbitrale fatto con modalità da riflettere al momento della nomina degli arbitri il peso specifico dei contendenti.
Ecco che poco alla volta, avvantaggiate da una serie di interventi loro favorevoli e dall’ampliarsi vertiginoso del mercato mobiliare, le agenzie vedono accresciuto il proprio ruolo fino a trovarsi coinvolte nella formulazione di pareri dalle conseguenze sempre più incisive e decisive, in grado di segnare i destini dei governi nazionali, soprattutto quando si tratta di esprimersi sul rischio associato al debito pubblico.
Protagoniste indiscusse della finanza mondiale, fin dall’inizio del XX secolo hanno accumulato ingenti ricchezze che ne hanno accresciuto competenze e poteri, quanto meno fintanto che gli scivoloni rimediati in occasione del caso Enron e Parmalat non hanno offerto lo spunto per puntare su di loro i riflettori dell’opinione pubblica mondiale. Da allora si è iniziato a scandagliare il loro modo di operare, spesso spregiudicato e
disinvolto, scarsamente trasparente e inficiato da uno strisciante conflitto di interesse.
Di fatto è proprio il modo in cui è stato concepito il funzionamento dell’agenzia a non offrire le necessarie garanzie: essa riceve i propri compensi, che ne garantiscono la sopravvivenza, proprio dalle imprese clienti che deve esaminare. Inoltre il giudizio è comunicato in anteprima all’emittente cui è riservata la decisione se renderlo pubblico o meno. Tutto ciò allora ci dimostra l’assoluta inaffidabilità di un lavoro così gestito.
Se le agenzie hanno risposto alle accuse mosse nei loro confronti opponendo che il loro compito non è quello di scoprire frodi finanziarie, ma semplicemente quello di emettere pareri E’ però altrettanto vero che quando un Stato viene “declassato”, la sfiducia del mercato nei suoi confronti aumenta e il paese si “ trova a pagare un premio di rischio più elevato sul suo debito che viene a costare di più a seguito dell’aumento del tasso d’interesse ”; così D. Snower presidente del World Institute for Economics di Kiel. Questi sono stati i presupposti della crisi greca; gli stessi presupposti che attualmente fanno tremare la penisola iberica, visto che la Standard & Poor’s ha recentemente ridotto l’affidabilità del Portogallo e della Spagna da “AA+” a “AA”. Ne
è una conferma il fatto che al declassamento del Paese è seguito il tonfo della borsa di Madrid dove l’indice Ibex 35 è crollato.
Limitandoci ad una analisi ristretta ai soli confini europei, potremo dire che se un Paese uscisse dall’Eurozona, rischio realmente corso dalla Grecia, il suo rating, verrebbe qualificato come “junk”, cioè spazzatura. Peggio ancora sarebbe poi convertire il debito pubblico, precedentemente espresso in Euro, nella nuova valuta nazionale; in un caso del genere il rischio di default crescerebbe in maniera esponenziale, come la
svalutazione del nuovo conio.
Tutto ciò non fa altro che confermare l’enorme potere di queste agenzie che si trovano a reggere le sorti delle economie di interi continenti. Agenzie e derivati, di fatto figli di uno stesso progetto criminoso presentatesi al mondo come strumenti per aiutare le imprese a proteggersi dalle oscillazioni dei prezzi e dalle turbolenze fisiologiche del mercato, in realtà si sono ben presto trasformati in strumenti ideali per svolgere una
selvaggia attività speculativa i cui eventuali rischi verranno scaricati direttamente sui contribuenti, vittime di una trama di malaffare e di speculazione su scala globale.
In un sistema presentato alla collettività come vischioso ed oscuro, fatto d’interessi trasversali e di corruzione internazionale, c’è anche chi, in maniera tanto radicale e schietta e forse anche altrettanto disincantata, ha proposto non solo di chiudere le agenzie di rating ma le stesse Borse. Questa è stata la proposta coraggiosa di Lordon che su Le Monde Diplomatique prospetta perfino la “chiusura” del sistema capitalistico.
Ma il pensionamento del sistema capitalistico, tanto opportuno quanto auspicabile, non credo possa essere anche possibile.
Attualmente l’unico serio impegno è quello di garantire la diffusione e la trasmissione di dati veritieri sulla base dei quali ogni operatore economico servendosi semplicemente di un apposito software, può dirsi autonomamente in grado di valutare da sé il rating, con la conseguenza che moltissime aziende americane ed inglesi, benedette per anni da rating ingiustificati crollerebbero immediatamente di fronte a una analisi veritiera
e disincantata, scevra da ogni tipo di condizionamento e di pressione. Forse più praticabile la chiusura delle agenzie di rating che oggi non hanno di fatto più alcuna ragione d’esistere, soprattutto dopo che una forte diffidenza si è andata radicando nei confronti della finanza e del mondo dello scambio dai tratti sempre più marcatamente virtuali.
Infatti se un tempo l’investitore medioevale che acquistava le azioni della nave, ne conosceva il nome, la capacità di carico, la velocità, il capitano e l’esatta l’indicazione di cosa vi si trasportava, concludendo di persona la operazione, oggi l’investimento è effettuato solo parzialmente dai soggetti coinvolti in prima persona, mentre larga parte è effettuato da operatori di borsa per conto terzi che operano sulla base di informazioni incontrollate e incontrollabili, a volte messe in circolazione in modo fraudolento. Le cronache giudiziarie relative al caso Parmalat ci hanno dimostrato come le ditte possano “truccare” con noncalanche i bilanci facendo apparire ora attivi favolosi ora perdite altrettanto clamorose, onde evitare il pagamento dei dividendi, a seconda di ciò che sembra al momento più conveniente. Se queste sono le premesse sulle quali si
fondano le operazioni finanziarie sarà poi facile immaginare quali saranno le conseguenze. A dir poco catastrofiche.
Se i bilanci sono falsi, conseguentemente vendere ed acquistare azioni sarà una lotteria. Si tratta di un gioco d’azzardo legalizzato in nome del mercato e di una sua fantomatica capacità di autoregolamentazione naturalmente inesistente, se i presupposti su cui ci si fonda sono alterati. La finanza mondiale ha ordito un sistema che si fonda e si sorregge sulla avidità delle sue vittime, come del resto accade per tutte le truffe. Il risparmiatore stordito della possibilità di enormi guadagni perde il lume della ragione. Quindi di fronte alla prospettiva di un guadagno ragionevole intorno ad un 4-5% preferisce un più lauto 15-20% anche se più rischioso. Comportamento assolutamente umano, comune al mercato come alla politica, dove l’elettore è
portato a seguire i proclami più sensazionali, anche quando questi spesso e volentieri vanno al di là di ogni effettiva possibilità di realizzazione.
Che ciò sia nella natura delle cose è vero, ma questo non significa che lo Stato, come organismo equilibrato e capace di attività legislativa, non debba intervenire su distorsioni di tal genere attraverso leggi che si concretizzino in interventi ben calibrati capaci d’infliggere serie sanzioni, rilevanti in sede civile, amministrativa, ed anche penale dove potrebbe essere interessante muoversi nell’ambito delle multe, delle
ammende e delle pene accessorie, proponendo di nuovo i modelli dell’etica applicata e della più generale solidarietà sociale che quotidianamente, quanto meno in Italia, subiscono preoccupanti affronti da chi propone modifiche agli artt 1 e 41 della Costituzione, in nome di un mercato che domanda di continuo una libertà che sempre di più si sta trasformando in una pericolosa impunità dietro la finzione della persona giuridica.

Letizia Solazzi