Si fa un gran parlare di riforme istituzionali e gli anarchici sono portati a snobbare questi problemi considerandoli beghe interne al sistema di potere, convinti come sono che il dominio del capitale e lo Stato siano sempre se stessi.
Ma dal punto di vista dei comunisti anarchici che hanno attenzione per le istituzioni, le forme di governo, le modalità e gli istituti di governo del capitale sono estremamente importanti perché danno la misura di quale sia lo spazio lasciato alle lotte sociali, alle libertà civili; di quali siano i meccanismi di accumulazione del capitale, i sistemi di controllo sociale e quale sia l’uso della forza per reprimere la naturale propensione delle classi subalterne a rivendicare i propri diritti.
Le necessità delle riforme
Destra e sinistra istituzionali sono convinte dell’ineludibile necessità delle riforme istituzionali. Eppure la stagnazione della lotta di classe, la crisi profonda dell’occupazione e del sistema produttivo vanno nella direzione di assicurare il perdurare del potere del capitale. Le classi subalterne, schiacciate dal bisogno,
difficilmente possono insidiare il perdurare del potere capitalistico. Il fatto è che i padroni vogliono vincere ancora di più e creare le coperture a una nuova distribuzione del reddito e dei profitti già avviata ma che ha bisogno della sanzione istituzionale per sancire una diversa distribuzione delle risorse, che accanto a un gruppo di super ricchi veda la presenza di un numero alto di poveri senza l’intermediazione assicurata in passato dalla classe media e senza che essi si ribellino.
Per gestire questo modello di ripartizione della ricchezza le forme della democrazia borghese sono superate e c’è bisogno di un sistema fortemente accentrato nei processi decisionali, privo degli orpelli costituiti dal controllo parlamentare, basato sulla figura plebiscitaria del leader, autoritario, supportato da un forte sistema di autonomie locali che permetta di scaricare in periferia le tensioni sociali creando isole tendenzialmente omogenee di interessi, dove la composizione sociale sia a base interclassista e la solidarietà di comunità, supportata dall’etnia, dalla religione, dalle tradizioni, dal dialetto e perfino dalle reti parentali, costituisca un corpo coeso da contrapporre a ogni altro.
E’, per capirci, la visione leghista della società la quale – attenzione – non è un modello arretrato ma anzi è un tipo di struttura avanzata, anche se regressiva sul piano dei valori e della solidarietà, della gestione dell’accumulazione.
Del resto dovremmo aver capito da tempo che la storia non va sempre avanti in direzione dell’emancipazione e verso società più giuste ma a volte – spesso – è segnata da fenomeni regressivi. Sta alle forze sociali e di classe in campo spingere in una direzione o nell’altra.
L’esigenza di un centro forte
Quanto più si decentra sul territorio, quanto più si fa ricorso al federalismo dissolutore, c’è bisogno di un centro forte: da qui l’esigenza di riformare la Presidenza del Consiglio e il sistema parlamentare.
Perciò: abolizione del bicameralismo perfetto (Camera e Senato) ma una sola Camera e un luogo di compensazione degli interessi (il cosiddetto Senato delle regioni); ma soprattutto un leader con forti poteri.
L’accostamento con l’armamentario istituzionale fascista è perfino banale solo che si paragoni il Senato delle regioni alla Camera dei fasci e delle corporazioni; il paragone non è scorretto perché le regioni rappresentano bene gli interessi corporativi e particolari sul territorio come ben facevano le professioni in passato.
Tuttavia l’attenzione sembra doversi soffermare sul rafforzamento del premier, sia esso il Presidente della Repubblica o un Cancelliere forte. Di fronte a questa esigenza l’attenzione dei riformatori della destra e della sinistra istituzionale è andata al fascismo e alla riforma che esso fece non a caso della Presidenza del Consiglio.
Ciò avvenne con L. 2263/1925, recante disposizioni in tema di “attribuzioni e prerogative del Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato”. Con questo provvedimento vennero definiti i caratteri propri del primo ministro, individuato sostanzialmente come “centro” del doppio rapporto fiduciario (sbilanciato inizialmente a favore del Parlamento), ad un tempo primo ministro – ossia investito del potere di “dirigere e coordinare” l’opera dei ministri (art. 3), quindi inteso nella sua funzione politica di “impulso”; e, anche, “Capo del Governo”, per significare la sua collocazione al vertice dello Stato – apparato (in quanto amministrazione).
Questo disegno venne completato con Legge n. 100/del 1926, che, disciplinando la “facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche”, pone formalmente le condizioni per la dilatazione della sua centralità istituzionale e per l’esautorazione del Parlamento. Ad esempio, si consideri che il termine di conversione dei DL viene fissato in due anni e che si è posto sotto controllo il potere giudiziario con la nomina dei Pubblici Ministeri, direttamente imputabile al Governo, con la conseguenza di un potere giudiziario condizionabile dall’esecutivo, come oggi si è tornato ad ipotizzare, in violazione del principio – formalmente accolto in nome dello Stato di diritto – della divisione dei poteri.
Eppure queste istanze sono condivise in larga parte dalla sinistra istituzionale, la quale ha imboccato la direzione del rafforzamento dell’esecutivo già dalla fine degli anni settanta spostando l’asse del rapporto tra rappresentanza e governabilità a favore del secondo, mediante l’estensione dei poteri normativi del governo (L. 400/88 e poi con il D.Lgs 300/99 e 303/99 e la L.233/206) e, non di meno, prefigurando – diversamente dal
disegno della costituzione formale vigente – il rafforzamento degli specifici poteri del Presidente del Consiglio.
Questo tema è costantemente presente in tutte le fasi del dibattito sulle “riforme istituzionali”: dalla Commissione Bozzi sino alla Commissione D’Alema, al tentativo di riforma organica della II parte della Costituzione, bocciato in sede referendaria ed è da ultimo ricomparso nella “Bozza Violante”.
La novità della proposta attuale
Niente di nuovo si dirà la riproposizione in altra forma del fascismo! Per di più con la sinistra istituzionale sostanzialmente d’accordo. E ancora è la riproposizione del progetto istituzionale della P2 della quale il presidente del Consiglio come molti dei suoi accoliti facevano parte. Siamo di fronte a una forma di regime che elimina senza abolirlo formalmente il bilanciamento dei poteri degli organi costituzionali, ma stabilisce il primato dell’esecutivo. Parlamento, Corte Costituzionale, autonomia della Magistratura, Presidenza della Repubblica restano in piedi, ma non contano più nulla, sono privi di potere.
Invece il potere dell’esecutivo, della Presidenza del Consiglio cresce insieme alla legislazione per decreto legge e del continuo ricorso ai voti di fiducia; il tutto in presenza di un sistema politico rappresentativo basato sul principio maggioritario dove gli eleggibili sono scelti dai leaders dei diversi partiti e gli elettori possono solo votarli. Il Parlamento non è più la stanza di compensazione delle diverse forze e classi presenti
nella società borghese, ma una adunata di veline, venditori di commercio selezionati da agenzie di vendita porta a porta, rappresentanti di questa o quella cordata di faccendieri.
Ma non basta, c’è qualcosa di diverso e se possibile anche di peggio.
C’è di nuovo la presenza del comitato d’affari costituito presso la Presidenza del Consiglio che porta il nome di Protezione Civile: una società d’affari che opera sul mercato traendo profitto e utilizzando risorse e poteri illimitati, fuori da ogni controllo e agisce in regime di stato d’assedio e di legge marziale, direttamente controllata dal Premier. L’articolo 5 della Legge 343 del 2001 permette a questa struttura di operare
sospendendo l’applicazione di qualsiasi norma e procedura, di gestire il territorio attraverso l’esercito e la dichiarazione dello stato di emergenza (tanto che le assemblee dei terremotati a l’Aquila erano soggette a preventiva autorizzazione delle autorità militari). Inoltre il DL n. 90/2008, convertito dalla L. 123/2008, ha stabilito che le ordinanze aventi ad oggetto la gestione dei “grandi eventi” non sono soggette al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti per cui con i soldi della protezione civile il Premier può fare quello che vuole.
La differenza tra il capo del fascismo e l’attuale Premier è che il primo amava fare il contadino e si faceva fotografare mentre mieteva il grano, il secondo fa il palazzinaro e si fa fotografare con le escort.
Ce n’è per discutere compagne e compagni.
La discussione è aperta.
Giovanni Cimbalo