Giochi di ruolo

Lo psicodramma del PD continua e va in onda a rallentatore non
appassionando nessuno se non le persone direttamente coinvolte.
Malgrado ciò ci tocca occuparcene perché quel che avviene nell’ex partitone ha pesanti influenze sul paese e impone una discussione profonda a sinistra e una riflessione sulle carenze, le incapacità e le responsabilità di tutti coloro, compresi i comunisti anarchici, che si collocano su posizioni di classe.
A morire, finalmente, è il partito cosiddetto a vocazione maggioritaria, voluto da Veltroni e frutto del patto perverso di annegare l’eredità del PCI in quella della DC o per dirla più nobilmente con le parole dei proponenti, di fondere in un partito unico la “sussidiarietà cattolica con la solidarietà socialista e comunista”. Ora, con il senno di poi, si dice che si è trattato di una “fusione a freddo” tra gruppi dirigenti e da ciò deriverebbero le attuali difficoltà: ma avrebbe potuto essere diversamente?
E poi i due partiti originari, (tre se si includono i socialisti), erano esenti da colpe e la loro eredità era degna di essere tramandata: è questo uno dei primi nodi che deve essere sciolto!
La DC è stato il partito dei cattolici nel quale si sono coagulate le forze più retrive del paese e che ha gestito per decenni il potere con spregiudicatezza, intessendo rapporti con le mafie. Al suo interno c’era una componente largamente minoritaria di cattolici democratici che avevano partecipato alla lotta antifascista, ma sempre su posizioni di fedeltà alla Chiesa in nome della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa che predica la
collaborazione di classe tra capitale e lavoro e che propone una società basata su valori configgenti con una visione egualitaria della società.
Il PCI è stato un partito che è riuscito a pervertire le potenzialità rivoluzionarie del proletariato italiano, incanalando la lotta di classe su posizioni non solo riformiste ma compromissorie sul piano sociale e politico.
Nato da una scissione del Partito socialista ha militarmente eliminato le avanguardie rivoluzionarie nella guerra di Spagna, (a cominciare dai comunisti anarchici), ha massacrato con espedienti tra i più diversi le componenti comuniste rivoluzionarie presenti nella Resistenza negli anni dal 1943 al 1945, , si è presentato sulla scena
politica nazionale come l’opposizione costituzionale a garanzia dei lavoratori in un’ottica di collaborazione di classe.
Rispetto a questo partito occorre operare una distinzione tra i suoi quadri dirigenti e la sua base, la quale è stata protagonista delle lotte dei lavoratori e ha difeso le posizioni di classe, malgrado la presenza di un quadro dirigente perennemente dedito al compromesso e alla cogestione con il potere e le forze padronali.
Nella cosiddetta prima repubblica esistevano due partiti di massa: PCI e DC.. Il radicamento territoriale del PCI si basava sulle sezioni e le case del popolo. Per la DC il nerbo erano le parrocchie, cui localmente si aggiungevano piccoli o grossi potentati locali, spesso collusi con la malavita organizzata. L’ex Presidente del Consiglio proviene da uno di questi piccoli potentati locali, di cui la DC serviva per favorire i propri affari e queste nulla avevano a spartire col cattolicesimo sociale. Con queste premesse la fusione non poteva esserci veramente e non poteva che lasciare dei nodi irrisolti. Parimenti la collocazione di classe non poteva che essere a favore del padronato e contro i lavoratori.
In questo contesto l’irrompere di Renzi e della sua banda di ventriloqui nel partito e sulla scena politica del Paese , costituiscono un corpo estraneo, privo di qualsiasi riferimento ideologico e di visione politica, frutto di un gruppo affaristico di provincia, con forti addentellati negli ambienti affaristici, inserito nella vecchia di DC, come tanti, per pura convenienza.

Il partito a “vocazione maggioritaria”

Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’URSS i dirigenti del PCI decisero di reinventarsi, mettendo in atto una operazione di maquillage. Dismisero il campo valoriale del socialismo (perfino riformista), si fecero agenti del turbo capitalismo e sostenitori del “nuovo che avanza”, proponendosi come forza capace di gestire la nuova fase del capitalismo. Cercarono di iniettare nei militanti e nel paese l’idea che l’obiettivo era assumere il potere per guidare dall’alto il cambiamento e per farlo si allearono con i cugini democristiani, anch’essi ormai privi di prospettive. Ebbene, ambedue i partiti vennero schiacciati dal sistema delle corruttele a tutti i livelli (inutilmente contrastati dall’inchiesta mani pulite). La loro era palesemente una scelta di ulteriore spostamento a destra dell’asse politico, preceduta da una politica sindacale che a partire dalla scelta dell’EUR aveva piegato profondamente la classe operaia.
Tuttavia alla nuova destra gli italiani preferirono il modello originale e da qui nasce l’affermazione di Berlusconi che per 20 anni ha contenuto e spesso sconfitto il partito a vocazione maggioritaria.
Riflettendo sulle ragioni di questa sconfitta i dirigenti dell’aggregato politico del quale abbiamo parlato dettero vita dieci anni fa al PD consapevoli che per attuare il loro progetto bisognava incidere sulle leggi elettorali muovendo da alcune considerazioni:
– Il progressivo distacco dei cittadini dalla partecipazione, dovuta all’inconsistenza della proposta politica, fanno crescere un astensionismo fisiologico
– Prende piede l’idea che non occorre che tutti votino; basta che votino in maggioranza i sostenitori del “partito a vocazione maggioritaria”
– Perché i voti siano sufficienti a governare sarebbe bastato cambiare il sistema elettorale, introducendo il sistema maggioritario, il ballottaggio e il premio di maggioranza.
A questo disegno il voto referendario ha per ora messo fine. Si impone quindi un cambio di strategia.

La scomposizione del campo di gioco

La clamorosa sconfitta referendaria ha fatto piazza pulita di una riforma costituzionale scritta male, dai contenuti inaccettabili redatta da ignoranti pressappochisti sia sul piano tecnico scientifico che politico, gestita da una improbabile ministra delle riforme istituzionali e di suoi consiglieri sprovveduti sul piano tecnico. Il crollo della riforma ha portato con se quello della legge elettorale, giudicata illegittima dalla Consulta che ha
imposto un sistema elettorale proporzionale, inquinato da un improbabile premio di maggioranza per un partito che superasse il quaranta per cento dei voti e caratterizzato dalla presenza di capi lista bloccati nei diversi collegi e quindi di nomina delle segreterie dei partiti.
Nella nuova situazione un partito a vocazione maggioritaria non serve più. Bisogna ritornare alla tecnica delle coalizioni e delle alleanze. Perciò il furbetto di Rignano, dopo essersi rimangiato il l’auto pensionamento, ha deciso di varare una nuova strategia, Come prima mossa, facilita la nascita del Campo progressista di Pisapia che deve garantire in funzione subalterna un alleato al PD trasformato in PDR che, opportunamente dimagrito, rimane l’asse di centro dello schieramento politico, possa ricevere sostegno all’occorrenza. Per creare le truppe inesistenti del campo progressista fuori del PDR bisogna spingere fuori dal PD la minoranza. Basta alzare i
toni, far fuori la minoranza, privandola di future candidature e il gioco è fatto. La minoranza ha una strada obbligata: morire di morte lenta e uscire di scena, oppure uscire dal partito e provare a sopravvivere.
Ad uscire sono stati quelli che hanno o pensano di avere un po’ di truppe e di radicamento sociale, e che si illudono di recuperare consensi tra i delusi dalle politiche renziane. Il compito di dare delle motivazioni all’operazione viene dato all’ottimo Epifani, che con un intervento estremamente dignitoso e di rara lucidità politica sviluppa una critica rigorosa alle politiche renziane.
Ce n’é abbastanza per motivare la presa di distanza dal bulletto di Rignano ma a permettersi il lusso di uscire sono quei dirigenti che hanno o pensano di avere ancora un radicamento tra i militanti della diaspora PD.
E’ perciò che non esce il governatore pugliese il quale esaurisce la sua occupazione di spazio nel perimetro del suo corpo, a dire il vero notevole. Da qui il suo atteggiamento levantino: per dotarsi di proprie truppe deve farsi conoscere e la battaglia congressuale è una buona occasione e perciò resta dentro.
Gli altri tardivi oppositori di Renzi, animati da buoni propositi, ma infestati dalla presenza di D’Alema, cercheranno di dar vita a un nuovo soggetto politico e si muoveranno all’interno del cantiere della sinistra costellato di tante piccole e grandi macerie e affatto dotato di una strategia delle alleanze e di un lucido programma politico.
Già, il programma politico: è questo che manca agli uni e agli altri e su questo punto che cade il progetto renziano che ha un solo prioritario obiettivo: fare presto. Infatti ogni giorno che passa la situazione si deteriora le possibilità per lui diminuiscono, sia a livello nazionale che internazionale.

La situazione italiana e il quadro internazionale

Le proposte programmatiche dei partiti della sinistra sono assenti in tutti i paesi del mondo. Lo sforzo più compiuto fatto da Bernie Sanders negli Stati Uniti è stato momentaneamente sconfitto e altrettanto è avvenuto nel Regno Unito per Jeremy Corbyn. Qualche barlume viene dalla Germania con la candidatura di Martin Schulz, ma il suo programma non è ancora definito, anche se comincia a caratterizzarsi per l’attacco alla precarietà e la denuncia delle assenze di garanzie per i lavoratori. In Francia si odono i primi vagiti di una proposta di sinistra con la candidatura di Benoît Hamon.
Se il campo della sinistra socialista è ancora privo di una proposta organica per affrontare l’attuale fase economica e sociale, altrettanto possiamo dire dell’inconsistenza della componente di destra delle forze della cosiddetta sinistra: ci riferiamo al riproporsi dello screditatissimo Blair in Gran Bretagna, per non parlare
dell’inconsistenza della Clintom, ma mettendo in conto il possibile rapido declino di quei loro epigoni quali Macron e Renzi che cercano di rivendere idee e proposte neo liberiste, superate dalla fase di sviluppo attuale del capitale e messe in crisi dai fallimenti del neoliberismo e dalla esaltazione acritica della globalizzazione.
Le candidature di costoro, fortemente pompate dai media, finiscono inevitabilmente per cedere il passo agli esponenti genuinamente della destra istituzionale come Fillon che riguadagna consensi perché l’elettore di destra ai nuovi venuti preferisce l’usato sicuro. Ecco perché Macron come Renzi si avviano a un rapido e inesorabile declino ed ecco perché il leader italiano va in California per abbeverarsi alla fonte di probabili suggeritori, per proporsi ai big della Silicon Valley (che sarebbero degli stolti ad affidarsi a lui) oppure per cercare ispirazione, nella più buona delle ipotesi illudendosi di carpire la chiave per soddisfare i bisogni di queste forze sociali.

I populismi all’attacco

A insidiare le posizioni di questi neo centristi alla Renzi non solo i raggruppamenti sovranisti come la Lega in Italia, Le Pen in Francia o Alternative für Deutchland di Frauke Petry in Germania, ma anche “terze forze” la più consistente delle quali è il movimento 5stelle che rappresenta quanto di meglio l’anti politica può offrire e che si propone come alternativa alle diverse forze in campo di destra e di sinistra.
Il merito-demerito di questo partito è quello di aver fatto da contenitore alla protesta sociale, impedendo che questa esplodesse al di fuori delle istituzioni. Per raggiungere questo scopo i 5stelle hanno adottato la tecnica del sono non sono,ovvero: non sono di destra e non di sinistra, sono un movimento e non un partito, decido con la democrazia di base – una testa un voto-, ma comandano i proprietari Casaleggio-Grillo (con diritto di successione compreso), sono onesto ma ho all’interno i giochi tra le correnti, e quindi gli scontri d’interesse, ecc.
Questo gioco del sono-non-sono ha catturato un terzo dell’elettorato italiano, sottraendolo all’impegno in campo sociale con metodi e azioni anti-istituzionali, capaci di proporre concrete strutture alternative di contropotere, partecipate e consapevoli, nei quali fosse possibile elaborare idee e proposte per una società alternativa, anche semplicemente ipotizzando uno sviluppo diverso possibile. Questa operazione ha tolto spazio sia alla sinistra riformista di origine socialista sia alle possibili proposte dei libertari. Il sistematico saccheggio dei valori e delle prospettive di sviluppo da questi ipotizzate come l’azione diretta e quindi l’impegno di ognuno in prima persona, la partecipazione alle scelte attraverso la democrazia di mandato con diritto di delega,
sono state manipolate e opportunamente distolte verso una sostanziale conservazione.
Le incapacità della sinistra e dei libertari e dei comunisti anarchici.
Le cause del successo dei 5stelle sono in larga parte il frutto delle incapacità della sinistra di proporre una alternativa credibile.
Le membra sparse della sinistra ci stanno tentando in questi giorni e alla componente di movimento fino ad ora costituito da Sinistra Italiana e dai rimasugli di Rifondazione & C. vedono arrivare i fuorusciti del PD che si portano dietro legami profondi con quadri e dirigenti sindacali, e soprattutto una quota dall’entità ancora non nota di opzione sulle proprietà delle 63 fondazioni nelle quali venne suddiviso il patrimonio immobiliare e
no del PCI. Si tratta di una rete di case del popolo di circoli e ambienti che potrebbero essere rivitalizzati proiettando la loro azione sul territorio e dando quindi la base sociale necessaria all’azione politica che si va ricostruendo.
Il pollo di Rignano non si capisce se questo lo sa o più facilmente di ciò non si preoccupa, avendo una visione mediatica della gestione della sua base elettorale; e così saranno due mondi a scontrarsi.
Ciò che fa tristezza, tanta tristezza è l’assoluta inadeguatezza della presenza comunista anarchica non solo numerica ma di proposte di analisi e di idee. Non basta la capacità di analisi per progettare occorre proporre il futuro, individuare soluzioni credibili e percorribili e questo lavoro non si fa davanti al proprio computer ma vivendo nel sociale lasciandosi prendere dalle iniziative a livello di massa. Ed è perciò che
dobbiamo guardare con attenzione, partecipando alle azioni di massa proposte, da quella parte della sinistra anche istituzionale e dalle residue membra della sinistra antagonista, perché nelle azioni concrete intraprese possano crescere le nostre proposte e i comunisti anarchici possano ricominciare a elaborare, proporre,
costruire.

La redazione