Il ciclo di lotte partito nel 1968-1969 portò il movimento operaio in Italia a maturare il più alto livello di conquiste normative e salariali, nel volgere di pochi anni. Nel febbraio del 1968 viene avviata la riforma sanitaria trasformando gli ospedali in enti pubblici. Il processo di riforma si concluse con il passaggio della competenza in materia sanitaria alle Regioni e nel 1980 con l’istituzione del servizio sanitario nazionale.
Cambia la stessa vita sociale: dopo la riforma del diritto di famiglia viene introdotto il divorzio e poi approvata la legge sulla tutela della maternità che consente l’aborto, vengono aboliti i manicomi e la società civile si mobilita in difesa della laicità della scuola della quale si rafforza la funzione sociale.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro con la legge 20 maggio 1970, n. 300 (“Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”), conosciuta come Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici si cercò di consolidare importanti e significative conquiste scaturite dalle lotte a tutela della dignità dei lavoratori. Si
introdussero così modifiche sia delle condizioni di lavoro sia dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, venne riconosciuto il diritto di assemblea sui luoghi di lavoro e il ruolo delle rappresentanze aziendali dei lavoratori e delle lavoratrici e dei consigli di fabbrica e la partecipazione di questi organismi alla contrattazione a fianco delle OO SS.
E queste non furono le sole conquiste di quel ciclo di lotte. Infatti l’indennità integrativa speciale per i dipendenti pubblici, introdotta con la legge n. 324/59 venne estesa ai lavoratori del settore privato e con l’accordo interconfederale del 1975 per l’industria, stipulato tra Confindustria da un lato e CGIL, CISL e UIL, gli scatti di contingenza vennero rapportati alla retribuzione delle singole categorie di lavoratori e corrisposti
trimestralmente.
Perciò quando Luciano Lama, Segretario Generale della CGIL nel 1977, nella Conferenza nazionale dei consigli generali e dei quadri di Cgil, Cisl e Uil, fece votare la politica dei sacrifici per affrontare la fase economica sulla base della tesi che il salario non rappresentava più una variabile indipendente, di fatto, iniziò la liquidazione delle conquiste del ciclo di lotte precedenti. Venne così inaugurata la concertazione, sostenendo l’esistenza di un comune interesse tra capitale e lavoro. Lama venne ripagato con il posto di vice-presidente del Senato, il paese con 37 anni di concertazione, i lavoratori con la progressiva distruzione delle loro conquiste e
dello stesso sindacato. Da allora infatti invalse l’abitudine a concertare piuttosto che a contrattare.
La politica dei redditi come frutto della concertazione
Venne cosi varata la cosiddetta politica dei redditi volta a contenere l’inflazione attraverso il controllo delle variabili costituite dai salari e dai margini di profitto. Affinché non vi fosse inflazione il salario nominale doveva variare nella stessa misura della produttività e il margine di profitto non modificarsi. L’assenza di inflazione avrebbe potuto esserci qualora i salari fossero cresciuti in misura diversa rispetto alla produttività, purché la crescita del margine di profitto compensasse al ribasso il differenziale venutosi a creare. La politica dei redditi agiva, quindi, modificando la distribuzione delle risorse prodotte rispetto a quella che sarebbe emersa spontaneamente dal mercato. Per conseguire questo risultato venivano imposti sia alle imprese che ai sindacati specifici comportamenti, come il blocco dei salari.
Come ci dice anche l’Enciclopedia Treccani “La politica dei redditi è definita indiretta, o di mercato, quando utilizza il quadro istituzionale della spesa pubblica e del prelievo fiscale, incentivando o disincentivando determinati comportamenti al fine di orientare le scelte delle parti sociali [e] istituzionale quando agisce sul quadro normativo delle relazioni industriali, in modo da trasformare le regole del confronto sociale da competitive a cooperative, includendo nel dialogo tra sindacati e imprese anche lo Stato”.
L’adozione di questa “filosofia” di relazioni tra le parti comporta l’introduzione di un obbligo esplicito, diretto o indiretto, di cooperazione e l’istituzionalizzazione di un tavolo trilaterale di negoziato permanente, caratterizzato da elementi di scambio economico nella negoziazione attraverso investimenti pubblici, politiche del lavoro o politiche industriali per le parti sociali che si comportino in modo cooperativo e non inflazionistico.
Vengono così introdotti elementi di scambio politico, di natura economica, indirettamente rilevanti attraversò la stipula di un patto sociale la cui efficacia può essere condizionata dal grado di centralizzazione del sistema delle relazioni industriali. La lotta di classe che contrappone capitale e lavoro viene anestetizzata. E’ il trionfo della politica dell’EUR.
Tappe significative della politica dei redditi furono nel 1984 la modifica della scala mobile e nel 1993 la firma del Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, che definì gli assetti contrattuali, le politiche del lavoro e gli interventi a sostegno del sistema produttivo. Imprese, sindacati e governo sottoscrissero un accordo in più punti che rappresenta il primo sistematico intervento di politica dei redditi di tipo istituzionale.
Al protocollo del 1993 seguì l’Accordo per il lavoro del 1996, il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 1998, il cosiddetto Patto di Natale del 1998, il Patto per l’Italia e il Contratto per il lavoro del 2002. In questi accordi i temi cruciali come la politica dei redditi e di contenimento dell’inflazione si intrecciano con nuovi obiettivi e priorità, quali la politica della spesa pubblica e dell’occupazione, la riforma del mercato del lavoro, la previsione di ambiti e assetti istituzionali per la contrattazione collettiva e la formalizzazione delle procedure della stessa concertazione.
L’accettazione della concertazione istituzionalizzata apriva alle OO. SS. le porte della Sala Verde presso la Presidenza del Consiglio nella quale si svolgevano i rituali incontri tra le parti sociali; così il sindacato aveva accesso al tavolo di concertazione indipendentemente dalla forza che era in grado di mettere in campo. Ciò contribuiva alla disarticolazione e al disarmo dei lavoratori e delle lavoratrici, chiamati a subire gli effetti di una rappresentanza istituzionalizzata e priva di una reale verifica di base, soprattutto nella fase di predisposizione delle piattaforme contrattuali e nella fase di verifica dei risultati conseguiti nel rapporto con le parti padronali.
A partire dal 2002 questa politica entrava sempre più in crisi e con la crisi economica del 2008 veniva definitivamente meno la concertazione sugli investimenti e la stessa redazione dei piani industriali di settore.
Era la fine della programmazione e degli interventi pubblici nelle infrastrutture, della redazione dei piani industriali. I contratti subivano di fatto un congelamento e si succedevano ripetuti rifiuti dei Governi a sedersi al tavolo delle trattative il che paralizzava l’attività sindacale.
Toccava al Governo Renzi formalizzare la fine della contrattazione sancita dalla concessione di 80 € in busta paga a migliaia di lavoratori, direttamente e senza intermediazione sindacale, in assenza di concertazione.
Si trattava di un incremento salariale più alto di quello ottenuto da molti contratti a segnalare l’inutilità del sindacato, il quale veniva liquidato come interlocutore istituzionale e sociale, sconfitto sul suo stesso terreno, quello di garantire il reddito dei lavoratori e delle lavoratrici occupati.
Al tempo stesso le OO. SS., prive di ogni capacità di mobilitazione, si dimostravano incapaci di
difendere il posto di lavoro di coloro che lo perdevano per effetto della crisi economica e altrettanto incapaci di assumere la difesa di un mondo del lavoro sempre più destrutturato, composto da precari o inoccupati. La riduzione progressiva e inarrestabile dei salari ormai privi di qualsiasi incremento, trasformava anche molti lavoratori occupati in “incapienti” a causa dell’insufficienza del salario percepito a soddisfare le esigenze e i bisogni necessari ad assicurare la sopravvivenza. L’assenza di una protezione universale dei redditi (reddito di cittadinanza) faceva aumentare a dismisura le condizioni di disagio sociale che oggi registriamo.
La concertazione era finita e fallita più nei fatti e negli indicatori economici che nelle scelte ideologiche e malgrado ciò le OO. SS. continuavano a rivendicare il tavolo di triangolazione tra sindacati, governo e imprese.
Il ritorno necessario della contrattazione
Nella nuova situazione che caratterizza i rapporti tra le parti sociali è evidente che se il sindacato vuole continuare a esistere deve riprendere a fare contrattazione e che è nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici sollecitare e imporre questo recupero di identità.
Si tratta di capire che non di concertazione c’è bisogno, ma di conquistare il tavolo di trattativa con la mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Perché ciò avvenga bisogna cambiare, partendo dalla definizione delle piattaforme di rivendicazione contrattuale, da come si costruiscono per far si che esse siano condivise e per consentire ai lavoratori di riconoscersi nelle richieste avanzate alle controparti. In sede di redazione della piattaforma rivendicativa, sia essa nazionale che locale, di gruppo o di impianto, di società multinazionali o di piccola impresa, deve essere possibile formulare richieste, analizzarle in assemblea, approvarle, facendo pronunciare i lavoratori sulle modalità di mobilitazione e di lotta da mettere in campo.
Effettuata questa verifica occorre ricordarsi che la notifica della piattaforma alla controparte deve essere preceduta e seguita da forme di mobilitazione e di lotta; lo sciopero è solo una di esse, la più importante, che deve essere accompagnata e sostenuta da forme di disarticolazione della catena di comando aziendale che incidano sul profitto, il rendimento d’impresa, il funzionamento di un servizio o ufficio. La creatività dei lavoratori e delle lavoratrici e la profonda conoscenza dell’organizzazione del lavoro che essi hanno, può e sa produrre forme di lotta che rendano non conveniente per il padrone, che è controparte, la situazione di conflitto, al punto da indurlo a trattare.
Compito del sindacato è quello di generalizzare la lotta, di evitare che essa venga isolata, di espanderla, coinvolgendo il territorio, stabilendo dei collegamenti in orizzontale attraverso la creazione di piattaforme e mobilitazione di settori produttivi, e in verticale, attraverso i rapporti nazionali e internazionali che passano per la ricostruzione della filiera di comando e della ragnatela di interessi che la controparte padronale ha creato per governare l’impresa. Queste relazioni, questi collegamenti vanno attaccati simultaneamente e disarticolati con intelligenza, in modo da creare una situazione di crisi e indurre la controparte ad accettare il tavolo di contrattazione trattando da posizioni di forza.
Le fasi della contrattazione e la verifica degli accordi
Esperita questa fase le vertenze sono appena iniziate e tanto più forte sarà la forza con la quale si inizia la contrattazione, tanto maggiori saranno le possibilità di successo. Perciò somma cura e attenzione va dedicata alla messa a punto della piattaforma contenente le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici Essa va costruita attraverso il dibattito in piccoli gruppi, le proposte formulate vanno assemblate, votate nell’assemblea di tutti.
Poi la piattaforma va spiegata a tutti i lavoratori, in fabbrica come sul territorio; a svolgere questo compito devono essere prima di tutto i lavoratori sindacalizzati che vanno mobilitati e responsabilizzati. Vanno creati gruppi di studio e di propaganda per approfondire la conoscenza dell’organizzazione aziendale che divengano patrimonio del comitato di lotta che va creato per gestire la vertenza, del quale devono poter far parte sindacalizzati e non, uniti dal comune interesse alla vertenza.
Nell’organizzazione della partecipazione di massa alle lotte le tecnologie informatiche possono essere utili per diffondere l’informazione, per stimolare la partecipazione, per motivarla. Ad esempio va stilato un resoconto immediato o se possibile va trasmessa in streaming la trattativa, va pubblicata la piattaforma via via affiancata dalle controproposte padronali, affinché la contrattazione venga vissuta come corpo vivo da tutte le persone interessate che potranno così vigilare sul comportamento della delegazione trattante. Della delegazione trattante, oltre ai sindacalisti, devono far parte dei delegati d’assemblea, meglio se non iscritti ai sindacati.
Una contrattazione così organizzata permetterà di coinvolgere nella vertenza il territorio e di creare alleanze tra i lavoratori e gli erogatori, anche privati, di servizi all’impresa o i commercianti, interessati a mantenere in vita i loro clienti-consumatori, realizzando in modo positivo l’alleanza con i ceti medi che vanno attratti verso i lavoratori e non consegnati alla controparte.
Una contrattazione così organizzata dovrà potere e sapere coinvolgere le istituzioni nel sostegno alla vertenza e questo non solo perché il lavoro è un diritto, ma perché il dovere di solidarietà sociale impedisce che le istituzioni siano neutrali nello scontro tra capitale e lavoro. Con questi metodi sarà possibile generalizzare la lotta, confidando nella grande creatività dei lavoratori e delle lavoratrici nel mettere in atto iniziative di
mobilitazione e di lotta.
Più lo scontro si farà duro e maggiore dovrà essere lo sforzo di generalizzazione delle vertenze, estendendo la mobilitazione a tutte le unità produttive coinvolte nella filiera o nel settore nel quale si svolge la vertenza, con azioni di solidarietà, ricordando che l’obiettivo della lotta di classe è l’uguaglianza, almeno tendenziale, delle condizioni di vita e di lavoro e non delle opportunità. Questo slogan riformista ha infatti l’effetto di trasformare la lotta per l’affrancamento dello sfruttamento e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro da individuale a collettiva.
L’introduzione della contrattazione al posto della concertazione serve anche a far capire all’apparato sindacale, al funzionariato, che lo scontro di classe che caratterizza ogni vertenza, ogni contrattazione, porta con sé il rifiuto del sindacalismo di mestiere e che quindi l’azione e l’attivismo sindacale è un ruolo volontario conferito dai lavoratori e non un mestiere. La continua riproposizione delle stesse strategie, il comportamento
tipico di una burocrazia sindacale stabilizzata, produce inevitabilmente sconfitte. L’avvicendamento, anche personale, dei lavoratori e delle lavoratrici nelle delegazioni trattanti è utile perché consente di evitare che si creino rapporti di conoscenza e di connivenza tra datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici. La controparte padronale non deve saper sfruttare i comportamenti personali, le caratteristiche individuali di chi contratta ma deve trovarsi di fonte a un mutamento costante dei ruoli in modo da essere disorientato e questo perché la lotta sindacale è parte della vita di ognuno e non un mestiere.
Di grande importanza infine la fase di valutazione degli accordi. Gli accordi sottoscritti a conclusione delle vertenze vanno sottoposte all’approvazione assembleare dei lavoratori e delle lavoratrici dopo aver consentito loro di confrontarli con i contenuti della piattaforma e avendo cura di illustrare i punti di caduta del a contrattazione consentendo al tempo stesso ai lavoratori di pronunciarsi sulle ulteriori forme di lotta in caso di mancata approvazione degli accordi. Dagli strumenti di verifica non va escluso il referendum.
L’accettazione della contrattazione come sistema di relazione tra capitale lavoro deve portare alla massima trasparenza belle scelte. La delegazione trattante non potrà essere formata solo da sindacalisti, ma prevedere anche la presenza di non sindacalizzati, nella veste di delegati d’assemblea, e ciò per far si che sia mantenuta salda l’unità tra delegati e deleganti in una corretta applicazione della democrazia di mandato.
Partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici e contrattazione
Ciò detto il problema non è dunque solo quello del mantenimento in vigore o anche l’estensione a tutti delle tutele individuali e collettive, degli ammortizzatori sociali, fino ad arrivare al reddito di cittadinanza, ma quello di un complessivo intervento in tutta la struttura delle relazioni sindacali e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici a partecipare e gestire le relazioni con i datori di lavoro.
In questa fase la battaglia è dunque duplice: far capire alle organizzazioni sindacali tutte, comprese quelle del sindacalismo sociale, che contrattare significa modificare profondamente nella direzione che abbiamo illustrato il concetto stesso di rappresentanza, ristrutturare completamente la delega e che questa è la precondizione per lo sblocco dei contratti e per dare un nuovo volto alla contrattazione. La legge più volte invocata sulla rappresentanza non può essere la foglia di fico per nascondere il desiderio degli apparati sindacali di vedersi riconosciuti istituzionalmente attraverso una strada diversa dalla concertazione, ma un grande catalogo dei diritti dei lavoratori a riprendersi la rappresentanza dei loro diritti e interessi.
E’ difficile riuscire in questo intento, ma questa è la sfida del nuovo ciclo di lotte che va accompagnata dalla ripresa dell’impegno sociale sul territorio, perché è li che comunque vivono i cosiddetti “incapienti” i titolari di rapporti di non lavoro che gestiscono la loro povertà, i lavoratori cosiddetti autonomi che autonomi non sono – perché hanno un padrone sociale rappresentato dal sistema economico complessivi
di gestione della società -, le fasce dei tanti lavoratori subordinati che benché lavorino, percepiscono un reddito minimo e insufficiente a una vita appena dignitosa e sono solo proprietari della loro povertà.
Perciò vanno impostate e gestite con la tecnica della contrattazione, vertenze sulla scuola, la salute, i diritti degli anziani, quelli dei giovani, vertenze da condurre sul territorio, assumendo le istituzioni come controparti, impegnandosi a vigilare sui loro comportamenti.
Democrazia di mandato significa anche che gli eletti nelle istituzioni sono in libertà vigilata, sottoposti al controllo delle popolazioni, in quanto gestori delle strutture sociali che li riguardano.
Questa è la sola strada per evitare l’individualizzazione delle relazioni tra capitale e lavoro, fortemente sostenuta dal regime renziano, attraverso elargizioni come quella degli 80 €. Dovrebbero poterlo capire anche le organizzazioni sindacali!
Gianni Cimbalo