La guerra in Bosnia Erzegovina e la pace

In occasione del 4 novembre, data nella quale si “celebra” ancora il massacro di 11 milioni di proletari nelle trincee d’Europa, il sindaco di Messina ha osato ricordare il rispetto dell’art. 11 della Costituzione con il quale l’Italia ripudia la guerra e chiedere la distruzione degli arsenali militari, ricordando le parole a suo tempo pronunciate da Sandro Pertini. E quando per sottolineare le sue parole il Sindaco ha esibito una bandiera della pace della quale si è paludato generali e colonnelli presenti alla cerimonia hanno girato i tacchi e si sono allontanati.
Purtroppo si tratta di un gesto isolato tanto che un ministro presente alla cerimonia ha criticato il Sindaco, chiedendogli di domandare scusa per il suo gesto, dimostrando così il totale disprezzo delle autorità politiche per la pace, peraltro evidente nella decisione di mantenere integre le spese militari, platealmente dimostrato dalla decisione di confermare l’acquisto degli F 35. Questi aerei dovrebbero servire come forze di “dissuasione”, sostituendo i tornado attualmente in servizio che dettero buona prova di sé durante la crisi jugoslava quando vennero utilizzati per i “bombardamenti selettivi” in Bosnia Erzegovina e in Serbia da parte del Governo D’Alema con apposite bombe “umanitarie”, capaci di cambiare bersaglio dopo essere state sganciate quando il bersaglio non era quello giusto (!) e santificate dal fatto di essere pagate con la quota dell’8 per mille attribuita allo Stato dai contribuenti.
Sono passati poco più di 20 anni dall’inizio della guerra civile in Bosnia Erzegovina che ha visto mussulmani, serbi e croati che convivevano nel paese combattersi tra loro e che è costata più di 100.000 mila morti. La guerra che ha dilaniato il territorio bosniaco per tre anni è iniziata con il riconoscimento da parte della Germania dell’indipendenza della Croazia e ciò ha dato la stura ai vari nazionalismi da tempo sviluppatasi in tutto il territorio dell’ex Jugoslavia che hanno finito con il prevalere di fronte alle posizioni della maggioranza della popolazione che si era espressa a favore della pace e della convivenza, come avevano dimostrato le grandi manifestazioni del 5 aprile 1992 in tutta la Bosnia Erzegovina.
Seguirono tre anni di guerra civile con massacri perpetrati dalle milizie e dall’esercito serbo e segnati dall’intervento militare della NATO, le cui truppe assistettero spesso ai massacri, come a Srebrenica, senza intervenire. I profughi dal paese raggiunsero la cifra di circa un milione e ottocentomila persone su una popolazione di 4.500.000 prima dell’inizio del conflitto.

Sarajevo 20 anni dopo

L’aeroporto è uno dei soliti dei Balcani, si vede la mano tedesca che ha preso il controllo di questi territori. Li hanno ricostruiti tutti uguali chiedendo e ottenendo in cambio non solo la gestione ma anche il controllo sulla costruzione di nuovi aeroporti; in tal modo controllano economicamente il territorio e mantengono il monopolio del traffico. Infatti nei Balcani in genere ci si va o via Vienna oppure provenienti da Istanbul, perché la Turchia l’altro pretendente al controllo dell’area.
La strada per la città, una volta bersaglio dei cecchini appostati nei palazzi che la costeggiano scorre oggi tra concessionarie e capannoni a testimonianza dei nuovi insediamenti europei, soprattutto tedeschi che hanno costruito i loro centri commerciali e le loro filiali di vendita. Le attività veramente produttive sono scarse. La presenza degli americani è massiccia e si vede. Il recinto dell’ambasciata è gigantesco e ha al centro
un edificio massiccio, vero centro nevralgico di controllo politico e militare non solo per la Bosnia ma per l’intera area balcanica.
Del resto la posizione di Sarajevo e da tempo immemorabile strategica per chiunque voglia mantenere il controllo politico e militare del territorio. Gli austriaci provvidero a suo tempo a costruire una fortezza massiccia che da una delle colline sovrasta ancora la valle; più semplicemente e funzionalmente gli americani si sono posizionati a mezza strada tra l’aeroporto e la città. La posizione è strategica e bisogna essere prudenti
anche se tutto sembra essere sotto controllo.
I muri dei palazzi portano ancora i segni evidenti dei proiettili anche se molto è stato ricostruito o costruito. Te ne rendi conto girando a piedi per le strade dove le traccie della distruzione della città e dell’assedio sono ancora evidenti e lo capisci quando vedi gruppi di cani abbandonati e quasi inselvatichiti che è bene evitare con cura di incontrare.
Il taxista che ti porta in città è loquace e sottolinea la presenza di luoghi di culto ricostruiti che ti indica via via facendoti notare che appartengono a diverse religioni a riprova della composizione multi religiosa della città di Sarajevo quasi a dirti che il recente passato è dimenticato ma non può sfuggire alla storia quando passa vicino al ponte dove avvenne l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria,
e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale per mano dello studente serbo Gavrilo Princip, membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo politico che mirava all’unificazione di tutti gli jugoslavi. E’ singolare che qui, proprio qui, si sia combattuta una delle più feroci battaglie dei popoli della Jugoslavia per separarsi!
Anche se molte tracce sono state cancellate la situazione di 20 anni fa appare chiara guardando le cartine della città in vendita con la riproduzione delle posizioni delle artiglierie serbe poste sui monti e sulle colline per bombardare da tutte le parti la città.

Sarajevo mussulmana

C’è un confine visibile che divide la città ed è segnato fisicamente dalle rovine antiche del
caravanserraglio. Quello più antico di Sarajevo disponeva di 40 stanze e poteva ospitare 70 viaggiatori e le loro cavalcature ed era posto ai margini del quartiere di Baščaršija. Da un lato il quartiere mussulmano con il Bazar le sue botteghe, i suoi ristoranti, i suoi bar, dall’altra la città degli altri con le sue chiese (cattolica e ortodossa) dall’architettura austriacheggiante. Ciò che colpisce è che in una qualche misura cambia il modo di vestire della gente per strada, cambiano le merci vendute come se due mondi si toccassero e si penetrassero a tratti grazie all’incursione di questi e di quelli, dall’una parte e dall’altra. Al di la di questo confine invisibile si estendono idiversi quartieri e via via che le abitazioni risalgono verso le colline si mischiano gli abitanti e le appartenenze e ogni tanto si distingue un campanile o un minareto di piccole deliziose ed eleganti moschee.
Si cammina all’interno della Baščaršija fino a raggiungerne il confine sul fiume dove si sta ricostruendo l’edificio della Vijećnica, la biblioteca nazionale della Bosnia Herzegovina, bombardata e incendiata dall’esercito della Republika Srpska nell’agosto del 1992 nell’intento di cancellare cultura e identità del paese..Andò distrutto il 90 % del suo ricco patrimonio librario ed oggi alla sua ricostruzione partecipa in modo massiccio la Turchia. Già, la Turchia che approfitta di ogni occasione per far sentire la propria presenza e
ripristinare i legami storici, culturali e religiosi che la legano a tutta l’area balcanica occidentale. I risultati si vedono osservando la partecipazione alla preghiera alla Moschea di Gazi Husrev Bey, nel centro del quartiere di Baščaršija: affollatissima e con la partecipazione di moltissimi giovani. Tuttavia dal cartello contenente i divieti (quello delle donne di andare a capo scoperto, quello di non sporcare ecc.) si capisce osservando la
presenza del simbolo di un kalashnikov e del relativo divieto che ci troviamo in un luogo dove il conflitto è latente. Ce lo ricordano gli orribili partachiave e penne, in vendita sulle bancarelle, ricavati con i bossoli dei proiettili dei quali c’è evidentemente sovrabbondanza.

Una città d’Europa

Una città complessa, Sarajevo, dove incontrando una persona dai quaranta anni in su non puoi non pensare che ne ha viste tante e impazzisci se ti domandi da che parte stava e cosa faceva; una città dove i giovani sono tanti e si distribuiscono tra le diverse zone di Sarajevo indipendentemente dalle appartenenze etnico religiose: questa mescolanza è una speranza per il domani, in una prospettiva di pace. Eppure c’è un momento nel quale proprio i giovani tornano a separarsi e ciò avviene soprattutto il venerdì sera ma su altre
basi. Nella città illuminata in modo fioco e a volte irregolare, con l’energia elettrica che a volte fa le bizze con abbassamenti di tensione e qualche black out, sciamano gruppi di giovani per la movida, transitando da un bar all’altro da un locale all’altro in tenuta rigorosamente occidentale con minigonne e capi alla moda.
E’ la Sarajevo che non si arrende, è l’anonimato nel quale vivono i giovani alla ricerca di una “normalità” che è uno dei modi per superare le fratture di una società sulla quale insistono in modo rilevante da un lato la Turchia che finanzia diverse iniziative, fra le quali Al Jazeera che trasmette in bosniaco, affiancata da un’altra emittente locale di orientamento islamico dietro la quale c’è l’ l’Iran. Dall’altro lato ancora sente forte il
richiamo dell’Unione Europea attraverso mille iniziative e registra la presenza italiana attraverso la presenza diffusa di banche come Unicredit, San Paolo, Banca Intesa ecc.

Der deutschen Friedensbewegung il movimento pacifista tedesco

La pace tedesca regna a Sarajevo e in tutti i Balcani multietnica e multi religiosa, federalista, che avrebbe potuto costituire un polo di attrazione intorno al quale costruire una federazione europea dei popoli dell’Est del continente è finita nel sangue prima di proporsi come opzione possibile al crollo dell’impero sovietico. Così l’Unione Europea può assorbire uno ad uno i paesi dell’Est Europa, dopo un preventivo adeguamento degli ordinamenti giuridici alle leggi di mercato e soprattutto dopo il ripristino delle certezze in
materia di proprietà privata, cancellando confische e requisizioni dei diversi governi. Oggi la certezza dei diritti di proprietà, a cominciare da quello dei suoli, è uno dei principali problemi di tutti i paesi dell’Est Europa e costituisce il punto di partenza per la riconversione delle loro economie al mercato.
Così quei popoli dei Balcani occidentali che si erano battuti per erigere frontiere che ne difendessero l’identità etnica e religiosa sgomitano oggi per abbatterle e aderire all’Unione. In cambio accettano il colonialismo istituzionale dell’Unione che, tramite di Venezia. riprogramma e ridisegna sia il territorio sia le istituzioni politiche e sociali.
Quando questo processo iniziò i sindacati libertari d’Europa e le organizzazioni comuniste anarchiche erano consapevoli di questo disegno e, oltre a denunciare la guerra, a spiegarne le ragioni, decisero di intervenire come potevano, mobilitandosi e aderendo alla campagna Ship to Bosnia indetta da International Workes Aid: inviarono aiuti alimentari, vestiario e denaro a Tuzla grazie ai collegamenti esistenti con i minatori delle miniere di sale della città e il loro sindacato.
Memori di quella esperienza i comunisti anarchici sono oggi chiamati ad occuparsi dei tanti lavoratori e delle tante famiglie che sono state costrette alla diaspora nei diversi paesi d’Europa e anche in Italia per sfuggire ai massacri e per trovare lavoro. Il caso recente dell’espulsione di due studenti di origine bosniaca dalla Francia è un campanello d’allarme per le organizzazioni di classe di tutta Europa chiamate a difendere i migranti e soprattutto quelli più deboli tra loro come i Rom, molti dei quali provengono dai Balcani.

Gianni Cimbalo