Osservatorio economico

serie II, n° 45, febbraio 2021
Brexit – Qualche bontempone (l’ex leghista, ex 5 stelle, Gianluigi Paragone) ha fondato Italexit. Un tempismo perfetto nel momento in cui in Italia stanno forse arrivando dall’Europa fiumi di miliardi. Con la nuova Lega di governo e di mangiatoia (almeno sperata) anche i più irriducibili euroscettici (Borghi e Bagnai) si sono fatti silenziosi. Da tanto tempo, per altro, si sono spente le attenzioni verso le sorti progressive dello Stato autonomo di Gran Bretagna, che inizia a scontare la propria scelta autonomista. I dati del 2020, anno in cui ancora la separazione dal mercato europeo non era avvenuta, il Pil britannico è calato del 9,9%, peggio del risultato italiano. Ovviamente il governo Johnson ascrive la pessima performance alla pandemia; è ben vero che questa è stata affrontata dissennatamente e che attualmente l’isola felicemente isolata è il più grave tra i malati europei, ma il problema non può interamente ascrivibile al virus. Abbiamo
già detto che ormai l’economia faceva perno sul mercato finanziario di Londra, una delle più importanti capitali mondiali del movimento degli investimenti; il baricentro degli affari si è spostato verso Francoforte, per la forza centripeta del più vasto mercato europeo. Le conseguenze di ciò iniziano a manifestarsi: chiudono uffici finanziari, si trasferiscono nel continente sedi di multinazionali con conseguente calo dell’occupazione e minore presenza di funzionari esteri; cala la richiesta immobiliare e quella dei servizi di ristorazione, con ulteriore perdita di occupazione, calo dei prezzi delle case e degli affitti, non è che l’inizio! Ma altre dense nubi si profilano all’orizzonte. MICHELE PIGNATELLI, I danni di Brexit rilanciano il referendum sull’Irlanda unita, in Il Sole 24 ore, a. 157, n° 25, 26 gennaio 2021, p. 22 e NICOLA DEGLI INNOCENTI, Brexit affossa l’export in Scozia e mette le ali all’indipendentismo, in Il Sole 24 ore, a. 157, n° 26, 27 gennaio 2021, p. 22 rappresentano due allarmi significativi che inquietano la marcia secessionista del Regno ex-Unito. Anche la Cornovaglia, che a suo tempo aveva votato massicciamente per Exit, sta facendo marcia indietro all’apparir del vero.
TAP – L’acronimo sta per Trans-Adriatic Pipeline, ovverosia quel gasdotto che porterà il gas dal Mar Caspio all’Italia.
Propriamente il TAP parte da Kipoi in Grecia ed attraverso i Balcani giunge a Brindisi; dal Mar Caspio altri gasdotti dovrebbero convogliare il gas verso la Grecia attraverso Azerbaigian, Georgia e Turchia. Come è noto l’approdo del gasdotto con terra pugliese ha suscitato una vivace opposizione, di cui si è fatta portavoce la senatrice del Movimento 5 Stelle Barbara Lezzi, che una volta eletta si è disinteressata al problema. La contestazione del progetto trova la sua motivazione nel fatto che una volta arrivato sul suolo salentino le tubazioni dovrebbero proseguire verso nord sbancando
un territorio fitto di olivi secolari. Guardiamo le piante e capiamo.
Nella seconda delle due abbiamo evidenziato il percorso terminale. Come si vede il tracciato fa un angolo retto per rendere minimo il tratto di mare da attraversare e con ciò allunga notevolmente il tragitto. Questa operazione impatta pesantemente sul territorio agricolo, che ovviamente sarebbe risparmiato dal disastro se il gasdotto proseguisse in linea retta attraverso l’Adriatico, scelta che lo accorcerebbe in maniera significativa. Ricordiamo che l’Italia primeggia a livello mondiale per la posa di cavi e tubazioni sottomarine, ragione per la quale il percorso prescelto appare del tutto
ingiustificato. È per lo meno dubbio che costerebbe di più e si risparmierebbe un assetto territoriale altamente produttivo e di antica e apprezzata coltura, ma renderebbe impossibile pagare quando pattuito a chi ha opportunamente proggettato il
tracciato.
Electric automotive – Un po’ di dati insinuano dubbi sull’effettivo miglioramento ecologico della scelta dell’auto elettrica: ALBERTO ANNICHIARICO, Auto, quanto è lunga (e inquinante) la via per l’elettrico, in Il Sole 24 ore, a. 157, n° 23, 24 gennaio 2021, p. 13. Se si confrontano le emissioni di anidride carbonica (CO2) di un’auto lungo il corso della sua esistenza si hanno delle sorprese; sono tra 180 e 185 g/km per le auto a combustione interna, rea 110 e 160 per le auto elettriche e circa 160 per le auto a gas. La grossa variabilità dell’elettrico deriva dal mix di fonti energetiche utilizzate nel
paese per la produzione dell’energia elettrica; il massimo riguarda la Cina e gli Usa, il minimo per un futuribile paese in cui tutta l’energia elettrica venga prodotta da fonti rinnovabili, ovviamente la parte relativa elle emissioni di CO2 relativa ai tubi di scappamento è nulla per i veicoli elettrici, ma tale vantaggio viene in gran parte riassorbito dalla produzione delle batterie. Sui problemi relativi alle batterie ed anche ai costi sociali e politici che esse comportano abbiamo già scritto (http://www.ucadi.org/2019/02/01/illusione-elettrica/); ma v’è da aggiungere che nella tabella riportata nell’articolo sopra menzionato, se si è tenuto conto del contributo alle emissioni della produzione di energia alla consegna del veicolo e di quello relativo alla produzione del veicolo *stesso, non sono stati considerati i contributi derivanti dall’attività legata
all’estrazione mineraria dei materiali necessari alla costruzione delle batterie, contributi tutt’altro che irrilevanti (si è calcolato che questi superino quelli dovuti all’uso di idrocarburi), Per inciso, l’aumento della richiesta di queste risorse minerarie ne sta facendo lievitare i prezzi e continuerà a farlo, spingendo la ricerca dei materiali strategici con sempre più marcata indifferenza per il rispetto dell’ambiente: la Norvegia si appresta ad estrarre il cobalto dai fondali marini.

chiuso il 14 febbraio 2021
saverio