Osservatore economico

serie II, n° 44,novembre 2020
Recovery Fund 1 – Il tempo in cui gli agognati miliardi provenienti dall’UE arriveranno si presenta ancora lungo. C’è, però, un altro problema. L’Italia non si è distinta, fino ad ora, per sollecitudine ad impiegare i contributi provenienti dall’Unione; gran parte di essi rimangono inutilizzati per le infinite lungaggini delle amministrazioni e per le troppe pastoie burocratiche, che, lungi da scoraggiare la malavita organizzata (le scoperte di utilizzi illegali sono giornaliere), ingabbiano i progetti sani. Queste risorse giacciono un po’ e poi vengo ripresi dall’UE e destinati ad altri paesi che ne fanno pronto utilizzo come è avvenuto con la Polonia che ha recuperato fondi non utilizzati dall’Italia per costruire un’autostrada che è stata denominata “Italia”. Il malvezzo è territorialmente diffuso e gli esempi non mancano; le classi dirigenti regionali sono mediocri, ad
essere generosi, ma quella nazionale se le sopravanza, lo fa di poco. Veniamo al punto: nell’ultimo decennio lo Stato ha messo a disposizione delle Regioni 5.833,44 milioni di € per rimediare al dissesto idrogeologico. I risultati pubblicati ci dicono che (GIORGIO SANTILLI, Regioni, dal 2010 speso solo il 26% dei fondi per il dissesto, in Il Sole 24 ore, a. 156, n° 282, 10 ottobre 2020, p. 6) ne sono stati utilizzati appena un quarto. Come mai? Del totale sono stati accreditati meno della metà (45,45%) dei fondi messi a disposizione; le risorse vengono stanziate a fronte dei progetti presentati dagli enti regionali ed approvati. È appena il caso di notare che il meccanismo di accreditamento è simile a quello previsto in sede europea per la concessione del recovery fund; quindi, se ne deduce che sono stati presentati pochi progetti o che almeno non tutti fossero meritevoli di attenzione. Il secondo ostacolo è stato quello dell’effettiva erogazione delle risorse: solo poco più della metà (58,07%) dei fondi accreditati sono stati effettivamente messi a disposizione, a conferma delle farraginose
attività burocratiche che imperversano nel paese; si arriva così a quel 26% del titolo dell’articolo. Mancano notizie, che sarebbero per altro interessanti, sull’utilizzo delle risorse e se i progetti siano andati a buon fine.
Interessante è però il dato sul comportamento delle amministrazioni regionali: la più virtuosa è la Lombardia con un 42,40% tra le risorse disponibili e quelle erogate, seguita da Puglia (34,30%) e Sicilia (33,80%); in fondo alla classifica troviamo il Veneto (toh!) con il 17,20% e la Sardegna (11,50%). Ma i fanalini di cosa sono le tre amministrazioni lilliput: Bolzano (3,30%), Trento (0,20%) e la Valle D’Aosta (0,00%)!!!!; sono tutte zone montane ed è difficile credere che non abbiano problemi relativi al territorio.

Recovery Fund 2 – Ha iniziato il conte Gentiloni, dall’alto del suo scranno di commissario europeo per gli affari economici, e lo vanno diffondendo un po’ tutti, quasi fosse un’ovvia ed incontrovertibile verità: per i progetti da presentare alla Commissione Europea per ricevere gli agognati 209 miliardi di € messi a disposizione occorre presentare pochi, ma corposi progetti, per non “disperdere in mille rivoli” le risorse
ottenute. Tradotto in parole povere, “grandi opere” e faraoniche infrastrutture. Per prima cosa occorre dire che solo poche di queste sono effettivamente utili, il sud del paese in effetti è rimasto troppo trascurato su questo fonte, senza ricorrere, come incautamente ha fatto quella specie di Ministro dei Trasporti che risponde al nome di Paola De Micheli, al fantomatico ponte sullo stretto; la maggior parte, come il TAV Torino-Lione il cui progetto data ormai da vent’anni, non sono solo inutili, ma talvolta addirittura dannosi. In secondo luogo, le opere di grande dimensione attirano, ovviamente, l’attenzione di grosse aziende e su di queste quella della malavita organizzata. Il punto focale è però che più grande è l’impresa e minore è la ricaduta occupazionale e
con essa l’olio per ungere la congiuntura economica. Spesso, molto spesso, la vita dei cittadini beneficia maggiormente di tante piccole opere che ne agevolano lo svolgimento quotidiano; manutenzione delle strade nazionali, vicinali e cittadine; cura dei terreni boschivi; controllo degli argini dei fiumi e degli invasi in genere; cura dei beni ambientali ed artistici, etc.; tutte operazioni che migliorano la qualità della vita e riducono i rischi dei disastri ambientali, cui siamo, purtroppo, disgraziatamente abituati; tutte cose che attivano una richiesta occupazionale maggiore delle grandi opere e spesso a carattere duraturo e le cui ricadute economiche sono molto più vantaggiose. Su di esse il controllo della popolazione, tra l’altro, viene effettuato molto più
agevolmente e mettono in moto piccole imprese e non solo e sempre quelle grandi. Che mille opera fioriscano!

Sars-Cov-2 – C’è l’emergenza, ma come si sono attrezzate le regioni per l’annunciata recrudescenza? Si sa che i posti di terapia intensiva sono aumentati di poco nell’arco dell’estate, ma non tutte le regioni hanno a disposizione un numero equivalente di letti, rapportato al numero di abitanti. La tabella sottostante rende evidente lo stato di fatto. Premettiamo, per avere un utile raffronto, che in Germania c’è un posto letto in terapia
intensiva ogni 3.000 abitanti. Come si può constatare le regioni meglio attrezzate sono Emilia Romagna e Veneto; in media le regioni del sud stanno peggio di quelle del Nord, se si eccettua la Provincia Autonoma di Trento e quella di Bolzano. Il fanalino di coda, nemmeno a dirlo, è proprio la Campania del tuonante Vincenzo De Luca, suo Presidente ed a lungo Commissario straordinario per la sanità regionale. Quando uno fa il castigamatti per nascondere la propria inefficienza!

Regione Popolazione Posti terapia intensiva Posti/abitante
Valle D’Aosta 125666 20 6.283
Piemonte 4356000 575 7.576
Liguria 1551000 209 7.421
Lombardia 10060000 1024 9.824
Veneto 4906000 825 5.947
PA Bolzano 520891 55 9.471
PA Trento 538223 51 10.553
Friuli Venezia Giulia 1215000 175 6.943
Emilia Romagna 4459000 862 5.173
Toscana 3730000 453 8.234
Umbria 878160 97 9.053
Marche 1512706 235 6.437
Lazio 5879000 788 7.461
Abruzzo 1302412 145 8.982
Molise 300463 30 10.015
Campania 5802000 471 12.318
Basilicata 555898 64 8.686
Puglia 4029000 365 11.038
Calabria 1916612 152 12.609
Sicilia 4953117 584 8.481
Sardegna 1640000 180 9.111

Automazione – Nonostante la crisi sanitaria, che potrebbe anzi fare da moltiplicatore, l’installazione di nuovi robot nella produzione industriale fa balzi da gigante. Guida la classifica la Cina che nel 2019 ha installato 140.500 nuove macchine utensili automatiche, anche se il 71% di esse non sono autoctone, ma vengono importate (GIANLUCA DI DONFRANCESCO, Pechino guida l’automazione: robot nelle fabbriche in aumento, in Il Sole 24 ore, a. 156, n° 278, 26 settembre 2020, p. 21); Singapore guida però la classifica della densità dei robot, 918 ogni 10.000 lavoratori. È ovvio che le macchine utensili sostituiscono lavoratori, riducendo i posti di lavoro che non vengono rimpiazzati dagli assunti nella loro produzione: ogni installazione si calcola che riduca 1,6 posti di lavoro almeno; complessivamente sarebbero già stati persi per l’automazione 1,7 milioni di posti di lavoro ed il futuro riserva dei numeri molto più grandi, fino all’8,5% del totale degli addetti alla produzione nel mondo. Il giornale di Confindustria lancia l’allarme, ma si guarda bene del proporre antidoti; il perché è presto detto. Siccome è impossibile fermare l’inarrestabile corsa all’automazione e poiché non si intravedono settori in cui implementare nuove occasioni occupazionali le vie percorribili sono solo due: o ridurre gli orari di lavoro, oppure garantire un salario sociale; entrambe sono ipotesi sgradite al padronato! Avanziamo una terza ipotesi,
sicuramente molto più sgradita a lor signori: ribaltare i rapporti di produzione e socializzare i mezzi produttivi.
A noi piace!

chiuso il 19 maggio 2019
Saverio