Gli effetti positivi Covid 19

Le pandemie, come tutti gli eventi catastrofici, fanno emergere carenze e problemi nascosti, criticità occultate dalla politica e dagli affari e inducono a riflettere. È questo anche il caso del covid 19 che comunque ci lascerà alcune
novità e alcune consapevolezze. Pur convinti che non si tratta di un elenco esaustivo cominciamo a analizzarne qualcuna.

La caduta del mito della sanità lombarda

A crisi superata ci si renderà conto di quale disastro è la sanità lombarda sia dal punto di vista strutturale che gestionale magnificata come “la migliore d’Italia. La scelta politica dell’amministrazione regionale di concentrare le
risorse sui grandi ospedali e sulle strutture private che praticano una sanità di “alto livello” ha portato alla riduzione delle risorse per i servizi sanitari territoriali che sono stati via via lasciati nel degradare. Così i cittadini lombardi hanno visto scomparire le strutture di dimensioni intermedie per la gestione delle patologie diffuse e il territorio è rimasto privo di una rete di strutture che ne sostenessero i bisogni Questa politica ha relegato i medici di famiglia ad un ruolo marginale nella rete sanitaria e li ha lasciati privi delle più elementari risorse, tanto da costringerli ad affrontare l’epidemia senza le protezioni minime per sé e per i pazienti.
Inoltre il sistema sanitario lombardo in particolare non è stato capace di rilevare l’entità diffusa dei danni alla salute dell’alto tasso di polveri sottili che ha fatto da veicolo alla virulenza dell’attacco al sistema respiratorio portato dal covid19. La carenza di risorse ha inoltre portato alla concentrazione dei finanziamenti residui verso i reparti oncologici e chirurgici a detrimento di reparti di medicina generale e dei pronto soccorso; così un’emergenza che investiva i reparti di rianimazione ha trovato gli ospedali sprovvisti di un numero sufficiente di letti di terapia intensiva.
A ciò si aggiunga che la politica di concentrazione delle strutture in grandi ospedali ha reso il sistema più vulnerabile nella capacità di affrontare problemi epidemiologici con il risultato di saturare velocemente le strutture
ospedaliere. Da qui la necessità di delocalizzare i malati ritenuti meno gravi, ma comunque infetti, verso strutture a torto ritenute sanitarie: le cosiddette ASP a loro volta ridotte in meri ricoveri per anziani, li parcheggiati in attesa della morte.
Già nello scorso numero abbiamo ricostruito per larghe linee la storia del passaggio da IPAB a ASP.
Aggiungeremo che la politica criminale della gestione Formigoni della Regione, alla quale si attribuisce il merito di aver costruito il servizio sanitario lombardo per come lo conosciamo, è la stessa ad aver creato questi carrozzoni che
gestiscono fior di quattrini, posto che per ogni ricoverato incassano da non meno di 1400€ a 2000 € al quale è chiamato a provvedere un personale nella gran parte privo di qualifica professionale sanitaria, senza che queste strutture dispongano nella loro gran parte di sorveglianza medica interna, ma che sono in grado di fornire ai loro gestori – nominati su incarichi politici dalla regione – alte remunerazioni. È questo il covo dei resti di quella che fu Comunione e Liberazione.
Andrà comunque rivista la scelta di destinare il 40% del bilancio della sanità ai privati e quindi ad alimentare gli affari dell’industria privata sanitaria lombarda che lucra sulle insufficienze della sanità nelle regioni meridionali e che fa
profitto su questo squallido commercio. (per non parlare delle operazioni inutili e dei ricoveri forzati oggetto di numerose inchieste della magistratura).
Siamo convinti che anche per evitare che tutto questo divenisse chiaro copiose donazioni private sono intervenute per realizzare il tanto decantato ospedale localizzato alla Fiera di Milano dall’enfant prodige Bertolaso per poter
sventolare una bandierina degli ambienti sanitari e della protezione civile legati alla destra. Se quanto è avvenuto servirà finalmente per vederci chiaro, le sofferenze affrontate dai cittadini lombardi non saranno state vane e si risolveranno in un vantaggio per l’intero paese.

La strage della popolazione anziana

La concentrazione dei decessi nelle regioni del centro nord è speculare all’intensità di distribuzione delle ASP nelle diverse regioni e pur esistendo dei casi nei quali qualche residenza per anziani ha rappresentato a sud e nelle isole un focolaio di contagio certamente il diffuso utilizzo delle basanti in queste aree ha impedito che questi ghetti fossero serbatoi di infezione.
Dopo la fine dell’emergenza non solo va ripensata una struttura unitaria del sistema sanitario, ma anche la configurazione dell’assistenza agli anziani a meno che non si voglia affrontare e risolvere il problema delle pensioni e
dell’assistenza facendo morire la popolazione anziana, sgravando l’INPS di migliaia di pensioni e risanando per questa via la spesa per i servizi sociali.

L’autonomia differenziata

Non vi è chi non veda poi che gli errori gestionali dei dirigenti della sanità lombarda gettano un’ombra profonda sul dibattito relativo all’autonomia differenziata: un raffronto tra i risultati del sistema sanitario lombardo, anche solo rispetto a quello veneto, più attento al territorio anche se gestito da una giunta dello stesso colore politico, ci dicono di come la frantumazione del sistema sanitario a livello regionale lede profondamente il principio di uguaglianza e quindi il diritto dei cittadini a godere di un eguale, efficace ed efficiente servizio. E questo per non parlare del raffronto con il servizio sanitario offerto dalle altre regioni!
La conseguenza è che non di accentuazione dell’autonomia bisogna parlare, ma anzi di un servizio sanitario unico a livello nazionale con criteri di programmazione e caratteristiche strutturali comuni, sottratto agli arbitri di
amministratori locali, che ne hanno fatto l’occasione di lottizzazione delle aziende ospedaliere gestite e organizzate non sul merito, ma sulla base di precisi e ben individuati interessi economici.
L’alta dimostrazione di abnegazione dei medici e degli infermieri, la loro professionalità ci dice che, dopo aver affidato ad essi la gestione della nostra vita, possiamo riconoscere loro il diritto di influire e condizionare gli organismi di gestione dei servizi sanitari, sottoponendoli ad attenta costante vigilanza, ricordando che l’autonomia è strutturalmente nemica dell’uguaglianza.
Ecco perché, a nostro avviso, più che attuazione dell’autonomia differenziata bisogna cominciare a pensare a forme partecipate di gestione delle strutture sanitarie da parte del personale e a meccanismi di controllo delle politiche
generali per la tutela della salute, a cominciare da una maggiore attenzione per queste tematiche nelle politiche generali, anche di destinazione delle risorse.
Infatti il nodo centrale del problema è e rimane la natura pubblica del servizio sanitario nazionale e combattendo nella sanità come nella scuola ogni e qualsiasi forma di servizio integrato pubblico-privato, partendo dal principio che il privato persegue lecitamente il profitto ma che deve farlo senza qualsiasi forma di finanziamento, facilitazione o aiuto a spese della fiscalità generale Dobbiamo essere coscienti che questa scelta richiede una profonda presa di coscienza che passa per il rifiuto di tutti i veleni che anche ad opera della sinistra abbiamo ingurgitato pensando che i privati sono per definizione più efficienti delle strutture pubbliche e che la pubblica amministrazione nelle sue diverse branche è irriformabile.

Mercato e Stato

Quanto è avvenuto e sta avvenendo ha fatto emergere un nuovo ruolo degli Stati nella gestione dell’economia e del mercato. È oggi evidente a tutti l’importanza dello Stato come gestore del territorio e quindi responsabile della
garanzia dell’agibilità del territorio per la produzione. Lo Stato deve assicurare le precondizioni per le attività produttive e quindi garantire rapporti ordinati tra le classi, reperire le risorse attraverso la fiscalità generale per finanziare le
infrastrutture, imporre il rispetto di una rigorosa legge sui diritti dei lavoratori, contrastare gli incidenti sul lavoro attraverso un’attenta vigilanza, ecc.
Ma lo Stato per svolgere queste funzioni deve potersi garantire il controllo di alcune attività strategiche e quindi la distribuzione internazionale del lavoro non può seguire solo la logica del maggior profitto, ma deve rispettare alcuni
assist strategici di attività sui quali lo Stato o comunque la struttura politica che governa un territorio (e quindi anche un insieme di Stati come la UE) deve poter mantenere il controllo. Il problema era già stato posto dalle politiche sovraniste e da quelle sui dazi, ma oggi trova ulteriori ragioni nel bisogno di poter fronteggiare fenomeni epidemici sempre più possibili in un mondo globalizzato.
Non v’è dubbio quindi che le modalità con le quali opera la globalizzazione subiranno una necessaria rivisitazione e a essere ridimensionata sarà la velocità di circolazione delle merci, le politiche di delocalizzazione e
decentramento produttivo, la parcellizzazione delle unità produttive, a tutto vantaggio del ritorno di molte attività produttive verso le aree mature di antico e consolidato sviluppo.
Sono le prove di nascita di un’economia green, preannunciata dalla crisi ambientalista, che punta a una configurazione neocurtense delle attività produttive per privilegiare un consumo a chilometro zero che presuppone
profonde trasformazioni nella divisione internazionale del lavoro e nell’organizzazione del lavoro che passano per una diffusa adozione del lavoro a distanza ,almeno per alcuni settori, con conseguente abbattimento dei costi fissi, il che renderà più agevole la redislocalizzazione delle attività produttive sui territori.

I cialtroni della politica

La crisi pandemica ci sta liberando degli apprendisti stregoni della politica Il primo ad esserne vittima è il cialtrone di Rignano sull’Arno e del suo partito-yogurt il cui consenso è ridotto all’1%: l’accozzaglia di signore e signori
da salotto che costui si porta dietro alla ricerca del consenso di un ceto medio reso ancora più esile ed esiguo dalla crisi ha un anno di tempo per trovare una ricollocazione politica estremamente ardua. I meriti che può rivendicare, come
l’imposizione ai lavoratori del Job Act, hanno perduto attrattiva, ora che il capitale si prepara a inaugurare nuove metodologie di gestione della forza lavoro e di controllo operaio. E tuttavia è necessario liberarsi da questa camicia di forza sul piano normativo e dei diritti per poter tentare di ripartire, demolendo una legislazione sul lavoro tra le più criminali e liberticide che il capitale abbia costruito per espropriare i lavoratori di ogni diritto. Questo processo non potrà che concludersi con la messa all’indice di Matteo Renzi e tutti i suoi accoliti, in qualsiasi tana si siano rifugiati.
La pandemia sembra aver fatto anche giustizia dell’altro cialtrone della politica italiana: il segretario nazionale della Lega. Di fronte a un piazzista di false paure, il virus si è rivelato più efficace, spargendo sofferenza e morte vera,
facendo prevalere sul bisogno di odio la solidarietà nel comune dolore. Gli atteggiamenti e le dichiarazioni ambigue e oscillanti, le proposte continuamente al rialzo provenienti dall’opposizione di destra, quasi che si tratti di giocare alla morra, sulle somme stanziate per combattere la crisi economica, stanno erodendo il consenso conquistato cavalcando
l’odio a causa della loro inconsistenza.
È paradossale, ma la crisi in atto ha conferito ai suoi avversari la possibilità di ottenere- sia pure in forma temperata e attenuata – quei pieni poteri che nei fumi del Papete, tra un mojto e l’altro, il Matteo padano aveva rivendicato
per se, proponendosi come un epigono di Orban e dimenticando che l’Italia non è (per fortuna) l’Ungheria, Tuttavia ciò non significa che la battaglia sia vinta e che ce ne siamo liberati ma certamente è un buon inizio. E
forse siamo sulla buona strada.

La redazione