L’attesa

Mentre il 26 gennaio si avvicina la stampa e i media descrivono un paese in
attesa di conoscere la sentenza che verrà dal risultato delle elezioni in Emilia
Romagna. Intanto il paese reale è soffocato da problemi che le elezioni, comunque vadano, non potranno risolvere.
I diritti sono negati, il degrado del territorio cresce, sono aperti circa 170 tavoli
di crisi senza che si vedano soluzioni; gli imprenditori trattengono il fiato e non
investono, nulla ferma il decentramento produttivo; viaggiare è diventato pericoloso a causa di una rete autostradale fatiscente, l’odio sociale cresce e tanti, troppi, corrono dietro alle destre, riscoprono fascismo, antisemitismo e razzismo e soprattutto si comportano come tali.
Sono gli effetti del tradimento. Della delusione, di avere visto la sinistra svendere i
diritti, negare con il Job Act il diritto a difendersi dai licenziamenti, a resistere: vedere
inevasa la richiesta di abrogazione dei “decreti sicurezza” che puniscono chi occupa le case e si difende dagli sgomberi, che permettono di caricare un picchetto di operai, perché non è vero che i decreti voluti da Salvini colpiscono solo i migranti, colpiscono tutti e anche per questo vanno aboliti.

Convergenza al centro

A contendersi la scena c’é il partito dello yogurt, inventato da Renzi, in concorrenza con Calenda, alla conquista di un centro inesistente, posto che i cosiddetti ceti medi sono stati annientati proprio dalle politiche renziane. Questi cosiddetti modernisti scimiottano le formule blairiane o guardano con interesse a Macron il quale non riesce a scrollarsi di
dosso. da parte sua, il problema della riforma delle pensioni, perché i lavoratori francesi resistono già da due mesi con scioperi che hanno tutta l’intenzione di continuare a fare.
Il PD, alla ricerca di un senso di sé, diviene conventuale e si chiude in Abbazia, dimenticando l’insegnamento della storia della sinistra che racconta che quando un partito è alla ricerca di sé fa un congresso per tesi, discute, si confronta, decide da che parte stare. Ora le uniche decisioni riguardano i tatticismi, il pietoso barcamenarsi senza meta alla ricerca di una strategia, nell’assenza di un progetto, succubi dei “nuovi Conte” prestato alla politica.
Eppure ci sarebbe bisogno di pensare, di programmare, di decidere. È urgente affrontare le crisi aziendali attraverso norme di dissuasione del decentramento produttivo, negoziare una legislazione europea che impedisca di farsi la concorrenza fiscale per scipparsi le imprese, almeno all’interno dell’Unione Europea, vietando la tassazione concorrenziale al ribasso delle imprese. Occorrerebbe costruire una politica energetica comune e concordare un almeno parziale coordinamento in politica estera, sanzionando chi ricorre alla guerra per controllare energia e mercati; occorrerebbe sanzionare quegli Stati, membri dell’Unione, che abrogano al loro interno lo Stato di diritto e le garanzie di libertà e uguaglianza individuale e collettiva come la Polonia.
Occorrerebbe mettere mano al fisco nella consapevolezza che non si possono ridurre i servizi, ma che bisogna agire sulla razionalizzazione e riqualificazione della spesa, avendo cura di intervenire sulla scuola, sulla formazione permanente, sulle infrastrutture e sulla logistica. Si, soprattutto occorrerebbe riflettere sul ruolo strategico della logistica e della distribuzione, sulle condizioni infami di lavoro degli addetti a questo settore, sui loro stipendi, sulle condizioni di lavoro usuranti e vessatorie. E poi, non si può accettare di che venga chiesto, come a Taranto, uno scambio tra lavoro e
salute, lasciando morire in fabbrica come nei quartieri, distribuendo malattie insieme ai fumi di fusione.

I sistemi elettorali e la riforma fiscale

Ma la politica discute d’altro. A tener banco è il dibattito sui sistemi elettorali per escogitare il modo di approvare leggi premiali di questo o di quel partitino, cercando di manipolare la rappresentanza, demagogicamente ridotta di numero ma nella sostanza rimasta senza alcun controllo di mandato. Intanto si chiacchiera di giustizia e di prescrizione lasciando in piedi un processo civile e penale dai tempi interminabili che vanificano sia la certezza del diritto che l’esigibilità della pena. Riforme senza costi languono, il fisco conserva la propria inefficacia con richieste incomprensibili affidandosi ad agenzie di riscossione privata che taglieggiano i cittadini con balzelli come quelli sulle attività di ignoti consorzi agrari.
Nessuno parla della riforma tributaria e i cosiddetti garantisti si battono per mantenere altro il reddito di un esercito di avvocati chiamati a gestire un numero crescente di processi per più tempo possibile in modo da eludere il giudizio e incassare le parcelle professionali.: Eppure sarebbe possibile collegare tra loro le diverse banche dati, posto che ognuno di noi è schedato, classificato e gestito per capire qual’è il reddito reale prodotto ma al tempo stesso intervenire sulle aliquote riducendo la tassazione così alta perché bisogna alzare la posta a causa dei tanti evasori.
I timidi interventi sul cuneo fiscale sotto forma di bonus precarizzano il rapporto di lavoro rendendo aleatoria la retribuzione e soprattutto non intervengono sui tanti lavori sottopagati e destrutturati. Un mercato del lavoro regolato in modo certo, che vieti l’apprendistato gratuito o semigratuito, che dia diritto a un salario dignitoso è la precondizione per fermare l’esodo dei giovani dal paese che non riescono a ricordare un solo provvedimento che li riguardi se si esclude la concessione di qualche bonus temporaneo sotto forma di regalia.
Il risanamento del territorio, una politica ambientale attenta a combattere l’inquinamento e l’emergenza climatica ha bisogno di una grande mobilitazione del lavoro che passa necessariamente dalla messa a disposizione di tutti dei beni comuni, dall’abolizione delle rendite di posizione, da investimenti sulla conoscenza dal recupero del ritardo nella formazione di medici, da una ristrutturazione della sanità che renda le prestazioni almeno tendenzialmente uniformi su tutto il territorio nazionale.

La questione demografica

Tutti riconoscono che il paese invecchia e che per questa via si estingue. La destra suggerisce di chiudersi a riccio parla di sostituzione etnica, ma non da soluzioni. La sinistra, se è tale, dovrebbe avere il coraggio di dire che non c’è sostituzione etnica se le persone vivono e crescono in un ambiente culturale ricco di valori, perché non conta il luogo di nascita né il colore della pelle, ma sono importanti i valori condivisi, l’educazione ricevuta e praticata Muovendo da questa consapevolezza dovrebbe sforzarsi di trasmettere i valori della solidarietà di classe, dell’amore per il territorio, per
l’arte, per le tradizioni e per tutto il patrimonio immateriale che costituisce l’identità degli italiani invece di mettere in atto politiche di respingimento etnico.
Non si tratta di proporre il cosiddetto “meticciato” né la perdita del proprio patrimonio culturale ma anzi di metterlo sul mercato delle idee, disponibili al confronto, consapevoli della sua forza d’attrazione, senza avere paura perché la paura è dei deboli, di chi pensa di soccombere nel confronto, di chi è portatore di valori stanchi e fragili oppure
che i valori ha perso ed è quindi nudo e indifeso e perciò scappa e si sottrae al confronto.
Questi concetti andrebbero spiegati nelle piazze perché sono prepolitici, ma essenziali a contrastare l’ondata di paura che la destra politica e sociale sollecita andrebbero propagandati nei quartieri e soprattutto nelle periferie degradate, cominciando ad agire dalle condizioni materiali, intervenendo sul diritto alla casa, al lavoro, all’istruzione che non è e non può essere solo scolastica, ma deve diventare attività permanente con l’apertura di spazzi di confronto e strutture di aggregazione che si propongano interventi di contrasto al degrado prima economico e poi culturale e sociale.
Ciò vuol dire ricominciare dal basso a sostenere la scolarizzazione dei bambini e adulti, la loro riqualificazione professionale l’impegno di tutti alla gestione degli spazzi comuni e del territorio: significa impostare una grande campagna di sensibilizzazione che non si risolve andando solo in piazza a manifestare, a testimoniare a esprimere voglia di partecipazione ma partecipando, agendo, assumendosi direttamente e in proprio il peso e l’onere di fare.

Non delegare

Questo richiede di agire in prima persona non delegando. La “scesa in politica” non è e non può essere un atto di disponibilità per quanto nobile di mettersi a disposizione degli altri ma significa interrogarsi si cosa ognuno di noi può fare in prima persona e senza delegare per affrontare e risolvere i problemi comuni.
La prima risposta è partecipare, è capire che ognuno può dare un contributo per quanto piccolo che è unico e insostituibile: in una parola occorre riscoprire il valore della solidarietà per promuovere l’uguaglianza delle condizione di partenza e delle opportunità nella consapevolezza che dalle soluzioni ai problemi materiali del vivere deriva l’uguaglianza che non è astrazione e che è incompatibile con l’affidarsi all’uomo forte, al risolutore.
Anzi tutte le volte che qualcuno ci viene a raccontare che risolverà i problemi al posto nostro, perché ha le idee giuste e le soluzioni in tasca dobbiamo diffidare e accompagnarlo alla porta a calci in culo: ci sta mentendo, vende false ricette e intrugli che spaccia per rimedi universali contro ogni malanno.
Prendendo direttamente nelle nostre mani la responsabilità delle nostre azioni è il più grande regalo che possiamo farci e fare agli altri. Ricordiamocene soprattutto ora in periodi di elezione spiegando a chi chiede il voto che è sotto osservazione perenne, che non si tratta di una delega in bianco e che questa delega non significa in alcun modo rinuncia all’azione diretta ma anzi impegno a una vigilanza costante fatta non solo di proteste ma di proposte e di azioni positive di cose con un diretto impatto sulla realtà.
Solo così si rinnova consapevolmente la politica e si creano le premessi concrete per una svolta e un cambiamento effettivo e duraturo.

La Redazione