La guerra mondiale a pezzetti

Le ingerenze degli Stati Uniti in Medio oriente risalgono agli inizi del XIX secolo quando decisero di fare concorrenza agli inglesi nel dare la caccia alle risorse petrolifere dell’area. Da allora la loro presenza militare nell’area li ha visti impegnati in numerose guerre e nel massacro dei popoli mediorientali. Se guardiamo agli anni a noi vicini nel 2014 c’erano in Medio Oriente 1.484 soldati USA diventati 4.231 nel 2015; nel 2016 erano 4.626 e nel 2017 sono saliti a 7.402, scesi poi a 5.200 negli anni 2018 e 2019 solamente in Siria e Iraq. Inoltre bisogna considerare che intorno all’Iran gli USA hanno costituito una cintura di sicurezza che utilizza 4 basi militari in Turchia, 4 in Iraq, ben 11 distribuite nei diversi paesi del Golfo Persico, 10 in Afganistan, 4 in Pakistan, 1 in Turkmenistan e 3 in Uzbekistan.
Come si vede ci troviamo di fronte a un sistema militare articolato che ha consentito agli USA di portare a termine l’assassinio del generale Suleimani, capo dei guardiani della Rivoluzione e braccio operativo dell’Iran nella gestione della politica militare in tutta l’area mediorientale.

L’assassinio politico di Suleimani

L’assassinio di Suleimani elimina dalla scena politica il numero due dell’Iran e ha certamente un alto valore simbolico oltre a conseguenze pratiche innegabili. Con la sua scomparsa viene meno lo stratega dell’attività militare iraniana in tutta l’area mediorientale, dal Libano allo Yemen e quello che è più importante in Iraq e ciò rappresenta certamente un duro colpo per tutta la leadership iraniana, ma al tempo stesso elimina il capo di un impero economico che controlla almeno il 40% di tutte le attività iraniane, ovvero la struttura economico produttiva e militare gestita dai
Guardiani della Rivoluzione, Stato nello Stato, che controlla dal punto di vista economico e politico l’intera società iraniana e di fatto gestisce il potere. Ma proprio per questo la scomparsa di Suleimani fa parte di un più complesso gioco politico connesso alla struttura stessa degli equilibri di potere nel mondo sciita.
Indubbiamente il generale godeva di un ampio seguito e rappresentava per l’immaginario collettivo del popolo iraniano un punto di riferimento della difesa degli interessi nazionali e dell’orgoglio del paese di fronte a decenni di sanzioni da parte degli Stati Uniti anche per la condotta eroica di Suleimani nelle azioni belliche. Lo testimonia la partecipazione oceanica di popolo ai suoi funerali che è andata ben al di là del sostegno dei Guardiani della Rivoluzione.
Ma attenzione, proprio la dimensione di eroe nazionale del personaggio non permette di comprendere a pieno portata e le conseguenze del suo assassinio politico. Il contesto nel quale l’omicidio è avvenuto fa anzi pensare a uno scenario molto
complesso sul quale è bene richiamare l’attenzione.

La strategia politica USA delle guerre di religione

Da sempre l’approccio degli Stati Uniti alla politica mediorientale è stato quello di utilizzare le appartenenze confessionali per dividere il mondo arabo e al tempo stesso di cercare l’alleanza con i leader degli Stati per utilizzarne le classi dirigenti e proprietarie per svolgere la funzione di sub agenti dell’imperialismo e delle multinazionali, soprattutto petrolifere. Le potenze occidentali hanno utilizzato il periodo coloniale per smantellare le strutture confessionali tradizionali di sostegno sociale, mettendo sul mercato le proprietà di molti waqf religiosi. Ciò ha consentito il formarsi di
una borghesia nazionale che contribuisce oggi alla ineguale distribuzione della ricchezza. La connessione di classe tra coloniali e dominati si è spinta fino ad ammettere i notabili arabi nei salotti buoni della finanza e del Jet Set internazionale
(si veda a riprova l’amicizia tra la famiglia Bush e quella di Bin Laden) a tutto danno delle masse sfruttate.
Tuttavia benché il Medio Oriente abbia delle caratteristiche comuni e i confini degli Stati di quest’area siano stati spesso tracciati dalle potenze coloniali con la squadra sulla carta geografica, a tutto danno delle popolazioni, dividendo etnie e tradizioni comuni, per comprendere quello che sta avvenendo occorre ricostruire un quadro storico d’insieme che consenta di comprendere l’incidenza della tradizione, dei costumi e delle appartenenze etniche e religiose.
L’impossessamento coloniale del Medio Oriente è avvenuto dissolvendo progressivamente l’Impero Ottomano e distribuendo i territori tra Inghilterra e Francia. Gli Stati Uniti, subentrando all’imperialismo anglo francese, hanno operato mettendo in atto una lettura diversa della composizione del Medio Oriente, provando a leggerne la storia e l’evoluzione possibile in chiave di appartenenza religiosa. hanno quindi suddiviso le popolazioni tra sunniti e sciiti, evidenziando la diversa visione sociale della lettura dell’islam, delle sue tradizioni, dei suoi costumi che le due aree
cultural religiose del mondo arabo possiedono e messo a punto una strategia diversificata di approccio per stabilizzare il loro dominio.

Gli USA e l’universo sunnita

La divisione tra sunniti e sciiti risale come è noto al 632 dC (anno della morte del profeta Maometto) quando le tribù arabe che lo seguivano si divisero su chi avrebbe dovuto ereditare la guida della comunità che era una carica sia politica che religiosa. La maggioranza che assunse il nome di sunniti (che oggi costituiscono l’80 per cento dei
musulmani), designò Abu Bakr, amico del profeta e padre della moglie Aisha, quarto califfo di fatto ricorrendo all’elezione da parte di una ristretta cerchia della persona posta alla guida della Umma.
Un’altra fazione ritenne che il legittimo successore del profeta andava individuato tra i consanguinei di Maometto. designarono a succedergli Ali, suo cugino e genero. Questa componente divenne nota come sciiti, sostenendo quindi che il potere dovesse essere esercitato dalla guida spirituale, l’Imam Col tempo i sunniti, dibattendo su alcuni aspetti teologici e giuridici dell’Islam, dettero vita a varie scuole giuridiche (o madhhab), di cui sopravvivono oggi solo l’Hanafismo, il Malikismo, lo Sciafeismo e l’ Hambalismo.
Nell’ambito dell’Hambalismo nella seconda metà del XIX secolo in Egitto nacque il “salafismo”, come reazione alla diffusione della cultura europea e con l’intento «di rivelare le radici della modernità all’interno della civiltà islamica» e questo movimento anticoloniale si saldò con wahabismo, un movimento di riforma religiosa, fondato nel XVIII secolo da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, divenuto credo dominante in Arabia Saudita. Si tratta di una forma estremamente rigida di Islam, che insiste su un’interpretazione letterale del Corano. I wahhabiti credono che tutti coloro che non praticano l’Islam secondo le modalità da essi indicate siano pagani e quindi nemici dell’Islam e propugnano un’interpretazione rigorosa dell’Islam,
Gli Stati Uniti scelsero di stabilire rapporti privilegiati proprio con quest’ultima componente reclutando al suo interno le milizie per combattere in Afganistan i sovietici che sostenevano il governo socialista del paese. Ma una volta ottenuta la vittoria sui sovietici costretti a ritirarsi le milizie Taleban si rivoltarono contro gli americani. Nasce da qui il conflitto in Afganistan e la formazione di Al Qaeda che organizzò e portò a termine l’attacco dell11 settembre al territorio degli Stati Uniti.
Anche Daesh è frutto diretto dell’intervento degli Stati Uniti in medio Oriente. Dopo la guerra contro l’Iraq del 2003 e la caduta di Saddam Hussein che coinvolge in uno scontro civile e religioso l’intera regione il paese più laico del Mediò Oriente viene dilaniato dallo scontro tra sunniti e sciiti: in questo contesto i miliziani di Al Zarquawi, un affiliato Al Qaeda, iniziano a condurre azioni terroristiche contro l’esercito americano, reclutando adesioni nel disciolto esercito irakeno per decisione degli Stati Uniti.. Allo scoppio della guerra in Siria avvenuto nel 2011, i guerriglieri di questa formazione danno vita al cosiddetto califfato dello “Stato Islamico di Iraq e Siria” (2014) sotto la guida di Abu Bakr al Baghdadi il quale si autoproclama capo di Daesh reclutando proseliti in tutto il mondo e moltiplicando le formazioni terroristiche che ad esso si richiamano. Sarà ucciso da un raid americano nel 2019 e lo Stato islamico sarà sconfitto sul campo grazie alle forze di combattimento curde.

Un’alleanza contingente: gli Stati Uniti, i loro alleati occidentali e le milizie curde.

Per dar vita allo Stato islamico le milizie arabe di formazione wahhabita avevano dovuto sottomettere e letteralmente schiavizzare tutte le altre componenti religiose ed etniche delle popolazioni del territorio ovvero kurdi, arabi, assiri, armeni, azeri, ebrei, osseti, persiani, turchi e turcomanni le quali hanno trovato nell’etnia kurda l’elemento di
coagulo per difendersi.
Forti della presenza del Partito dell’Unione democratica (PYD), che aveva dato vita alle Unità di Protezione Popolare (YPG) uomini e donne di quelle popolazioni si organizzarono per opporsi allo sterminio etnico e alla riduzione in schiavitù e riuscirono a contrastare Daesh sia sul piano militare sia su quello politico, dando vita al Consiglio
Nazionale Curdo (CNC), quale organo di governo del Kurdistan siriano e ponendo al centro del loro patto di alleanza la laicità assunta come tratto distintivo di comportamento verso l’appartenenza religiosa, garantendo pari trattamento a
credenti e non credenti e tutelando l’ateismo, riuscendo così a sconfiggere alla radice il fondamentalismo religioso, comunque connotato.
Per combattere e sconfiggere Daesh le truppe USA e quelle della coalizione anti Daesh hanno trovato comodo allearsi con i kurdi malgrado il particolare orientamento politico del Partito dell’Unione democratica che sostiene il “confederalismo democratico teorizzato dal socialista libertario Murray Bookchin che può essere definito come una forma di amministrazione politica non statale, ovvero come una democrazia senza Stato, che affida la gestione delle attività pubbliche alla partecipazione popolare e diretta di tutti, soluzione formulata e sostenuta da Abdullh Öcalan, capo del partito PKK, Partito Comunista Kurdo, da anni prigioniero dei turchi. [1] Nasceva così l’entità confederale del Rojava quale forma di stato e di governo flessibile, multi-culturale, anti-monopolistica, ed orientata dal consenso popolare che si caratterizza per la secolarizzazione del culto e dei valori e perciò fa propria la parità tra uomini e donne nella società, nell’amministrazione delle strutture pubbliche, nell’esercito e in tutti gli aspetti della vita sociale; condivide i valori dell’ecologismo, rispetta le tradizioni, ma rinnova il costume, rifiutando la copertura della donna e la sua emarginazione
dalla vita sociale, prova ne sia che a dirigere le amministrazioni pubbliche sono preposte un uomo e una donna, e così avviene peLr molti incarichi pubblici, facendo della laicità il tratto distintivo di comportamento verso l’appartenenza religiosa, garantendo pari trattamento a credenti e non credenti e tutelando l’ateismo, riuscendo così a sconfiggere alla radice il fondamentalismo religioso, comunque connotato. L’alleanza e il sostegno degli Stati Uniti ha retto fino alla sconfitta militare di Daesh, ma appena possibile gli Trump ha deciso il ritiro da quel territorio lasciando mano libera ai turchi, membri della Nato e nemici giurati dei kurdi.
Questo perché l’obiettivo kurdo è la creazione in prospettiva di un’entità statale kurda (il successo kurdo sarebbe destabilizzante rispetto alla politica scontro tra le componenti religiose coltivata dalla politica statunitense e dei suoi alleati e condivisa dal suo nemico regionale: l’Iran.

[1] La Redazione, Guerra alla convivenza, Newsletter Crescita Politica, n. 124, ottobre 2019, http://www.ucadi.org/categorie/newsletter/anno-2019/numero-124-
ottobre-2019/

Un’alleanza naturale USA – Iran.

All’apparenza USA e Iran appaiono come i nemici storici dell’area. Le interferenze americane nella politica iraniana sono note e vanno dall’alleanza con lo Scià di Persia all’avversione americana verso il nazionalismo iraniano prima laico Mossadeq e poi contro il fondamentalismo religioso di Komeini e dei suoi successori. I due nemici hanno in comune la gestione dell’appartenenza religiosa come strumento di dominio delle masse per farsi la guerra e contendersi il controllo della regione.
In questo contesto la nascita di un’entità curda, il Rojava, potenzialmente in grado di fungere da polo di attrazione per i 50 milioni di kurdi della regione oggi distribuiti tra Turchia, Siria, Iraq e Iran destabilizzerebbe tutti questi Stati sotto il profilo territoriale sottraendo loro porzioni di territorio, avrebbe accesso alle risorse petrolifere concentrate soprattutto nel Kurdistan irakeno, controllerebbe parte delle riserve idriche della regione e soprattutto dimostrerebbe che si può vivere e bene in una società laica, superando in tal modo le contrapposizioni etniche.
Decisamente un esempio devastante per Arabia Saudita, Turchia e Iran, Iraq e Emirati del Golfo. Quindi meglio alimentare la guerra e il conflitto perenne, ricompattare in un gioco di ruolo la società iraniana intorno ai suoi Imam e ai potentati dei Guardiani della Rivoluzione, stroncare ogni velleità di unione dei popoli. Ma non è detto che il gioco riesca!

Segnali di speranza.

Malgrado l’incentivazione multilaterale del nazionalismo e del fondamentalismo religioso la società iraniana non sembra lasciarsi conquistare dalla propaganda di regime ne la disperata lotta del popolo kurdo è stata definitivamente sconfitta. La mobilitazione armata vittoriosa di uomini e donne ha dimostrato che la vittoria è possibile, le tante donne e i tanti uomini martiri della lotta di liberazione dalla schiavitù religiosa e economica e politica hanno bagnato con il loro sangue la terra arida dell’altopiano del Kurdistan ancora una volta e nella tradizione culturale del Medio Oriente il sacrificio dei martiri semina speranza, permette al fiore della libertà di fiorire.
Perciò a queste donne, a questi uomini in lotta deve andare la nostra solidarietà attiva

G. Cimbalo