Il Papa sociale

Dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi di ottobre 2019 dedicato all’Amazzonia ha preso quota nella Chiesa cattolica il dibattito sul celibato ecclesiastico, in quel contesto motivato dalla carenza di sacerdoti in grado di assistere i fedeli di quelle comunità. Il dibattito ha assunto i toni della polemica politica dopo la pubblicazione di un libro a quattro mani del Papa emerito e del cardinale Sarah (esponente dell’ala conservatrice vaticana) che dice no all’ordinazione sacerdotale di uomini sposati.
La questione dottrinale sollevata si intreccia inevitabilmente con uno problema ben più grave relativo ai troppi casi di pedofilia nella Chiesa per cui si sostiene da più parti che il matrimonio dei preti fungerebbe da antidoto a questa degenerazione criminale della sessualità, molto diffusa in ambiente ecclesiastico e che l’attuale pontefice ha cercato di combattere anche abolendo il segreto sui casi di pedofilia affrontati davanti ai tribunali ecclesiastici oppure oggetto di provvedimenti amministrativi della Chiesa imponendo la collaborazione dei vescovi con la magistratura civile.
Tuttavia il problema è decisamente più complesso e merita che si faccia chiarezza innanzi tutto rilevando che la pedofilia è l’attenzione sessuale di adulti verso minori (uomini o femmine che siano) e che la presenza di una moglie e di una famiglia non la impediscono. Tra i pedofili non sono pochi quelli sposati!
Per fare ulteriore chiarezza bisogna poi ricordare che il celibato ecclesiastico dei sacerdoti è una caratteristica della Chiesa cattolica di rito latino perché anche all’interno del cattolicesimo i preti di rito greco cattolico possono sposarsi. Il celibato, come nella Chiesa ortodossa, è riservato ai vescovi e ai monaci.                                                        Il celibato dei preti cattolici è infatti una norma amministrativa voluta dal Concilio di Trento (1545-63) in risposta alle critiche luterane e calviniste sulla dissoluzione morale all’interno della Chiesa cattolica.
Tutto ciò premesso il problema che si pone oggi non è solo quello delle crisi delle vocazioni e quindi della carenza di sacerdoti, ma soprattutto quella del ruolo dei pastori rispetto alle comunità ecclesiali che devono curare ”la salute dell’anima dei fedeli”, ovvero svolgere tutte quelle funzioni di comunità, fornire quell’ascolto necessario a far vivere l’appartenenza religiosa in società sempre più complesse.
In questo contesto alcuni anche nella Chiesa cattolica ritengono che per il prete avere una famiglia, degli affetti, la condivisione dei problemi della vita aiuterebbe a comprendere gli altri, soprattutto in un contesto sociale nel quale c’è una forte crescita della concorrenza tra i ministri di culto delle diverse fedi che si contendono il ruolo di mediatori tra l’uomo e Dio o che si propongono come punto di riferimento delle
rispettive comunità.
Questo problema diviene sempre più evidente quanto più cresce l’esigenza di comunità in società sempre più diseguali, nelle quali la ricchezza è distribuita in modo ineguale tra persone sempre più povere (la maggioranza) e pochi detentori di ricchezze sempre più grandi.
In una parola il rapporto individuale e intimo con Dio è un lusso che solo i ricchi possono permettersi, mentre i poveri hanno bisogno del rapporto di comunità che ad essi trasmette solidarietà e vicinanza, e non nella vita dopo la morte, ma qui e ora, nelle società delle periferie degradate delle città e del mondo.
Ebbene una Chiesa che oggi decide di guardare al creato, alla sua tutela, che dichiara di pensare che Dio – oppure, per chi non crede . la natura e le leggi della chimica e della fisica ci hanno affidato un universo da trasmettere alle nuove generazioni che non deve essere distrutto dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo (o sulla donna) ha bisogno di vivere le contraddizioni della condizione umana. In alte parole nelle società delle
diseguaglianze il prete ha bisogno di essere in sintonia con i poveri e gli emarginati, gli ultimi, che sono poi la gran parte degli esseri umani.
Ma c’è un’altra Chiesa, quella dell’edonismo individuale dei ricchi, di coloro che ritengono la religione un’opzione di fine vita alla quale si ricorre quando si avverte il bisogno di salvarsi attraverso il perdono del peccato grazie alla misericordia che da tutto assolve, grazie al pentimento; che sopravviene quando c’è da scommettere sulla probabile esistenza dell’aldilà per acquistare con poca spesa il biglietto con un atto di contrizione. Una Chiesa strumento di potere terreno e potere spirituale che controlla le coscienze e le gestisce pro domo suo.
Per noi non credenti il solo dialogo possibile è con chi crede negli esseri umani, uomini e donne, omosessuali e eterosessuali, dalla pelle di ogni colore, da qualsiasi parte vengono. La sola differenza riguarda il loro ruolo sociale perché agli sfruttatori preferiremo sempre gli sfruttati, lottando con loro contro le diseguaglianze, convinti come siamo che senza eguaglianza non c’è libertà.