Il fiore della laicità

Mentre Erdogan dopo aver “stabilizzato “ la situazione sui confini orientali del paese conquistando territorio e neutralizzando il pericolo kurdo si riposiziona nel Mediterraneo per accaparrarsi gas e petrolio e punta alla Libia già parte dell’impero ottomano rischia di naufragare la narrazione costruita dagli USA e dai diversi governi arabi della quale fino ad ora i governi dell’area hanno beneficiato: il Medio Oriente va governato
suddividendo i popoli sulla base dell’appartenenza religiosa.
Il Libano, proprio l’ultimo brandello nel quale si utilizzava il millet ottomano (suddivisione della popolazione per gruppi religiosi suddivise in strutture politico-confessionali autonome) come strumento di governo rischia di saltare.

L’eredità ottomana

L’Impero Ottomano era multietnico e multi religioso. Per governarlo i Sultani ottomani avevano suddiviso le popolazioni per etnie e religioni consentendo ad ognuna di esse di darsi una propria struttura e organizzazione con propri diritti e proprie leggi. Su tutti si imponeva naturalmente l’Islam, che solo godeva di pieni diritti.
Similmente anche il Libano, crogiolo di popoli e etnie, uscendo dalla dominazione coloniale francese ha costruito un sistema simile nel quale il governo del paese è costruito su un delicato equilibrio tra le diverse componenti etnico religiose della popolazione. Le confessioni riconosciute sono infatti ben 18.
Se non che le guerre condotte da Israele, con successive annessioni di territorio da parte dello Stato ebraico, hanno finito per cambiare la composizione della popolazione del paese, immettendo profughi fin dal 1948 in ondate successive e in coincidenza con le diverse guerre. Così ai palestinesi scacciati dalle loro terre (e più volte sterminati come è accaduto con gli eccidi dell’esercito di Israele nei campi di Sabra e Shatila, 1982) si sono successivamente aggiunti 2 milioni di rifugiati siriani, arrivati nel Paese dall’inizio del conflitto e, successivamente, iracheni e kurdi, al punto che nel 2017 la popolazione del Paese è stata stimata in 6.082.000 abitanti, con una densità è di circa 582 ab./km2 e più del 50% della popolazione libanese, intorno ai 4,5 milioni di abitanti, composto da rifugiati, il che influisce enormemente sulle condizioni economiche, umane, sociali, politiche e soprattutto di sicurezza interna del Paese.
L’emergenza più grande è ovviamente il lavoro; non c’è lavoro nemmeno per i libanesi che sono diventati rifugiati nella loro stessa terra: Ora accade che le diverse componenti della popolazione riconoscano di avere problemi comuni. Hanno capito che la guerra tra le diverse componenti della società non è la soluzione ai problemi.
Se dipendesse da loro i libanesi sarebbero in pace con tutti, Israele compreso, perché il Libano vuole continuare ad essere una società pluralista in tutto Medio Oriente, perché da ciò dipende la possibilità di continuare ad esistere garantendo quello spazio vitale che ha consentito in passato alla finanza di considerare il Paese una piattaforma operativa verso tutta la regione.
Tuttavia anni di governo delle diverse fazioni dei partiti religiosi ed etnici hanno fatto crescere la corruzione e accentuato il disastro economico. I capitali finanziari sono fuggiti alla ricerca di luoghi più stabili e ricchi di opportunità abbandonando il paese a se stesso. L’insieme di questi fattori ha prodotto la crisi del sistema e la popolazione in larga parte formata da giovani è scesa in piazza per rivendicare un governo eletto grazie a una legge proporzionale che valorizzi le competenze dei candidati eletti. a prescindere dalla loro appartenenza religiosa o etnica, chiedendo che i partiti ricevano
il consenso per i programmi politici che sostengono e le capacità di governo che dimostrano di avere e non per aver dichiarato di sostenere o rappresentare questa o quella fazione etnica o religiosa.
Il Libano insomma sceglie una società laica e rifiuta di dividersi per motivi religiosi, facendo saltare la suddivisione della popolazione tra i diversi schieramenti religiosi. Non più un paese diviso tra le comunità druse sui monti e iraniani e palestinesi nella valle della Beqā abitanti delle città e dei campi profughi pronti a fronteggiarsi ma un popolo
unito nei sui interessi da un impoverimento comune che colpisce tutti e rende impossibile il soddisfacimento delle più elementari necessità. Per troppi decenni le classi dirigenti, il notabilato dei diversi gruppi è vissuto sul patto di convivenza forte del timore che lo scontro delle fazioni avrebbe portato alla reciproca rovina. Ora il popolo libanese sembra essersi reso conto di non avere nulla da perdere si gioca l’ultima possibilità di uscita da questa situazione rigettando la suddivisione a base religiosa in nome dei comuni interessi.
Forse la sollevazione popolare non avrà risultati immediati, ma è l’inizio di un percorso. Il seme della laicità e del superamento delle divisioni a base religiosa è stato gettato in Medio Oriente e speriamo che attecchisca in Libano come già avvenuto nel vicino Rojava c che da qui si diffonda in tutta la regione fino a travolgere Israele.

G.L.