Autonomia vo’ cercando ch’è si cara

La richiesta di autonomia differenziata di Lombardia e veneto,(alla quale si è aggiunta l’Emilia Romagna) ha una lunga storia e costituisce parte della “Questione Nord” che riguarda la concentrazione delle attività produttive del Paese in queste aree [1]. Questo problema sta alla base della nascita stessa della Lega nord, prima secessionista e separatista poi divenuta nel tempo autonomista ed ha come substrato strutturale dal punto di vista economico la sostanziale divisione del paese: una quella a Nord collocata come interland della produzione del sistema economico tedesco; dopo lo smantellamento dell’industria automobilistica italiana e di quella chimica e le profonde modificazioni intervenute nella distribuzioni delle attività produttive, quest’area vive e dipende dal mercato tedesco, lavora per quel sistema produttivo, al pari e forse più di Slovenia, Ungheria, Cechia e aree della Polonia. Da questo dato strutturale è nato il supporto politico e la rappresentanza di interessi espressi dalla Lega nord, ma anche la riforma del titolo V della Costituzione, voluta e condotta dal PD: una forzatura nella modifica delle attribuzioni e distribuzioni di competenze tra Stato e Regioni. Ne è nato un contenzioso infinito davanti alla Corte Costituzionale come conseguenza di un’attribuzione pasticciata di competenze. Ma tanto è bastato per produrre un ambiguo rafforzamento dei poteri locali soprattutto in materia di gestione sociale e di diritti che hanno portato a una restrizione delle libertà civili soprattutto in queste aree.
Il fenomeno non è stato esente da paradossi e fenomeni complementari, proprio in queste aree che continuavano a crescere si concentrava il massimo della crisi demografica, il massimo di ricollocazione dei migranti, con una crescita esponenziale della xenofobia e del razzismo, la creazione di un proletariato indigeno marginale formato da proletari dismessi dal sistema produttivo, a causa delle ristrutturazioni aziendali, da ceti medi e appartenenti alle professioni impoveriti (i cosiddetti penultimi). affiancati da un esercito separato di lavoratori immigrati, che costituivano una riserva di manodopera, sottopagata e a lavoro nero, gestita grazie a politiche criminali sull’emigrazione, la cui massima espressione è stata raggiunta ad opera del caporale Salvini (nel senso di esercente l’attività di caporalato), rendendo sistematicamente irregolari i migranti.
Dall’altra parte il resto del Paese relegato ad apparente fardello del Nord produttivo ma in realtà comodo mercato interno e produttore di una parte non irrilevante del reddito del sistema Paese. Grande spazio meriterebbe l’analisi delle attività produttive di quest’altra parte del Paese alimentata dalle attività turistiche, dall’agricoltura – bisognevole anch’essa di migranti ad alto sfruttamento – da produzioni di eccellenza del made in Italy distribuite un po’ ovunque a macchia di leopardo, da attività di supporto ai servizi, ecc.

[1] Lombardia e Veneto a trazione politica leghista nel 2017 hanno svolto un referendum nei propri territori a supporto della richiesta di autonomia differenziata chiedendo ai cittadini “Volete voi maggiori poteri e risorse per la vostra regione?” Analoga richiesta è venuta della Regione Emilia Romagna – che non ha svolto il referendum non richiesto dall’ordinamento- ma l’ha formulata per iniziativa del Pd che governa la Regione.

La fine del sogno

La crisi crescente del sistema produttivo tedesco che aveva supportato strutturalmente la richiesta delle regioni del Nord, si è incrociata il prodotto politico di queste tensioni che per affermarsi ha dovuto diventare movimento politico nazionale; da qui la fine della Lega Nord e l’affermarsi del calvinismo sovranista, certamente in contraddizione con le ipotesi separatiste ma anche con quelle marcatamente autonomistiche. Da qui la crisi nel passato Governo a trazione leghista e l’incapacità/difficoltà di condurre in porto l’autonomia differenziata. Tanto più che a causa della mutata fase economica è venuto sempre più meno e tenderà a diminuire ancora il sostegno strutturale del sistema produttivo all’autonomia, ancorché differenziata.
Di tutto questo fa finta di non accorgersi la dirigenza leghista e ancora più miope è il PD, convinto di dover attuare il comma 3 dell’art.116 della Costituzione. Prova ne sia che a febbraio 2018 il Governo Gentiloni, a un mese dalle elezioni politiche, sottoscrive con Lombardia, Veneto e Emilia Romagna un’Intesa dai chiari tratti e lineamenti disgregatori, contrari alla coesione sociale e all’unità nazionale. Dopo le elezioni politiche del marzo 2018 con la formazione del Governo Conte 1 l’attuazione dell’autonomia differenziata diveniva “questione prioritaria”, tanto che venivano sottoscritte nuove Intese fra le tre regioni e il nuovo Governo con le quali, per quanto riguarda la Lombardia e il Veneto, si profilava la trattenuta del 90% delle tasse generate da ogni singola regione. Sul piano dell’Istruzione si prevedevano contratti regionali, assunzioni e concorsi regionali, ruoli regionali e mobilità regionalizzata, vale a dire la fine del contratto nazionale e dell’istruzione come diritto esigibile da ogni cittadino italiano indipendentemente dalla sua residenza come previsto dalla Costituzione dovuto essere avvenire con l’approvazione di un atto sul quale il Parlamento dovrebbe potuto solo esprimere opinioni e pareri, senza potere di modificarlo, scimmiottando la procedura prevista per le Intese con le Confessioni religiose ( sic.! ).
La procedura palesemente incostituzionale prevede anche la criptazione del testo delle Intese: quelli conosciuti e in circolazione sono state pubblicate da siti di studi privati e non ufficiali, quando invece sarebbe necessaria:                                                                           · una legge di principi che fissi i paletti della possibile pratica della legislazione concorrente frutto di un’ampia discussione nel paese;
· la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali (istruzione, sanità, assistenza, trasporto locale) da garantire su tutto il territorio nazionale in modo uniforme;
· la fissazione dei fabbisogni standard previsti dalla legge 42/09 in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e mai individuati;
· l’attivazione della Conferenza Stato Regioni e Province autonome come soggetto guida di ogni processo autonomistico.

Necessità di opporsi

A nostro avviso l’autonomia differenziata non deve avere corso perché divide il Paese fra una macro regione del Nord e le altre regioni d’Italia che verrebbero abbandonare all’arretratezza. Occorre ricordare che le tasse non sono pagate dalle regioni, ma dai singoli cittadini, e da quelle tasse deriva l’attuazione dell’impegno costituzionale a garantire a tutti gli stessi diritti indipendentemente dai confini territoriali dei governi locali dando piena attuazione all’art. 3 che costituisce il cardine del patto costituzionale. Qui non si tratta di opporsi alla regionalizzazione di questa o quella competenza o in particolare alla regionalizzazione dell’istruzione. Noi partiamo dal concetto che a uguale lavoro deve corrispondere uguale retribuzione non solo in Italia ma anche almeno in Europa e che quindi a maggior ragione non vi può essere uno stipendio al Nord e uno al Sud perché a stipendi differenziati corrispondono diritti differenziati non solo per i lavoratori, per i cittadini e i non cittadini, per tutti. O il sistema contrattuale è almeno nazionale, oppure si finirebbero per creare venti comitati di settore e venti contratti impedendo l’esercizio del diritto di spostarsi nel territorio e facendo dipendere le proprie condizioni di vita dalle differenti normative regionali.
In un mondo sempre più globalizzato è inaccettabile pensare di gestire mercati del lavoro regionali in un’ottica di economi curtense. A preoccupare sono inoltre gli effetti di disgregazione sociale messi in moto dall’autonomia differenziata che fungerebbe da strumento di balcanizzazione dei rapporti sociali e produttivi.
Pur essendo internazionalisti siamo convinti che in questa fase il costituzionalismo giuridico come espressione di ordinamenti giuridici scaturiti da elementi aggregativi quali la lingua la tradizione e la cultura costituiscano l’ambito nel quale può prendere forma e manifestarsi una strategia per la difesa dei diritti e delle libertà civile, prodromica di una sempre maggiore uguaglianza sociale.
La scelta del terreno e degli ambiti nei quali si svolge la lotta di classe è uno dei passi necessari e propedeutici per condurre una efficace battaglia per costruire una convivenza possibile e per creare uno spazio nel quale i diritti di uguaglianza sociale siano esigibili anche a fronte delle strategie di dominio messe in atto dal capitale finanziario e non.