La crescita delle forze politiche di destra e il diffondersi di politiche sovraniste rendono sempre più evidente la crisi del riformismo cosiddetto progressista. Nel secolo passato con questa definizione si usava definire i programmi di quei partiti e movimenti politici che si proponevano una riforma del capitalismo confidando nel progresso e muovendo dalla convinzione che lo sviluppo della scienza, delle conoscenze e quindi della società dovessero o almeno avrebbero dovuto o potuto portare a una evoluzione positiva del sistema economico e sociale costruito dal liberalismo verso forme più accettabili e egualitarie, facendo prevalere la giustizia sociale: una forma insomma di sfruttamento capitalistico attenuato, sola possibile soluzione per tutti coloro che credono nell’immutabilità delle leggi economiche nel sancire la prevalenza tra capitale e lavoro.
Questa prospettiva venne accettata da una parte della sinistra anticapitalista e nacquero i partiti socialdemocratici, nel tentativo di coniugare una temperata critica al capitalismo con la sopravvivenza delle leggi di mercato considerate
immutabili, cercando di realizzare un riformismo compatibile con le leggi dell’economia capitalista. Un’altra componente dell’opposizione di classe al capitalismo scelse di percorrere l’ipotesi “comunista” immaginando che fosse possibile sovvertire le leggi dell’economia e dar vita a un diverso sistema di relazioni economiche, costruendo così le basi di un diverso sistema di gestione politica della società. È questa la strada scelta dall’esperimento “comunista”, fatto proprio dalla III internazionale, che si è esaurito con la dissoluzione del sistema politico creato dall’URSS e dai paesi satelliti ai quali quel regime dette vita.
Una diversa strada, in questo ambito è stata scelta dalla Cina, la quale si è data in una prima fase una struttura comunista dell’economia e dei rapporti sociali e produttivi per creare le basi dell’accumulazione primitiva di capitale, per poi aprirsi all’economia di mercato e al sistema capitalistico sotto la direzione di un partito sedicente comunista che del comunismo ha abbandonato ogni cosa, a cominciare dal principio di uguaglianza e giustizia sociale.
Ma accanto a queste strade imboccate per il superamento del capitalismo c’è ne un’altra, anch’essa riformista che a differenza delle altre concepisce il riformismo come tattica e elemento strategico per giungere a produrre la rottura
rivoluzionaria e con essa il superamento del capitalismo [1]. Si tratta dell’anarchismo: anche questa strada verso il comunismo è stata sconfitta, e all’apparenza sembra essere più inconsistente delle altre, perché quello che ha costruito è durato un tempo minore e ha attirato l’ostilità congiunta del capitalismo e di ogni altra forma di riformismo, e ciò a causa della profondità e radicalità delle idee e dei metodi adottati, che sono i suoi punti di forza ancora validi e necessari.
L’anarchismo ha cercato di coniugare comunismo e libertà, sviluppando una visione strategica dei rapporti sociali e produttivi capace di portare gradualmente alla trasformazione della società e alla costruzione di relazioni nuove sul piano economico, sociale e persino delle relazioni personali e umane, ben consapevole che se il mutamento delle relazioni strutturali è reale non può che inverarsi per essere tale anche nelle relazioni tra le persone. L’attenzione per questo aspetto del cambiamento è quella che fa la differenza e produce la radicalità necessaria per tenere dritta e vigile la strategia dell’anarchismo per il superamento del capitalismo.
[1] E. M ALATESTA , Anarchismo e riforme. In “Pensiero e Volontà”, 1 marzo 1924; L. F ABBRI , L’organizzazione operaia e l’anarchia, CP editrice, Firenze 1975.
La difesa del capitalismo
Per il capitalismo difendersi da questa minaccia è un obiettivo essenziale e questo non tanto e non solo perché esso vede con chiarezza l’inconciliabilità con l’anarchismo, ma perché le classi sfruttate, nel condividere almeno alcuni
dei tentativi riformisti messi in atto dall’anarchismo, tendono a conferire ad essi caratteristiche e valenza libertaria di radicalità. È stato così con il movimento di emancipazione delle donne, con quello sessuale, con i tentativi di autogestione
di realtà produttive, con l’ecologismo, con i tentativi recentissimi di costruire un’alternativa al fondamentalismo religioso attraverso l’autogoverno di comunità, l’uguaglianza tra uomo e donna, la laicità, il rispetto della natura, a riprova dell’attualità del riformismo libertario (è il caso delle lotte nel Rojava).
Da parte marxista oggi come nel secolo passato si continua ad affermare che l’ipotesi libertaria e comunista anarchica di riformismo sociale era adatta alle società arretrate e contadine e che la sua periodica ricomparsa si manifesta
nelle aree arretrate del mondo. In poche parole la strategia dell’anarchismo non è adeguata alla lotta di classe nei paesi avanzati [2], nelle società complesse dell’occidente capitalistico e si omette di analizzare la strategia adottata nell’occidente capitalistico nel ciclo di lotte che hanno caratterizzato lo scontro sociale fino alla fase di sconfitta subita dal “comunismo” dell’URSS e dei paesi dell’Est Europa.
Ci riferiamo al ciclo di notte che, partito negli anni 60 nei paesi occidentali dell’Europa è stato sconfitto grazie all’avvento della rivoluzione informatica e telematica e alle profonde trasformazioni strutturali che essa a prodotto
nell’organizzazione produttiva, nella logistica, nell’organizzazione del lavoro nei rapporti e relazioni umane nella distribuzione della ricchezza prodotta, nella concentrazione del capitale monopolistico e finanziario.
[2] In altra occasione ci riproponiamo di affrontare il problema dell’estrema attualità della proposta politica del comunismo anarchico per contrastare il ritorno del sacro nell’occidente capitalistico come in quella parte del mondo nella quale prevalgono e si impongono i fondamentalismi religiosi come quelli islamici e indu.
Strategia rivoluzionaria e mondo diseguale
Dalla fine della seconda guerra mondiale, che ha sancito la chiusura definitiva delle contraddizioni aperte dalla rivoluzione sovietica, trasformando l’URSS in uno Stato imperiale a “capitalismo di Stato” (o sarebbe più esatto dire in
uno Stato burocratico oligarchico) impegnato a contendere al capitalismo profitti e mercati alla sua definitiva trasformazione in Stato capitalistico oligarchico (o come si direbbe oggi in democratura), fase avviata con la dismissione dei paesi satelliti e la ricomposizione nazionale del paese è mancata al movimento di classe internazionale un punto di riferimento e di coordinamento internazionale delle lotte.
Di conseguenza in un mondo globalizzato ma diseguale per ogni area le componenti rivoluzionarie, pur generose nella lotta hanno adottato strategie diverse quali le lotte di indipendenza nazionale nel Sud Est asiatico e in particolare in Vietnam, la guerriglia nell’America Latina, le lotte di liberazione anti colonialiste in Africa, subendo sconfitte e qualche momentanea vittoria, riassorbite dal capitalismo attraverso la globalizzazione dei mercati, dei rapporti produttivi, dell’innovazione tecnologica che ha portato, all’economia della logistica prevalente, del decentramento produttivo, della gestione informatica delle scorte con conseguente abbattimento dei costi.
Il risultato di tutto questo è che oggi, a livello globale e soprattutto nell’occidente europeo constatiamo la crisi del riformismo e l’avanzata dei sovranismi come modello di gestione sociale e non riusciamo ad ipotizzare una strategia di
uscita da questa fase regressiva e di sconfitta non solo per un’ipotesi di trasformazione rivoluzionaria della società che ci appare più che mai utopica, ma nemmeno per una strategia di uscita di stampo riformista che consenta di far ripartire la speranza di un cambiamento.
L’analisi della sconfitta del riformismo nell’occidente capitalistico
Per poter minimamente elaborare una strategia di superamento di questa fase di sconfitta della lotta di classe dobbiamo avere il coraggio di comprendere fino in fondo il ruolo del riformismo cosiddetto progressista nella sconfitta del riformismo di classe che mirava a costruire nelle lotte i presupposti per una mutazione rivoluzionaria dei rapporti produttivi. L’analisi che ci proponiamo è complessa, ma se assumiamo a paradigma quello che è avvenuto in Italia e
concentriamo su caso italiano la nostra analisi non andiamo molto lontano da risultati che permettono di individuare linee di fondo applicabili con le dovute varianti ad altri paesi dell’Europa occidentale, in quanto la strategia adottata dalle malearti dei riformisti presenta caratteristiche comuni.
Approfittando della necessità del capitalismo di far ripartire l’accumulazione del profitto dopo la fine della seconda guerra mondiale è partito un ciclo di lotte operaie e contadine che ha trovato come punto di coagulo il 1968 e il tentativo di una generazione nuova nata nel dopoguerra di rimettere in discussione rapporti produttivi, valori, imponendo la secolarizzazione della società e lo sviluppo delle libertà civili e partecipative, ponendo la questione femminile e quella dell’apertura delle relazioni affettive e umane. È nato e si è imposto così un ciclo di lotte che ha individuato nel riformismo istituzionale e nel contenzioso organizzato lo strumento attraverso il quale rivendicare diritti collettivi e
individuali: In Italia e non solo in Italia si è imposto un ciclo di battaglie riformiste che ha visto crescere i diritti su a livello economico che sociale attraverso un rapporto dialettico tra azione collettiva di mobilitazione e di lotta e uso degli
strumenti rivoluzionari, nella convinzione che in tal modo si potessero creare le basi di una trasformazione sia pur graduale della società a conquistare i diritti da sempre rivendicati.
Partiva così una stagione di mobilitazione civile che ha individuava nella giustizializzazione dei diritti uno strumento di evoluzione del costume come dell’ordinamento. A contrastarla si ergevano i partiti riformisti e in Italia in
particolare il PCI e il PSI che attraverso il controllo esercitato sulle organizzazioni sindacali hanno fatto di tutto per ridurre le possibilità di sviluppo del contenzioso, privando di un’arma tipicamente riformista i ceti e la classi che
affermavano di rappresentare.
Ed ecco quindi l’abolizione della contingenza, l’eliminazione della concertazione obbligatoria, il Job Act, la scomparsa della tutela attraverso il processo del lavoro, la destrutturazione delle aggregazioni di resistenza sociale.
La sciocca convinzione dei riformisti nostrani che il conflitto sociale, la giustizializzazione dei diritti, uccida il confronto democratico, danneggi la crescita civile dei cittadini e del corpo sociale, ha determinato una scelta nefasta che ha prodotto invece stagnazione, distrutto la partecipazione e, con questa, abbassato la soglia dello sviluppo, traducendosi in regressione delle relazioni sociali partecipative, ha favorito la frammentazione sociale, esaltando e lasciando spazio agli integralismi religiosi, etnici e identitari.
Oggi questa mobilitazione appare non ripetibile, mancando i presupposti strutturali, la partecipazione sociale, le condizioni materiali e in ragione delle modifiche tecnico-giuridiche introdotte nell’ordinamento. E ciò a causa della
visione suicida di quelle componenti della sinistra che hanno individuato nell’abbattimento del contenzioso l’obiettivo principale delle loro azione politica, nell’intento di “stabilizzare”, a loro dire, il sistema politico istituzionale.
É insomma una vittoria delle componenti dell’oscurantismo, che in buona sostanza produce la stagnazione anche economia, poiché non c’è crescita e sviluppo senza vivacità di confronto, senza speranza, senza desiderio di lottare per una società più giusta nella quale i diritti di libertà fanno da volano alla crescita complessiva dei rapporti umani. È così che il riformismo ha portato a termine la propria sconfitta.
Il riformismo anarchico
All’anarchismo comunista non rimane oggi che riprendere la strada per sovvertire i rapporti di classe attraverso un’azione di trasformazione che guardi con attenzione a ciò che si muove nello scacchiere internazionale e tenendo
conto della necessità di operare in una situazione di generale arretramento delle forze riformiste. Ciò comporta a nostro avviso la necessità di riflettere sui valori portanti dell’azione politica tenendo conto che esigenze che sembravano
superate si ripresentano oggi con estrema urgenza Bisogna rilanciare la lotta antirazzista ribadendo il valore dell’uguaglianza sena differenze di appartenenze
culturali e etniche (ricordando che il concetto di razza è inaccettabile anche dal punto di vista lessicale essendone stata dimostrata l’inconsistenza scientifica). Altrettanto importante è ribadire l’uguaglianza di genere difendendo la coscienza
della libertà di scelta di genere, affidando all’autodeterminazione dei singoli la scelta dell’afferenza. Occorre ricordarsi che alla base dell’eguaglianza c’è la libertà dal bisogno e che quindi le condizioni materiali di vita e di lavoro
costituiscono uno dei presupposti per la costruzione di relazioni umane che garantiscano l’esercizio della libertà.
In tempi nei quali la disperazione e la regressione di valori identitari fa risorgere la religione occorre riaffermare il valore della laicità e del secolarismo lasciando alla libera scelta di ognuno le pratiche di culto, ma impedendo che questa
facciano da scudo e fondamento per rivendicare un ruolo confessionale pubblico dei culti. Il rispetto della natura non può che portare con se non solo la tutela dell’ambiente ma anche dell’ecosistema e della vita e delle condizioni di esistenza di animali, riscoprendo un sano rispetto per l’ambiente e per la capacità stessa di uomini e donne di vivere custodendo il territorio e le strutture sociali alle quali i popoli hanno dato vita perché dall’armonica gestione del territorio possano scaturire quelle aggregazioni esistenziali che si traducono in strutture politiche di gestione della socialità.
In questa direzione la riscoperta di relazioni umane tra coloro che abitano il territorio per costruire una gestione condivisa delle strutture sociali va guardata con attenzione dal comunismo anarchico e costituisce la base dalla quale
partire per innescare la rivoluzione sociale permanente.
G.L.