BOLSO…NARO

I capi di Stato ed i governanti improbabili stanno crescendo un po’ ovunque: a parte il caso limite italiano, Macron in Francia, Boris Johnson in Gran Bretagna (degno successore di Theresa May), i fratelli Kaczyński in Polonia, Zelens’kyj in Ucraina, Kurz in Austria, l’ex presidente del Perù Pedro Paolo Kucynsk, l’aspirante e autonominato presidente del Venezuela Juan Guaidó ed il più improbabile di tutti l’ineffabile neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro.
Personaggi che fanno rifulgere quale grandi statisti il presidente della Confederazione Russa Vladimir Vladimirovič Putin ed il presidente della Repubblica Popolare Cinse Xi Jinping (o confidenzialmente Ping per il vicepresidente del Consiglio italiano Luigi Di Maio). Il fatto è che dietro gran parte di essi, e nell’America Latina in particolare, c’è la lunga mano degli Stati Uniti d’America che la considera come il giardino di casa di cui riprendere il controllo a suo tempo perduto. E quindi c’è quella del comandante in capo degli improbabili ed il più pericoloso di tutti, il presidente degli USA , Donald Trump. La nostra diffidenza verso il paese delle cosiddette “opportunità”, della società più conflittuale e violenta che si conosca, delle teorie economiche neoliberiste che hanno ammorbato l’intero globo terracqueo, delle guerre “umanitarie” e preventive, dell’esportazione con le armi delle “libertà” (le loro s’intende), dell’uso costante delle panzane (nel loro linguaggio fake news) come strumento di propaganda politica, dell’utilizzo dei “social network” ai fini del controllo di massa delle coscienze, della convinzione che tutti i paesi del mondo si debbano uniformare ai loro costumi, dell’imposizione ai governi subalterni della distruzione delle garanzie sociali al loro interno inesistenti, della libertà intesa come diritto del più forte a sopraffare gli altri, sede delle multinazionali più aggressive e meno rispettose dell’ambiente e della salute delle persone, la nostra diffidenza, dicevo, verso gliU SA è ben nota.
Mi sono sempre chiesto, ad esempio, con quale tranquillità l’opinione pubblica accetti senza nulla domandarsi, perché alcuni paesi posseggono ciò che nessuno dovrebbe possedere, l’arma nucleare, ed altri no in quanto nelle loro mani sarebbe più pericolosa; la verità nuda e cruda e che solo uno Stato ha avuto l’irresponsabilità di sganciare la bomba atomica su delle città, quando ancora i suoi tremendi effetti non erano noti, ma le previsioni degli esperti erano ancora più catastrofici della realtà; e questo efferato delitto è stato ripetuto due volte: la prima per avvisare il futuro ma già previsto nemico, che gli Stati Uniti già la possedevano, visto che il Giappone già stava trattando la resa, e la seconda per constatare le differenze tra la bomba ad uranio e quella al plutonio. È questa la nazione a cui con fiducia affidiamo la nostra “sicurezza”!
Ora, al di là della nostra legittima diffidenza, sono i fatti che si incaricano di confermare la validità della prevenzione che nutriamo. Il Brasile si incarica di rinnovare quello che già dovrebbe essere a tutti ben noto. Gli USA intervengono a piene mani negli affari degli altri, nell’ostentata convinzione che sia loro diritto difendere i propri “interessi” laddove individuino che esistono, senza farsi alcuno scrupolo dei diritti degli altri di preservare i loro nel loro territorio. Schiere di dittatori hanno attraversato la storia dell’America Latina negli anni del secondo dopoguerra, tutti sostenuti o insediati da Washington, dittatori molto spesso sanguinari (il Cile del 1973 ne è un palese esempio). Alcuni di essi sono stati sostenuti e poi abbattuti quando non erano più utili, come nel caso di Noriega a Panama. E fuori dall’America latina il caso Saddam Hussein in Irak.
L’intervento militare è solo una delle opzioni a disposizione; altre volte risulta più comodo catapultare nel paese da sottomettere un ben addestrato ventriloquo come nel caso del Venezuela o far leva sul malcontento locale foraggiando di informazioni e soprattutto soldi le parti favorevoli alle politiche da far adottare. Nel caso del Brasile si è scelto di far agire la magistratura per incriminare tutto il gruppo facente capo all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Non è in discussione il fatto che si trattasse di governati corrotti, come lo sono quelli di tutti i paesi, quelli latinoamericani forse in particolare. Sta di fatto che ciò non ha mai scosso grandemente le coscienze delle candide anime statunitensi; altrimenti come avrebbero potuto tollerare e addirittura sorreggere dittatori quali Alberto Fujimori in Perù, Augusto Pinochet in Cile, Jorge Rafael Videla in Argentina, Fulgencio Batista y Zaldivar a Cuba, Hugo Banzer Suárez in Bolivia, Anastasio Somoza Debayle in Nicaragua e la lista potrebbe continuare a lungo?
Dilma Rousseff, lo possiamo ammettere senza preoccupazione, era coinvolta in affari poco chiari, ma la sua messa sotto accusa è servita solo a spianare la strada ad un presidente di transizione, Michel Temer, prono ai voleri del nord del continente. Le successive elezioni vedevano il pericoloso ritorno, per gli USA, del vecchio presidente Lula. La magistratura è entrata di nuovo in gioco, mettendo in carcere ed escludendo di fatto dalla campagna elettorale il pericoloso, quanto indesiderato concorrente. Ora la verità è venuta a galla; basti citare un titolo ed un sottotitolo: “Il Brasile si risveglia nella corruzione del sistema giudiziario: «Conferme che Lula è un prigioniero politico»”- “I messaggi sembrano confermare i sospetti: il giudice Moro ha agito da assistente dell’accusa contro l’ex presidente Lula. L’attuale ministro, che svolge un ruolo chiave nel governo di Bolsonaro, ha cospirato con il procuratore del caso Lava Jato per perseguire l’ex presidente mentre si trovava in vantaggio durante la campagna elettorale del 2018”.[1]
Difficile pensare che all’episodio che ha portato alla presidenza proprio l’ex militare, nostalgico del pugno di ferro dei generali, di idee a dir poco retrograde, Bolsonaro, gli Stati Uniti d’America siano estranei e che tutto l’accaduto sia frutto autoctono, visto quanto Washington abbia a suo tempo avversato la presidenza di Lula, autore di una politica tendente a staccare il cordone ombelicale che legava il Brasile agli interessi statunitensi. Se qualche merito occorre riconoscere all’Amministrazione Trump è quello di non nascondere le mire verso il controllo più globale possibile dell’economia mondiale sotto velami vagamente altruistici, dichiarando anzi brutalmente che gli interessi del loro paese è al primo posto, costi quel che costi ai malcapitati recalcitranti, anche, se necessario, ricorrere nuovamente alle armi, come proprio in queste ore è stato prospettato nei confronti dell’Iran. È d’uopo ripeterlo: il pericolo per la pace mondiale viene da occidente!

Saverio Craparo

[1] https://www.dinamopress.it/news/brasile-si-risveglia-nella-corruzione-del-sistema-giudiziario-conferme-lula-un-prigioniero-politico/.