OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n° 40, dicembre 2018

Italietta – Siamo cresciuti, noi vecchi, in una cultura di “sinistra” che ha sempre creduto e ha fatto credere che il capitalismo italiano fosse un po’ straccione. Per la verità noi abbiamo sempre sostenuto che la durezza della lotta di classe in Italia, quella che è ormai un puro ricordo ed è finita sotto traccia da circa quaranta anni, aveva forgiato una classe imprenditoriale attenta alle sfide che giornalmente le si ponevano; già un secolo fa, Giovanni Agnelli (non l’avvocato, ma il nonno fondatore della Fiat) aggirò la combattività operaia con un falso accordo. Oggidì la crescita italiana è la più bassa dell’eurozona e questo è visto come un ulteriore sintomo di debolezza. La realtà è un’altra. Questa crescita si basa essenzialmente sulle esportazioni, mentre è il mercato interno che batte i colpi, segno che ancora una volta sono i bassi salari che permettono alle industrie manifatturiere di sfidare efficacemente i mercati esteri, facendo così pagare i costi dei loro profitti ai lavoratori. Un altro mito da sfatare è quello che vuole che le esportazioni italiane siano in gran parte costituite di merci a basso contenuto tecnologico, relegando il paese nelle zone meno efficienti della divisione internazionale del lavoro. Dismesse o fortemente ridimensionate le produzioni a basso impiego di manodopera, energivore e dal limitato valore aggiunto, quali la siderurgia e la chimica di base, negli ultimi due decenni l’Italia ha conquistato primati invidiabili in nuovi settori di punta, che garantiscono un mercato in allargamento e dei profitti crescenti, un po’ di dati chiariranno quanto andiamo dicendo. Prima di tutto l’industria dei robot. [Luca Orlando, Robot, più forti oltreconfine ma frena il mercato interno, in Il Sole 24 Ore, sabato 29 ottobre 2018, a. 154, n° 293, p. 10] Nel terzo trimestre del 2018 gli ordini di macchine utensili sono cresciuti dello 0,2%, ma con una diminuzione del 15,3% degli ordini interni, a fronte di un aumento dello 6,1% di quelli esteri; se ne deduce facilmente che la crisi di molti settori manufatturieri interni morde e che già da tempo il grosso della produzione italiana di sofisticati mezzi automatici di produzione è rivolta al mercato estero. [Luca Orlando, Elicotteri, farmaci, strumenti di test: l’hi-tech italiano che vince nel mondo, in Il Sole 24 Ore, domenica 9 dicembre 2018, a. 154, n° 344, p. 10] Il mercato mondiale dei prodotti ad alta tecnologia è un quarto del globale e per l’export primeggia la Cina, mentre gli Stati Uniti sono i principalmente importatori; l’Italia ha ancora un ruolo marginale, ma mentre il complesso delle esportazioni dal 2008 è calato dello 0,7%, quelle del settore hi-tech sono restate stabili ed in alcuni settori stanno conquistando quote di mercato quei settori evidenziati nel titolo. [Luca Orlando, Il robot italiano “sorpassa Germania, Giappone e Usa, in Il Sole 24 Ore, giovedì 30 agosto 2018, a. 154, n° 259, p. 6]. “Oltre mille installazioni in più. La robotica italiana nel 2017 si avvicina alle 8000 unità, presentando un tasso di crescita del 19%. Più alto del Giappone il doppio rispetto alla Germania, il triplo in rapporto agli Stati Uniti.” Nel 2018 si prevede una crescita ulteriore. [Marco Fortis, Il triennio d’oro della manifattura, battuta la locomotiva tedesca, in Il Sole 24 Ore, mercoledì 24 ottobre 2018, a. 154, n° 259, p. 20] “Dopo un iniziale, timido recupero nel 2014, negli ultimi tre anni (2015-2017) il valore aggiunto dell’industria manifatturiera italiana è sempre regolarmente aumentato di più del valore aggiunto delle manifatture francese e britannica e in due su tre (2015 e 2017) anche di più della manifattura tedesca.” La crescita del valore aggiunto cioè il margine tra valore di mercato delle merci prodotte ed i costi di produzione sostenuti (vedi: http://www.treccani.it/enciclopedia/valore-aggiunto_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/) indica che il grado di tecnologia usato nelle industrie manifatturiere è in forte aumento, in stretto parallelismo con il buon andamento del mercato interno di macchine utensili.
Difesa – L’ultimo vertice della Nato (Beda Romano, Il vertice più difficile nella storia della Nato. Trump incalza gli alleati sulle spese militari, in Il Sole 24 Ore, mercoledì 11 luglio 2018, a. 154, n° 114, p. 18) ha stabilito che ciascun paese membro dovrebbe stanziare per le spese per la difesa il 2% del Pil. Questo limite è attualmente superato solo dagli Stati Uniti d’America (3,57%), Grecia (sic!) (2,36%), Regno Unito (2,32%) ed Estonia (2,08%). L’Italia figura al 21° posto con l’1,12%; ma questo dato merita un approfondimento. Nel 2018 è prevista una spesa dell’1,4% con un incremento del 4%, (https://www.lastampa.it/2018/02/09/scienza/nel-spese-militari-italiane-in-aumento-8CVAvvJj0dWrkziClYMoCJ/pagina.htm), in buona continuità con il Governo Renzi (un aumento dell’8,6% nel 2017 rispetto al 2015, ma questo è solo l’incremento del finanziamento del Ministero della Difesa. Infatti le spese per l’acquisto di nuovi armamenti ricadono e ricadranno sul Ministero dello Sviluppo Economico (aumentati del 30% nella passata legislatura); nel 2018 ci sarà un ulteriore aumento di 5,7 miliardi, pari al 7%). Le risorse mancano per qualsiasi cosa, tranne che per l’esercito!
Nucleare – Negli anni ’70 iniziammo una campagna contro l’installazione delle centrali nucleari (cfr.: Aa.Vv, I nucleodollari, CP editrice, Firenze 1977); nei dibattiti sempre ci veniva opposto quale esempio da seguire il tutto elettrico, tutto nucleare perseguito dalla Francia; veniva anche sbandierato il dato che l’Italia era costretta ad importare energia elettrica dai cugini d’Oltralpe. L’ultima era una vera e propria bufala (fake new, in termini moderni). L’elettricità che attraversava le Alpi verso sud era frutto di accordi e costituiva la remunerazione per le nostre imponenti partecipazioni nei progetti francesi (33% per il reattore veloce Superphénix da 1.300MWe e 25% nell’impianto europeo di arricchimento dell’uranio Eurodif); di fatto la potenza elettrica installata in Italia ha sempre superato di gran lunga la domanda di picco. Ora, come si dice, il tempo è galantuomo: la strategia di Électricité de France è arrivata al capolinea e molte centrali nucleari, ormai vetuste, Con grandissimi problemi di smaltimento e dismissione degli impianti, vengono chiuse; anche il progetto Epr segna il passo se dopo 13 anni ed un raddoppio dei costi la centrale venduta alla Finlandia non ha ancora visto la luce. Così anche la Francia comincia a puntare sulle energie rinnovabili e già la percentuale di energia elettrica prodotta dal nucleo sta scendendo sotto il 50%; (cfr.: Riccardo Sorrentino, Energia, La svolta della Francia. Meno nucleare, più rinnovabili, in Il Sole 24 Ore, mercoledì 28 novembre 2018, a. 154, n° 149, p. 27).
Migranti – Sempre in tema di sorpassi si veda: Luca Orlando, Italia batte Germania. Dalla meccanica il traino dei distretti, in Il Sole 24 Ore, venerdì 21 dicembre 2018, a. 154, n° 356, p. 11), in cui si evidenzia un altro primato violato. Ma la Germania che è alla ricerca di nuovi occupati (circa 1 milione) risponde in modo diverso al sovranismo miope: Roberto Miraglia, La Germania apre sui visti all’immigrazione extra-Ue, in Il Sole 24 Ore, venerdì 21 dicembre 2018, a. 154, n° 356, p. 23.

Chiuso il 23 dicembre 2018

Saverio