ALBANIA: GLI STUDENTI IN PIAZZA

Dal 4 dicembre gli studenti dell’Università pubblica albanese sono in lotta. Dopo 10 giorni di scioperi e manifestazioni la protesta studentesca è abbastanza pacifica, nessun atto di violenza e nessun danno all’ambiente è stato registrato, e il loro movimento gode del sostegno esplicito dai cittadini e di molti docenti. Ciò avviene perché la protesta degli studenti nelle piazze non è una protesta studentesca, ma una protesta di tutto il paese perché mette in evidenza la povertà, la sofferenza e al tempo stesso l’orgoglio del popolo albanese.

Si tratta di una protesta atipica, non partitica, ma molto politica: gli studenti sono stanchi del teatrino politico albanese che oppone le forze di governo a quelle di opposizione, accomunate da corruzione, interessi personali, conflitti di potere . Per questo motivo gli studenti hanno subordinato la loro mobilitazione all’accettazione di alcune regole comuni riassunte nella cosiddetta “Costituzione” dello studente che afferma:
1- Siamo uguali;
2- Lo studente lotta per albanesi, gli albanesi per gli studenti;
3- Gli studenti non hanno rappresentanza, non hanno un capo;
4- Gli studenti non fanno nessuna trattativa, nessun dialogo, niente discorsi!
5- Hanno solo 8 richieste irragionevoli:
6- Praticheranno la protesta e il boicottaggio delle lezioni fino a quando le loro richieste non  saranno soddisfatte;
7- Alla protesta sono liberi di unirsi tutti gli studenti delle scuole superiori, gli insegnanti, i professori, i genitori e chiunque voglia sostenerne la causa; chiunque non applica la Costituzione dello studente non è uno studente in lotta.
Senza voler mettere alcuna etichetta sul movimento si tratta di una piattaforma di mobilitazione libertaria, accompagnata da una grande attenzione ad evitare lo scontro fisico e la violenza. Quest’obiettivo viene raggiunto dando vita a cortei improvvisi davanti alle scuole che convergono verso il Ministero della pubblica istruzione, l’Università, la sede del Governo, ma procedendo sempre contro senso, in modo da infiltrarsi e dissolversi nel traffico e impedendo così alla polizia di ostacolarli e costringendola a schierarsi a difesa degli obiettivi.
Nella loro marcia i dimostranti ricevono il sostegno di automobilisti e popolazione che non di rado mettono a disposizione dei presidi e dei picchetti cibo e generi di conforto.
Il governo è preso in contro piede: cerca di dividere gli studenti e di coinvolgerli in una trattativa: gli studenti non trattano e respingono i tentativi delle opposizioni di infiltrarsi. Le sole bandiere che si vedono sono bandiere nazionali (poche) e tanti cartelli scritti a mano su fogli di carta, tanti.

L’Università in cifre

Per capire da dove nasce la protesta bisogna ricordare che nel gennaio 2014 il governo albanese aveva istituito una commissione di indagine sull’Università incaricandola di esaminare le sedi, i curricula e i documenti di tutti gli istituti universitari del paese, per verificarne la loro credibilità.
In quel momento in Albania erano attive 59 istituzioni universitarie, di cui 15 pubbliche e 44 private. Venivano offerti 1500 programmi di studio, 650 corsi di laurea di primo livello, 600 corsi di master professionali e scientifici e 100 corsi di dottorato. Dei 160.000 studenti universitari, più del 78% risultava iscritto presso le Università pubbliche e di questi il 25% era iscritto al cosiddetto part-time, che prevede corsi solo durante il fine settimana.
Appena 4 anni fa dunque l’Albania contava 20 università ogni milione di abitanti (20 volte in più rispetto alla Gran Bretagna) e ammontano a 32.000 le lauree rilasciate da istituzioni private. Va detto inoltre che 900 di questi titoli erano stati rilasciati a cittadini stranieri: la metà di questi laureati proveniva dal medesimo istituto universitario, (la Kristal University, quella del caso Bossi, poi chiusa).
L’intervento del governo è divenuto inevitabile e le Università sono state suddivise in tre fasce. 13 Università private, collocate nella prima fascia, hanno potuto proseguire l’attività didattica sotto stretto monitoraggio; per altre 13 appartenenti a una seconda fascia è stata adottata una sospensione temporanea dell’attività di due anni, con blocco delle nuove iscrizioni. Alle Università appartenenti alla terza fascia è stata revocata la licenza: sono stati chiusi 18 istituti privati e 6 filiali di Università statali. Pertanto oggi in Albania vi sono 40 Università, di cui 16 pubbliche e 24 private. L’Università di Tirana è quella più antica, ma si trova ad affrontare le principali difficoltà in termini di infrastrutture tecniche, biblioteche, sale studio e dormitori per studenti.

La crisi delle Università pubbliche

Nel 2015 c’è stata una riforma adottata dal Governo, basata sul sistema anglo-sassone. Per la verità in un primo momento il Ministero dell’istruzione si era rivolto a esperti italiani, poi quando si era trattato di pagare per la consulenza erano subentrati gli inglesi che garantivano una maggior tutela delle Università private. La riforma venne attuata all’insegna della competizione tra Università pubbliche e private per accaparrarsi fondi statali senza tenere conto che quelle pubbliche versavano in condizioni pessime.
Questa scelta ha portato al lievitare dei costi dell’’Università alla ricerca della qualità dell’insegnamento, qualità peraltro non assicurata. Secondo una recente pubblicazione dell’Istituto nazionale di statistica albanese nell’ultimo anno le spese di una famiglia per l’educazione dei figli sono cresciute di più 2,3% rispetto all’anno precedente. Per contro il reddito medio mensile ha subito un decremento del 3% ( lo stipendio medio è 400 euro al mese. La spesa pubblica per il settore educazione ammonta invece al 3,1% del Pil nazionale.
Per “sopravvivere” le Università pubbliche hanno alzato le tasse universitarie, hanno cercato di accaparrarsi gli studenti con creazione di nuovi corsi di laurea, che spesso non corrispondano ad esigenze del mercato del lavoro. Questa politica non ha avuto sempre successo tanto che nel mese di febbraio di quest’anno una delle Facoltà dell’università di Tirana non è stata in grado di pagare gli stipendi del corpo docente. La ristrutturazione del sistema di finanziamento che avviene proporzionalmente alle performance delle diverse istituzioni universitarie ha mostrato tutti i suoi limiti e messo in discussione l’obiettivo della riforma che è quello di giungere alla graduale confluenza verso un sistema unificato, in cui le differenze tra pubblico e privato vengano progressivamente attenuate.

Esplode la protesta

Le proteste sono iniziate da un anno, cioè da quando sono state presentate le prime bozze, tutte puntualmente contestate.: ha lasciare sconcertati è il trattamento di favore accordato alle Università private, accusate di avere amici nel Governo e tra i funzionari addetti alla riforma che ne garantiscono gli interessi. La trasformazione giuridica delle Università private in associazioni tipo fondazioni, senza apparenti scopi di lucro, permette loro di ottenere finanziamenti pubblici.
Nel febbraio scorso un centinaio di studenti di medicina trasferitisi nelle Università pubbliche dalle Università private chiuse dal governo ha occupato la sede centrale dell’Università delle Scienze a Tirana per denunciare il carattere discriminatorio delle politiche ministeriali adottate nei loro confronti. Poi è stata la volta degli studenti della triennale che chiedevano il passaggio alle Università pubbliche ed il riconoscimento degli esami superati sino ad allora: il Ministero ha fissato una tassa di 110.000 lek (750 euro circa),mentre per i corsi di laurea in medicina, arte e architettura, l’importo da pagare arrivava a 235.000 lek (1700 euro), quasi 7 volte di più rispetto a quanto paga chi si iscrive al primo anno, tramite concorso. La polizia è intervenuta per porre fine alla protesta e l’occupazione è cessata.
Nonostante il governo abbia ritirato queste tasse aggiuntive sugli esami universitari le proteste covavano sotto la cenere, alimentate anche da una parte dei docenti che hanno subito la riforma come un tentativo di mettere in discussione i loro privilegi, il rapporto con il mercato delle professioni e contestato il controllo sulla loro produttività scientifica. Gli studenti per evitare il ricatto derivante dalla competitività tra le università chiedono un aumento sensibile del budget statale destinato alle Università pubbliche, il miglioramento della qualità dell’insegnamento e delle infrastrutture, un accesso più trasparente alle pubblicazioni sulle riviste accademiche e la lotta contro le pratiche corruttive di alcuni professori, considerando l’educazione come un diritto umano e non un bene esclusivo di alcune categorie sociali.
Avere portato l’Università sul mercato, stimolato la competitività, ha corrisposto anche alla riduzione del peso decisionale degli studenti nei processi di elezione di Rettori e dei Presidi, al punto che l’incidenza degli studenti negli organi di governo è passata dal 20% al 10% dei componenti Il Governo non ha tenuto conto che all’aumento delle tasse doveva necessariamente corrispondere l’aumento del peso negli organi di Governo degli studenti divenuti clienti, interessati perciò a garantire l’efficienza e l’efficacia delle istituzioni e a controllare il loro investimento. Lo stesso dicasi a riguardo dei curricula e dei titoli professionali e formativi rilasciati in rapporto alle richieste del mercato del lavoro e delle esigenze culturali dei giovani

Gli 8 punti non negoziabili.

Così la protesta degli studenti è esplosa e si è concretizzata in 8 punti, proclamati “irragionevoli” e tuttavia proprio per questo non negoziabili: Questi punti sono:
1-Aumentare il budget del 5% del PIL per consentire di dimezzare la tassa di studio per ogni livello di studio, miglioramento dell’insegnamento e delle infrastrutture, Università / Boarding.
2-Trasparenza con il budget del Ministero dell’Istruzione, dello Sport e della Gioventù e degli istituti di istruzione superiore, pubblicazione di tutte le spese online.
3-Aumentare dal 10% al 50% del voto totale degli studenti per eleggere i candidati per il decano, il rettore e ogni facoltà di avere un rappresentante degli studenti nel senato accademico.
4-Revisione dei titoli accademici e verifica dei plagi di dottorati e libri di testo.
5-in base all’articolo 99 sulla consulenza per gli studenti, legge sull’istruzione superiore, punto 2, chiediamo al consiglio di amministrazione dell’HEI di ottenere un uguale numero di voti sia dal MEAS sia dagli istituti di istruzione superiore e aggiungere un rappresentante a questo consiglio dagli studenti. [presenza di studenti negli organi di gestione]
6-Consegna di tutti gli studenti con la Carta dello Studente entro l’anno accademico 2018-2019 (a cui seguiranno i rispettivi comuni)
7-Costruire una biblioteca in lingua europea con un libro universitario online, gratuito per studenti in albanese.
8-Valutazione delle prestazioni dell’insegnamento e della ricerca del pedagogo, della sua pubblicazione, della registrazione online e delle lezioni.
Mentre le manifestazioni si susseguono il Governo confida nel passare del tempo e nelle vacanze di fine anno (festività religiose e civili) per far scemare la protesta. Tuttavia le agitazioni nascono da problemi strutturali profondi e quindi non potranno che riprendere, magari in altre forme, forse più politiche e meno pacifiche. Dovrebbe far riflettere il Governo che gli studenti non hanno accettato la proposta del Presidente del Consiglio Rama a trattare mettendosi intorno ad un tavolo di concertazione.
Quel che è importante e significativo è però che queste mobilitazioni hanno fatto crescere e stanno formando una nuova classe di giovani, impegnati sui problemi della società civile, che costituiscono certamente parte della futura classe attiva del Paese. Bisognerà vedere in che direzioni si manifesterà questo impegno e se saprà darsi una connotazione politica e quale. Forse l’Albania si sta svegliando da un lungo sonno!

Gianni Ledi