ALL’ARMI

Nel passato più o meno recente gli Stati Uniti d’America non si sono distinti certo per aver perseguito politiche pacifiche. L’avvento del primo Presidente di colore, circa 10 anni fa, aveva suscitato tanto entusiasmo che a distanza di meno di un anno gli venne conferito il premio Nobel per la pace, prima ancora di aver avuto un esempio concreto di quale fosse la sua inclinazione; infatti si è presto rivelato come un fomite di discordie, in primis con la Russia e poi, di conseguenza nel medio Oriente. Una Europa priva di una qualsiasi strategia di politica estera, affascinata dalla prospettiva della propria espansione verso est, si è fatta trascinare nel conflitto ucraino, immemore della storia, aderendo alle sanzioni che danneggiavano soprattutto il proprio mercato.
L’isolamento della Russia rispondeva agli interessi statunitensi, che puntavano al suo indebolimento per arginarne l’espansione nell’area mediorientale ottenuta per il tramite degli alleati Iran e Siria. Di fatto il passo successivo è stato il tentativo di dissoluzione della Siria, come se Assad fosse l’unico dittatore efferato dell’area; e tutto ciò senza curarsi del fatto che si andava a supportare la nascita del Califfato. Nel frattempo pesanti sanzioni colpivano l’Iran, anche in questo caso come se fosse l’unico regime fondamentalista dell’area (ma si sa i Saud sono il bastione degli interessi Usa nella penisola arabica). Questi ultimi avevano enormi vantaggi dalle limitazioni imposte alle esportazioni iraniane di petrolio e mano libera per scatenare la guerra civile nello Yemen, sempre nell’intento di limitare il potere sciita nella zona. I fallimenti di questa politica ed il dilagare del terrorismo sunnita di Daesh imponevano una fase di arresto e la stipula di un trattato con l’Iran sui progetti degli ayatollah nel nucleare.
Questa è la storia recente, fino cioè all’approdo di Trump alla Casa Bianca. La politica aggressiva degli Stati Uniti ha nell’arco di un anno e mezzo conosciuto un’intensificazione fortissima ed un allargamento globale. Il nuovo inquilino di Washington non sembra considerare la Russia come l’unica priorità, contrariamente ad Obama, ma ha allargato lo spettro dei propri interessi egemonici; così ha iniziato una guerra commerciale con l’Europa e la Cina; minaccia anche di annullare il patto economico con il nord del continente americano (Nafta), tanto che qualcuno comincia a sostenere che il suo slogan elettorale, prima l’America, si stia rivelando “l’America da sola”. Non è un caso che alcuni paesi europei (Francia ed Italia, ad esempio) stringano lucrosi contratti con la Russia (Il Sole 24 ore del 26 maggio 2018).
Il problema è che non sono solo i dazi imposti ad alcune merci che gli Usa importano a destabilizzare il commercio mondiale e a preoccupare gli storici partner del paese, ma sono le frizioni con possibili sviluppi bellici a rendere esplosivi i rapporti con diverse aree del globo. Nel medio Oriente, l’attenzione si è spostata dalla Siria, ormai devastata dalla guerra civile, direttamente verso l’Iran, che gode di ben altra potenza militare. Ad accentuare la tensione storica esistente nell’area hanno provveduto due decisioni non certo pensate per lenire gli animi: la disdetta del trattato sul nucleare iraniano e lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme; in entrambi i casi non è mancato il supporto, o meglio l’incentivo offerto dal traballante e corrotto governo israeliano di Netanyahu. È appena il caso di ricordare la consistenza davvero imponente dell’esercito di Israele ed il fatto che questo paese possiede la bomba atomica. Nessun altro stato dell’area la possiede ed il governo di Tel Aviv non fa passare un giorno senza provocare incidenti con i palestinesi di Gaza o con le forze iraniane in Siria. Tra l’altro lo Stato di Israele, che dice di proteggere le proprie truppe ed i propri insediamenti nelle alture del Golan, le ha occupate militarmente nel 1967, quando appartenevano giuridicamente alla Siria, aprendo un contenzioso ancora irrisolto, ma che l’Amministrazione Trump si appresta a sanare riconoscendo unilateralmente la sovranità israeliana su quel territorio [1].
L’inasprimento dei conflitti nella penisola arabica non è la sola responsabilità della nuova amministrazione statunitense. L’individuazione di sempre nuovi “pericolosi” nemici esterni risulta vitale per un Presidente che ha vinto le elezioni con tre milioni di voti meno della propria rivale e la cui popolarità è in perenne calo. Poiché l’arma nucleare è appannaggio di un ristretto club di potenze militari, ogni paese diverso che vi si affacci viene presentato come una minaccia all’ordine mondiale, ed il suo leader come un pericoloso folle, come se l’unico paese che ne abbia veramente fatto uso, per di più su di un paese stremato e sull’orlo della resa, sono stati proprio gli Usa al solo scopo di mostrare all’alleato che stava per essere dichiarato il più acerrimo nemico, cioè l’URSS. Nel mirino degli autoproclamati gendarmi del mondo sono finiti così prima l’Iran, la cui lontananza dal raggiungimento dell’arricchimento dell’uranio necessario per la costruzione della bomba atomica era ancora elevatissima per certificazione dell’AIEA, poi la Corea del Nord, la cui colpa era di essere alleata della Cina. Gli esperimenti vistosamente sbandierati da Kim Jong-un probabilmente avevano il solo scopo di ottenere degli aiuti dopo una trattativa dall’alto di una presunta forza militare. Trump ha spostato le proprie portaerei nel Pacifico minacciosamente verso la penisola coreana, ma la Corea si è dimostrata più assennata iniziando il disgelo con il Sud e proponendo un incontro al vertice con gli Usa. Ancora una volta una mossa aggressiva dell’amministrazione statunitense ha momentaneamente messo in pericolo l’incontro: esercitazioni militari Usa-Corea del Sud nei pressi del confine.
Ultima apertura di un fronte caldo, per ora solo a parole, è quello in America Latina con il Venezuela di Maduro, che rientra nella strategia di reinfeudamento del sud del continente nell’orbita geopolitica Usa. Maduro non è certo l’unico dittatore che abbiano calcato il suolo sudamericano; molti, quasi tutti, questi dittatori spesso decisamente sanguinari, furono supportati o creati dagli Usa, ma il Venezuela da circa un ventennio sfugge al controllo statunitense, per cui se non si riesce ad allontanarne il gruppo dirigente con manovre giudiziarie e politiche, come è stato fatto per il Brasile di Lula e Rousseff, non ci si perita di minacciare interventi militari.
Ma tutto questo fermento militare da dove nasce? Non è un mistero che Trump sia molto legato all’industria bellica e le armi per essere vendute devono trovare una richiesta, che si riattiva quando vengono adoperate e devono essere rimpiazzate. D’altra parte la crescente richiesta di una limitazione di vendita delle armi all’interno del paese trova un muro invalicabile nel nuovo Presidente. Tutto ciò apre inquietanti prospettive sul futuro del mondo.

Saverio Craparo

[1] https://www.huffingtonpost.it/2018/05/24/trump-ha-un-altro-regalo-per-netanyahu-le-alture-del-golan_a_23442568/