LA GUERRA DI SIRIA STRUMENTO DI DISTRAZIONE DI MASSA

Il 14 aprile un numero imprecisato di missili, lanciato per iniziativa dei governi degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia ha colpito il suolo siriano con il pretesto/pretesa di rispondere all’uso di gas da parte del governo siriano sulla città di Ghouta orientale, peraltro già riconquistata dalle sue truppe. Si tratta di un ennesimo atto di una guerra che si protrae da sette anni e che vede combattersi da una parte il governo di Damasco, russi e iraniani, con l’appoggio di Hezbollah (Partito di Dio) formazione politica sciita libanese e dall’altra Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia, che sostengono diverse formazioni paramilitari siriane, in parte fiancheggiatici di Al-Qāʿida, in parte legate ai servizi segreti statunitensi come lo erano le formazioni di Daesh, poi sfuggite al loro controllo. In mezzo a questi contendenti il popolo siriano e i curdi, utilizzati come forza sul campo contro Daesh dagli americani e poi mollati ad operazione conclusa.
L’attacco missilistico come l’uso di gas sono ormai una costante del conflitto siriano, ma non c’è un diretto collegamento tra i due eventi. Il ricorso a ritorsioni da parte occidentale sembra rispondere a necessità contingenti più che all’esigenza di scongiurare il ricorso a questo tipo di armi, prova ne sia che gli usi di gas denunciati superano i sessanta. Ma vediamo gli interessi che stanno dietro ai bombardamenti concordati:
– Gli Stati Uniti hanno deciso la rappresaglia mentre Trump è in forti difficoltà all’interno del paese per effetto del “Russiagheit” e perciò ha bisogno di recuperare consenso e distrarre il suo elettorato dai fallimenti della sua politica e all’indomani dall’annuncio del ritiro di soldati USA dal Medio Oriente: un regalo di Putin;
– La premier britannica Theresa May è costantemente in difficoltà, ancor più dopo che il caso dell’avvelenamento della ex spia russa Skripal e di sua figlia sembra far acqua da tutte le parti a causa della sopravvivenza delle due vittime (se si fosse veramente trattato di Polonio non avrebbero avuto scampo). Tenta perciò di emulare quel che fece la Thatcher con le Falkland, scatenando una guerra, ma non ci riesce a causa della sua inconsistenza politica: un caso pietoso di incapacità manifesta!
– Macron, anche lui in caduta libera nel consenso dei francesi, che pensa che la Francia sia tornata al 1926 quando come potenza mandataria sulla Grande Siria creò dal nulla il Libano e tracciò le frontiere di quella parte del Medio Oriente e perciò cerca di rinverdire nell’opinione pubblica il ricordo ormai sbiadito della Francia come potenza coloniale. Intervenendo in combutta con l’Inghilterra l’europeista Macron si sgancia dall’Europa.!
– Erdoğan che ha bisogno di espandere il suo potere egemonico sulla regione e di scongiurare la nascita di un’entità politica curda e perciò si appropria di parte del territorio di un’altra nazione, uccidendo e imprigionando la popolazione dei territori conquistati, nella prospettiva di un’annessione di fatto dei territori.
Se quel che sta avvenendo non costituisse una tragedia per il popolo siriano si potrebbe parlare di quattro sfigati in cerca di gloria, ma purtroppo non è così semplice. Ai margini del campo di gioco sta un altro attore che interviene di tanto in tanto senza dirlo e attacca impunemente obiettivi militari e civili: Israele, la vera potenza militarmente egemone di quest’area che opera colpendo obiettivi reali e non concordati soprattutto mirando a colpire le strutture dell’Iran e degli Hezbollah.
Comunque vadano le operazioni militari rimane il fatto che la Russia ha messo solide basi in Siria e che i veri perdenti sono gli americani che vedono progressivamente ridursi la loro influenza nell’area e che sono totalmente discreditati come alleati possibili di chiunque, in quanto non solo non sono in grado di sostenere militarmente le alleanze che fanno, ma sono pronti ad abbandonare l’alleato dopo averlo utilizzato. Sono questi i frutti avvelenati dell’isolazionismo americano che spinge un giorno Trump a annunciare il ritiro dei consiglieri militari americani dal Medio Oriente e il giorno successivo a programmare un attacco missilistico a sostegno della presenza americana.
Tuttavia le odierne strategie militari mostrano come senza la presenza degli “scarponi sul terreno” non si può sostenere un’attività bellica vincente e gli Stati Uniti, non solo non possono mantenere truppe sul terreno come fanno con sempre più fatica in Afganistan, ma non sono in grado nemmeno di sostenere i loro alleati. Il confinamento delle milizie a loro fedeli nel nord siriano li mette fuori dalle aree strategicamente importanti del paese, stretti fra il territorio turco e quello iracheno e trasferisce ancora una volta ai curdi, stanziati nei pressi del confine iraniano dell’Iraq, l’onere di contrastarli. Non ci sono dubbi sul fatto che la strategia militare russa restituisce al regime di Assad il controllo della gran parte del paese.
Con queste condizioni sul campo una trattativa di pace segnerebbe la vittoria della coalizione che appoggia il regime di Assad e la consegna alla mezza luna sciita del controllo di un territorio che va senza soluzione di continuità dal Mediterraneo all’Iran, con una pesante ipoteca sulla Giordania paese che ospita circa un milione e mezzo di profughi siriani, ma soprattutto porterebbe forze militari iraniane al confine con Israele. Un’eventualità che gli Stati Uniti e lo Stato ebraico non possono permettersi, perché metterebbe in pericolo lo Stato principale e il più sicuro alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente.

Gianni Ledi