VOTO A PERDERE

Prima di tutto alcune considerazioni generali. Il sistema elettorale adottato con otto voti di fiducia nello scorcio della legislatura, pensato contro i 5stelle e per favorire un accordo postelettorale tra Renzi e Berlusconi, ha un impianto prevalentemente proporzionale, ma ormai nell’elettorato si è radicata una mentalità maggioritaria; è per questo che tutte le formazioni accreditate sotto il 10% hanno subito un forte ridimensionamento, perché si è teso a convogliare il voto sui partiti che potevano fare, o si pensava potessero, fare argine ai nemici. La seconda considerazione riguarda i sondaggi, che mai come questa volta, hanno fallito la propria missione; hanno visto solo alcune tendenze di massima (flessione del Pd e rimonta del centro-destra), ma sono cadute in tutti i dettagli: sovrastima del PD, sottostima dei 5stelle, FI davanti alla Lega, Meloni al 5,5% e LeU al 6%, la Bonino (che ha per tutta la campagna elettorale continuato a sbagliare il nome della propria formazione, dicendo freudianamente Forza Europa e non +Europa) oltre il 3%. Analizziamo ora i vari schieramenti.

Centro-centro-centro-sinistra. La sconfitta del PD è clamorosa e con essa entra definitivamente in crisi il renzismo, con tutto il suo portato negativo: politica delle donazioni ai fini elettorali (bonus), la politica economica, il gruppo chiuso al comando impermeabile a qualsiasi influsso esterno, l’adozione acritica dei punti di vista confindustriali su lavoro e scuola. La débâcle era da tempo ampiamente prevista all’interno del partito, il che spiega la maniacale predisposizione delle liste elettorali da parte del gradasso toscano, affollate da presunti fedelissimi, per creare una trincea all’atteso attacco dei nemici interni. Ciò che la scarsamente lungimirante cozza del Valdarno non ha previsto è che chi cade, e per di più cosi precipitevolissimevolmente, non può contare su nessun fedelissimo, se non quei pochi disperati, senza né arte né parte, le cui fortune dipendono solo da lui; ma forse è anche vero che, dopo aver perso colpevolmente l’occasione di eclissarsi per un po’ dopo la perdita pesante al referendum costituzionale, per potersi poi riaffacciare alla ribalta politica rigenerato, al momento attuale non aveva altre possibilità che abbarbicarsi alla poltrona contro ogni logica. I suoi giorni sono contati.

Sinistra. Ancora una volta le liste si sono polverizzate, ma è anche vero che nel complesso il voto a sinistra del PD assomma a circa il 5%, ben lontano dalle due cifre evocate dai rappresentanti del LeU prima del voto e dal 10% su cui diceva di fare affidamento D’Alema. Chiuso tre decina di anni fa un ciclo di lotte, demonizzate colpevolmente le ideologie, frantumato il fronte del lavoro dal dilagare dell’impiego precario, diviso il fonte sindacale tra da un lato una CGIL titubante ed ondivaga e dall’altro un CISL sempre più apertamente filopadronale, le prospettive di una rinascita di un’opposizione sociale radicale sono ancora troppo deboli ed il riflesso sui risultati elettorali non potevano essere molto diverse. È ovvio che LeU ha subito nello scorcio della campagna elettorale un’erosione di voti in favore di un PD erroneamente visto come una barriera al rigurgito di destra e che la compromissione di molti suoi esponenti di spicco con le vecchie politiche liberiste ha stornato molti elettori verso Potere al Popolo, ma è ovvio che senza un nuovo ciclo di lotte sociali non c’è futuro per una sinistra che intenda essere tale.

Centro-destra. L’incandidabile reperto storico ha concluso miseramente l’ultima sua claudicante corsa, cedendo obtorto collo lo scettro della destra ad un trionfante Salvini. Questo fatto sta destando grande preoccupazione tra i benpensanti di “sinistra”, come anche la cosiddetta rinascita del centro-destra; Salvini fa leva sul fatto che la coalizione ha centrato il 37% e si basa su ciò per avanzare la propria candidatura a Palazzo Chigi. Ora se è vero che la stessa accozzaglia contava nel 2013 su circa il 30%, è altrettanto vero che la caduta ignominiosa di Berlusconi era molto recente e prossima la sua definitiva condanna per frode fiscale, ma soprattutto è vero che all’epoca era presente la lista di centro di Mario Monti che aveva ottenuto il 10% ed è abbastanza credibile che buona parte dei suoi elettori di allora siano rifluiti nell’alveo del centro-destra, diminuendo la portata del successo della coalizione. La considerazione importante è però un’altra. Gran parte egli elettori fedeli ad Arcore sono anziani o anziane fruitori dei programmi televisivi Mediaset; è difficile che questi soggetti siano calamitabili nel campo di forze di un’area di destra a guida leghista e come tale molto più sbilanciata a destra. La proposta di una politica sovranista e marcatamente xenofoba, sfrondata di un voto operaio regalatogli da un’assenza di una politica governativa di sinistra e coltivato oculatamente dal segretario della Lega, non può contare con buona presunzione su più del 25%, in linea con gli altri paesi europei.

5Stelle. Il movimento è il sicuro vincitore di questa tornata elettorale. Per governare, però, dovrà far ricorso a voti esterni, in contrasto con la pretesa più volte ribadita di bastare a se stessi. Checché abbiano finora detto, questo significherà trovare accordi, che non necessariamente sono compromessi riprovevoli. Tra l’altro questa sarà l’opzione dei cosiddetti poteri forti che tenderanno ad affiancare i novizi con personaggi per loro più affidabili, a mettere cioè sotto tutela il movimento che non ispira loro sufficiente fiducia, ma di cui capiscono che non è più possibile fare a meno, di lasciarlo cioè ai margini della vita politica, ignorandolo. Dal nostro punto di vista la cosa più inquietante del movimento, quello che alla prova di governo disvelerà la sua ambiguità, è la pretesa di essere una formazione a-ideololigica, né di destra, né di sinistra. L’ideologia non è una stortura mentale, come da anni si cerca di far credere, ma l’occhiale attraverso cui si guarda, si valuta, si critica la realtà; è la bussola dell’agire politico, la sua proclamata assenza in realtà è l’assunzione di un’altra più pericolosa ideologia, quella che ritiene il reale di per sé razionale, e che quindi non apre alcuna prospettiva al cambiamento dell’assetto sociale, rendendo chi la professa inconsapevolmente subalterno alle scelte che altri, più potenti, fanno. La pretesa di non essere né di destra, né di sinistra svela una profonda incultura storica e politica; confonde destra e sinistra con le forme storiche e transeunti che esse hanno assunto. In verità destra e sinistra sono atteggiamenti valoriali profondi, nei cui confronti non è possibile non operare una scelta: la destra pensa che la società debba essere darwiniana, favorendo il più forte e competitivo a scapito di coloro che sono meno combattivi, favorendo la formazione ed il consolidamento di una gerarchia che è la natura stessa a proporre; la sinistra pensa invece che lo società vada fondata su una struttura solidale, tendente a smorzare le differenze che la natura inevitabilmente propone, cioè che la formazione di un complesso sociale venga fatta per un aiuto reciproco e perché i più forti abbiano il dovere di soccorrere coloro che sono in partenza meno avvantaggiati. Non fare una scelta di campo tra queste opzioni risulta incomprensibile ed è questo il senso della profonda ambiguità del movimento che ne rappresenta il vero tallone d’Achille.

La Redazione