Una volta, in occasione delle elezioni politiche, ci si occupava di analizzare il possibile voto dei cattolici e si indagava sulle indicazioni date dalla Chiesa cattolica all’elettorato. Temendo che questa o altre confessioni religiose dessero indicazioni sul voto attraverso i loro ministri di culto i quali “abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse si adopera[ssero] … a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati”. (art 98 del DPR 30 marzo 1957 n. 381) la legge puniva tali comportamenti, ravvisandovi il reato di truffa, punito dall’art. 640 del codice penale. Ora questo comportamento sembra tornare in auge riferito ai musulmani.
Vi è chi ha indagato sul possibile voto dei fedeli musulmani, già migranti, dotatisi di cittadinanza italiana e degli italiani d’origine, convertiti all’islam, ipotizzando che questi – istigati da un gruppo di iman e prominenti della comunità musulmana italiana – alla ricerca di garanzie per la libertà religiosa, individuerebbero nei partiti di sinistra quelle forze che possono garantire loro la libertà di culto. Attraverso questa ipotesi si cerca di saldare emigrazione e islam, facendone tutt’uno, di dare in tal modo una lettura dello jus soli come uno strumento finalizzato ad aumentare l’elettorato di sinistra e attraverso il quale operare una “sostituzione” della popolazione ad opera dei migranti.
Comportamenti elettorali e appartenenza religiosa
Anche se questa ipotesi fosse vera non saremmo certo di fronte a un comportamento illecito in quanto l’impegno a garantire la libertà religiosa fa parte dei valori costituzionali; non solo l’articolo 19 della Costituzione italiana, assicura ai cittadini e agli stranieri che si trovano sul suolo della Repubblica il diritto di pregare il loro Dio, qualunque sia quello in cui credono. Questo diritto è così assoluto che non è sottoposto a reciprocità.
Quegli imbecilli che sostengono che, poiché in alcuni paesi musulmani non è consentita la libertà religiosa bisogna fare altrettanto, dimenticano che la libertà di avere una religione o di non averne alcuna è proprio uno dei valori tipicizzanti, elaborati dall’occidente, che fa la differenza rispetto ai paesi che hanno una religione ufficiale che impongono a tutti, come fanno molti paesi musulmani e non solo. Quello che preoccupa di queste posizioni è che si voglia fare dell’appartenenza religiosa un elemento divisivo sul piano politico ed è perciò che è il caso di riflettere sulla composizione religiosa delle popolazioni migranti.
Certamente la presenza nel territorio italiano di persone provenienti da regioni diverse del mondo ha mutato la composizione religiosa della popolazione sul territorio anche italiano, in quanto i migranti nel loro spostarsi da paese in paese portano il proprio bagaglio di tradizioni e di cultura e con questo l’eventuale appartenenza religiosa. Ma non è detto, perché l’appartenenza religiosa potrebbe essere una delle cause dell’emigrazione in quanto proprio la persecuzione religiosa nel paese d’origine potrebbe essere la causa o una delle cause del migrare. A ciò si aggiunga che tra le scelte possibili vi è il rifiuto della religione, considerata da molte società a prevalenza confessionale un crimine.
Inoltre si consideri che il migrante è costretto dalle circostanze di vita a rimettere in discussione le proprie scelte valoriali dalla società nella quale si trasferisce e che quindi l’abbandono della pratica religiosa è uno dei possibili atteggiamenti, delle possibili scelte che egli è chiamato a fare, spesso con consapevolezza e condivisione. L’osservatore esterno alle comunità migranti vede con più facilità i comportamenti confessionali, soprattutto quando questi si esprimono esteriormente nelle forme del vestire, o nelle abitudini alimentari, o nel praticare il culto, scandendo temporalmente i comportamenti attraverso la preghiera. Quanto più questi comportamenti sono diversi tanto più si notano !
Prova ne sia che difficilmente ci colpiscono i comportamenti difformi in un migrante proveniente dall’Est Europa e questo non solo per il colore della pelle più chiaro, ma perché la pratica della religione ortodossa che fa parte del loro vissuto e che rappresenta la seconda religione per numero di aderenti nel nostro paese, non è rilevabile ad occhio nudo e non sembra quindi colpire la sensibilità di nessuno.
Ne viene che l’equazione stabilita dalla destra politica tra migrazione ed islam non ha nessun fondamento. Essa è solo frutto di debolezza identitaria di assenza di valori sul piano sia civile che religioso. Molti cittadini non hanno alcuna sensibilità e condivisione dei valori costituzionali, manifestano un’adesione solo formale alla religione tradizionale, intendendo con ciò riferirsi alla religione cattolica. Nasce da qui la percezione del pericolo di un’aggressione inesistente o almeno largamente inconsistente per dimensione e per numero. Da qui nasce la paura e lo spavento, il timore verso chiunque si fa portatore di valori dei quali è fortemente convinto e soprattutto gli autoctoni temono lo spirito comunitario delle comunità migranti, il senso di solidarietà che a volte li lega. Inconsapevoli della loro attuale e futura miseria gli autoctoni pensano di poter conservare il benessere che vedono sparire giorno dopo giorno, vedendo diminuire il numero delle persone tra le quali dividere le spoglie di quello che è stato, e non si accorgono che ciò che c’era non c’è più e che con il passare del tempo quel che rimane si depaupera inevitabilmente.
Privi della solidarietà generazionale tra giovani e vecchi, con la vecchiaia hanno bisogno dell’assistenza a pagamento che nessuno vuol loro fornire e si sentono derubati dalla badante della quale né loro né i loro figli possono fare a meno. Vedono i campi deserti e abbandonati dai figli che non ci sono o che sono a loro volta emigrati e cercano di sfruttare in modo indegno le braccia dei migranti, il solo modo per reggere una concorrenza spietata del mercato che taglia sul costo del lavoro per fare profitti sempre maggiori. In questa frammentazione di interessi si consuma la frattura della solidarietà di classe e muore la lotta comune per migliori condizioni di vita. Succede che spesso gli sfruttati si fanno a loro volta sfruttatori. Succede che i poveri contendono ai poveri le briciole del benessere.
La ricomposizione della solidarietà di classe come obiettivo possibile
Le considerazioni fin qui sviluppate fanno cogliere l’inconsistenza di ogni condizionamento religioso del voto dei migranti, ma ciò non significa che quello che oggi non avviene non possa avvenire domani. Buttate al macero le ideologie, abolite le differenze tra destra e sinistra per lasciare lo spazio a un sentimento informe di rancore e di odio, rifiutata ogni ipotesi razionale di ricostruzione di una opposizione di classe, c’è chi lavora alla segmentazione della società secondo linee di appartenenza etnica e/o religiosa, come da tempo avviene sul mercato elettorale degli Stati Uniti.
Chi coltiva queste ipotesi pensa a partiti che sono dei meri aggregati elettorali di segmenti della popolazione, di gruppi chiusi caratterizzati a base confessionale ed etnica, che si confederano fra di loro per portare in Parlamento questo o quel personaggio a rappresentare i loro particolari interessi. Chi ha detto che occorre avere necessariamente una visione ideologica comune per operare nel sociale ? Basta coltivare il proprio orto e sostenere il proprio gruppo. Nelle periferie diseredate delle grandi città, in mezzo agli scarti e ai rifiuti di una società del benessere in decomposizione, si annida il nuovo fascismo, pronto a gestire il disagio sociale.
Si perché o la solidarietà di classe si ricostruisce attraverso un’azione congiunta di un nuovo riformismo e una rinnovata presenza dei rivoluzionari che prospettano una società nuova e più giusta, oppure si aprono spazi al neocorporativismo fascista che si alimenta anche dei nuovi venuti, i quali facendosi forti di diritti acquisiti grazie a una più antica migrazione, vedono negli ultimi arrivati persone che contendono loro quelle poche conquiste che con tanta fatica essi hanno acquisito. È questa paura che spiega l’atteggiamento di molti migranti, divenuti cittadini, che con quest’atto credono di aver passato il fiume (o il mare) e ributtano in acqua quelli che a loro volta tentano di passarlo.
Ecco perché non è detto che il voto del migrante divenuto cittadino sia necessariamente un voto progressista, aperto alla solidarietà e non un voto conservatore e razzista che cerca di conservare i privilegi che crede finalmente di possedere. Le componenti più povere della popolazione autoctona e costoro hanno in comune il desiderio di dividersi le spoglie di quel che è rimasto di un paese che ha rinunciato a crescere e a cambiare e perché no a rischiare e questo nella convinzione che le briciole di quel che resta sono sempre tanto e comunque più della miseria che precede la morte.
Certo, ci sono anche i migranti correttamente integrati, e sono soprattutto quelli di più antica presenza nel Paese, che hanno avuto il tempo di maturare una consapevolezza della loro condizione e sentono questo paese come proprio e vorrebbero vederlo migliorare e crescere ma molti di questi, soprattutto i loro figli nati in Italia e cittadini italiani sono oggi costretti a migrare come gli altri giovani alla ricerca di un lavoro che non c’é e a mettersi a disposizione di un mercato del lavoro dalle dimensioni ormai europee.
È per questo sentire e non tanto dal punto di vista anagrafico che questo paese è sempre più vecchio e per questi complessi motivi è difficile se non impossibile dire quale sia il voto dei migranti.
Gianni Ledi