OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n. 36, novembre 2017

Come è noto, Il Sole 24 ore, è il quotidiano della Confindustria, rispecchia quindi il punto di vista di coloro che un tempo tutti definivano “padroni”. La sua lettura è interessante più che per le opinioni, per i dati economici generalmente attendibili, perché ad essi fanno riferimento gli operatori per i propri investimenti. Per la lettura di questi dati, però, occorre fare riferimento alla loro semplice struttura numerica, valutando con attenzione l’interpretazione di essi fornita dall’articolista, non infrequentemente viziata dall’ideologia del committente. Il numero 298 del 4 novembre 2019 è un raro concentrato di questi vizi interpretativi.

Fisco – La p. 3 è tutta dedicata all’aggressiva politica fiscale di Trump volta a ridurre il carico delle tasse sui redditi da impresa. Quale sia l’intento dell’Amministrazione statunitense è ben descritto negli articoli, come pure sono ben delineati i problemi ed i riflessi che l’UE dovrebbe affrontare. Questa volta i tranelli sono contenuti nell’allegata tabella, da consultare con estrema attenzione. Il confronto sulle tassazioni sui redditi da impresa nelle3 varie nazioni si articola su due parametri: uno dei due è molto fantasioso (leggere la descrizione del suo ottenimento per rendersene conto), tanto fantasioso da far risultare una percentuale del 106% (!) per l’Argentina, che trova una, sia pur parziale, giustificazione come rapporto con un’azienda tipo di riferimento, arbitrariamente scelta quale punto di riferimento. Ma trascurando il dato indicato quale “peso fiscale complessivo”, che comprende tasse pagate da tutti i cittadini ed impropriamente ascritti
quali oneri fiscali per l’impresa, anche l’altro dato (“Tax rate nominale su redditi da impresa”), certo più significativo, va interpretato. Si ascrive infatti già il 20% agli USA, 20% che è l’obiettivo della riforma Trump, contro l’attuale tasso del 35%. Nonostante ciò preziose indicazioni vengono dall’analisi della tabella. Si scopre, infatti, che l’Italia, paese che sottopone i propri cittadini ad una pressione fiscale tra le più pesanti (se si considera l’elevato valore dell’elusione e dell’evasione, forse la più pesante in assoluto sui redditi da lavoro), si mostra molto generosa con le proprie imprese; la percentuale di tasse suo redditi da impresa si attesta al 27,9%, contro 33,3% della Francia, il 29,32% della Germania, il 29% della Svezia, il 33% del Belgio ed il già ricordato attuale 35% degli USA. Ci sono ovviamente paesi ancora più generosi, ma la cui scorrettezza fiscale a scopi di illegittima concorrenza, è già nota: non ci si riferisce a paesi esterni all’Unione come la Russia (20%) o la Cina (25%), ma al Regno Unito (19%, prima della Brexit) e soprattutto all’Irlanda (12,8%), che sostanzialmente a questa politica deve il proprio “miracolo”. Non viene riportato il dato relativo al Lussemburgo.

Lavoro – La p. 5 gode di un’evidenza in prima molto accattivante: Lavoro, conteziosi in caduta. Due giornalisti, Giorgio Pugliotti e Claudio Tucci, decantano a tutta pagina i benefici effetti della renziana riforma del lavoro: il primo articolo si intitola Le riforme abbattono il contenzioso e come sottotitolo In tre anni -56.5% delle cause sui contratti a termine – Crollo delle liti su articolo 18, mentre il secondo recita “L’inversione di tendenza frutto di norme chiare”, e nell’occhiello Parola ai giuslavoristi. È la prima riduzione rilevante dagli anni 70. Come si vede il tono è trionfalistico, le cause degli effetti evidenziati nei titoli e nelle tabelle annesse sono ben spiegate, per quanto riguarda la drastica riduzione dei ricorsi avverso ai licenziamenti dei lavoratori assunti a tempo determinato (8.019 nel 2012 a 1.678 nel 2015 e 1.246 nel 2016) è dovuta “alle riforme legislative iniziate nel 2012, con Elsa Fornero, e completate dal ministro Poletti nel 2014 e 2015 […] che hanno condotto al superamento della causale per giustificare la firma di un contratto a termine, e al passaggio al sistema della percentuale massima di utilizzo (20%), sanzionando eventuali sforamenti non più con la stabilizzazione, ma con una più opportuna sanzione amministrativa”. Per ciò che concerne i licenziamenti dei lavoratori a tempo indeterminato, per i quali il contenzioso in cinque anni si è dimezzato, “può aver pesato la minore appetibilità, prima causa della riforma dell’articolo 18 e poi l’introduzione del contratto a tutele crescenti, dei rimedi ottenibili dal giudice in caso di licenziamento illegittimo e la contestuale spinta a conciliare”, a queste cause vanno aggiunte altre concause legate ad una riforma processuale del 7 marzo 2015 e l’introduzione di un nuovo regime delle spese processuali che fanno carico anche al lavoratore.Inoltre il diverso ruolo assegnato ai giudici onorari, la separazione tra attività istruttoria edecisdoria per cui grazie alle riforme volute da Orlando l’istruttoria la fa un giudice onorario e la sentenza viene emanata da un togato stanno finendo di distruggere quel che restava della legislazione lavoristica a tutela dei lavoratori. Ovviamente tutto viene presentato come un progresso con cui “è stata ridotta la discrezionalità del giudice; data maggiore certezza a imprese e lavoratori”. Questa è la perla della presentazione: poiché il giudice non è più chiamato a decidere se un licenziamento sia più o meno giustificato, le imprese hanno più certezze di poter impunemente licenziare ed i lavoratori hanno maggiori “certezze” di non avere tutele e quindi più chiarezza che i padroni possono agire a loro piacimento senza freni legali. Questo ultimo lustro ha visto la più drastica riduzione dei diritti del lavoro dalla fine del XIX secolo, la borghesia ha riacquisito il pieno dominio sulla forza di lavoro.

Spending – Torna il draconiano Cottarelli, defenestrato da Renzi come commissario dei conti pubblici, per avere mano libera sulle sue insensate regalie. Il nostro viene a dirigere un osservatorio proprio sui conti pubblici italiani attivato presso l’Università Cattolica di Milano. Da buon liberista incallito si fa subito notare, sempre a p. 5, intervenendo a favore dell’innalzamento dell’età pensionabile (già la più alta d’Europa), e l’argomento utilizzato è “molto forte”: “utilizzare per tenere un numero più di pensionati le risorse che potrebbero andare all’insegnamento…”. Qualcuno dovrebbe dire al rigoroso censore che contrapporre i pensionati agli studenti è operazione spregevole, di bassa lega e priva di fondamento. I soldi delle pensioni provengono dai contributi versati dai lavoratori (e dalle imprese sempre a carico dei salari) e non dalle casse dello Stato da cui devono invece provenire i fondi per la Pubblica Istruzione.

chiuso il 5 novembre 2017

saverio