LA FESTA DEL GRILLO

Negli ambienti del “Giglio magico” gira la voce che l’indicazione del capo per la data delle prossime elezioni è quella del 13 maggio tanto che ne avrebbe fatto esplicita richiesta a Gentiloni e al Capo dello Stato. Molti si domandano quali siano le ragioni di questa scelta e c’è chi vi vede dietro l’intento di dare più tempo possibile all’”ambasciatore” Fassino per svolgere il suo compito. Sull’”ambasciatore” tutti ripongono grandi speranze e lo ricordano ritornare vittorioso dallo scontro nei sotterranei di Botteghe Oscure con i militanti più irriducibili del PCI che si opponevano alla scissione e vorrebbero che il miracolo si ripetesse. Altri parlano di difficoltà con i liberal-liberisti della Bonino e di Della Vedova che chiedono venga pagato il prezzo dell’alleanza ancor prima che questa vi sia, soprattutto dopo la lettera del Papa che li ha spiazzati tutti, soprattutto i baciapile integralisti senatori e deputati dem. Altri ancora parlano di una lotta all’ultimo sangue con morsi e calci con Casini e Tabacci: in palio i pochi collegi cosiddetti sicuri e i posti di sottogoverno, mentre il suocero di Caltagirone, Presidente della Commissione Banche minaccia in ogni momento di non bloccare le indiscrezioni su Banca Etruria.
Tuttavia, malgrado queste e molte altre ipotesi c’è chi afferma che la vera ragione di questa scelta risiede nell’efficacia simbolica della data prescelta nell’ambito della narrazione renziana e nella forte suggestione che questa esercita: il 13 maggio si celebra la festa di Pentecoste e quindi quella della resurrezione. Come cristo il capo risorgerebbe a nuova vita grazie al rapporto ritrovato con l’elettorato dal quale riceverebbe l’investitura a futuro leader. Le suggestioni sono certamente forti e provengono dall’educazione cattolica che consente al Capo di rileggere l’inizio della sua avventura politica come una fase di predicazione e di annuncio della buona novelle, seguita da quella dei miracoli, costituiti alle sua riforme, non capite dal popolo e perciò ripagate con l’incomprensione e l’ingratitudine degli uomini e delle donne e le ripetute sconfitte fino alle dimissioni che rappresentano simbolicamente la sua morte. Ma come il redentore, egli dopo aver attraversato il suo calvario egli in quanto portatore della verità risorgerà il giorno di pentecoste, appunto. C’è però chi, forse non a torto, considera questo ragionamento troppo elaborato e complesso per essere il frutto di una mente semplice come quella del Capo e perciò ritornano altre suggestioni apprese e introiettate nella sua militanza di scout intorno ai fuochi degli campi, quando il nome-totem dello scout Matteo Renzi era «Grillo esuberante»: e ancora qualcuno fa notare che il giorno di pentecoste a Firenze si celebra la Festa del Grillo e quindi sarebbe a questo evento che egli si vuole riferire, ricordando che era tradizione catturare i grilli, metterli in apposite gabbiette che i bambini portavano poi in giro alle Cascine: ed è Grillo che turba i suoi soni e vorrebbe poter mettere in gabbia. Tuttavia da qualche hanno, a causa dell’affermarsi della coscienza animalista, in genere nelle gabbiette si mettono dei simulacri dei grilli, ma la festa mantiene la sua suggestione e … in fondo il grillo in gabbia è il sogno del capo!

Partiti, cespugli e cespuglietti

Dopo l’approvazione della legge elettorale che, sovvertendo le indicazioni della Corte Costituzionale, cerca a tutti i costi di mantenere il sistema maggioritario costrittivo il maggior beneficiario del meccanismo adottato sembra essere il blocco di destra il quale ha un programma non programma, è unito da un solido rapporto di potere e rimane in realtà un cartello elettorale pronto a frammentarsi dopo il voto, in modo da potersi alleare con il miglior offrente. I grandi svantaggiati dell’operazione sembrano essere i 5stelle che, indisponibili a qualsiasi coalizione, corrono da soli. Ciò può essere per loro un vantaggio e insieme uno svantaggio, nel senso che questa “purezza” di intenti potrebbe attiragli la simpatia di molti elettori ma lasciarli privi di alleati. I loro eletti, se riceveranno l’incarico, cercheranno il consenso sul programma del loro governo, ma a sentire parlare il neo leader dagli Usa i loro punti di programma lasciano perplessi per la forte impronta neoliberista. Questo dovrebbe piacere alla destra, ma a quale parte di essa ? Vedremo, tenendo conto che, come tutti sanno, le parole di un Di Maio non contano un Fico e tanto meno un Dibattista!
Ma chi è veramente nei guai è il PD il quale non ha né partiti né cespugli con i quali allearsi, ma solo cespuglietti. Tali sono la pattuglia di Bonino e Della Vedova, neppure seguiti da tutti i radicali e così Casini e quel che resta dei suoi e l’immarciscibile Tabacci la cui consistenza politica è costituita da un sedicente notabilato locale di proprietari di qualche centinaio di voti, pronti a ghermire posti di sottogoverno A questi potrebbe aggiungersi qualcuno del gruppo del S’iur Piopio, sempre più privo anche di un solo plotone di sostenitori. Ne si intravedono sostegni da organizzazioni sociali e movimenti di opinione e ogni rapporto con il mondo sindacale è ormai reciso a causa dell’attacco continuo al suo ruolo e delle politiche del lavoro volute da Renzi. D’altra parte è noto da tempo che adottando la politica dei bonus da distribuire a questi e a quelli la scelta è stata di tentare di fidelizzare i destinatari all’erogazione della prebenda con il fatto che si tratta di un reddito incerto che va conservato attraverso il sostegno alle politiche del governo che tali prebende elargisce. Si tratta quindi di consensi individuali, frammentati, labili e incerti. Nell’insieme uno spettacolo squallido, e il Capo lo sa, ecco perché nomina l’”ambasciatore” Fassino.

La sinistra di sinistra

Per la prima volta sembra volersi presentare al voto in tutti i collegi un candidato di sinistra, comunque si chiamerà il partito, in grado di offrire un’alternativa credibile di voto. Il problema non è costituito da quanti seggi questo partito potrà conquistare e tanto meno dal numero di collegi dove potrebbe vincere, ma certamente dal fatto che il numero di voti da esso sottratti andrebbero a tutto svantaggio del PD. Queste considerazioni partono da alcuni dati di fatto dati per scontati e cioè: che gli elettori di questo nuovo partito che si colloca a sinistra in caso di assenza di un candidato proprio 1) voterebbero comunque; 2) voterebbero PD; 3) andrebbero comunque a votare.
Nessuna di queste tre condizioni è destinata a verificarsi perché l’odio e il risentimento per le politiche del PD è infinito e quindi tutto ciò che lo favorisce viene rifiutato o rifugiandosi nell’astensione o al peggio dando il voto ai 5stelle da alcuni ritenuto come voto “utile”. Sono queste le ragioni che spingono l’aggregazione che si va formando a sinistra a rifiutare anche la sola coalizione con il PD. Si dirà che così facendo costoro si condannano a un’opposizione sterile o comunque a perdere: Ebbene, che perderanno lo sanno e sanno bene che ciò è oggi inevitabile. Ma sanno anche che la forza che essi saranno in grado di esprimere può operare in un parlamento che presenta almeno alcune caratteristiche di possibile contrattazione sul programma, come è tipico di quelli costituiti attraverso sistemi proporzionali di rappresentanza; e sanno altresì che solo in questo modo si possono creare le premesse per dar vita a un laboratorio nel quale si elaborino le linee di una nuova politica della sinistra. Perché o la sinistra riformista sceglie la strada di Corbyn in Inghilterra e/o Mélenchon in Francia e si rinnova programmaticamente e soprattutto scopre come riprendere un rapporto dialettico con classi e ceti subalterni dei quali vuole essere l’espressione politica, oppure è meglio che chiuda bottega definitivamente.
Le politiche neoliberiste sono fallite e gli unici pervicaci difensori sono i vecchi partiti della sinistra inquinati dal bleyrismo, un’infezione che bisogna al più presto estirpare se non si vuole morire. Ciò significa che alcune derive come quelle del renzismo vanno distrutte non per odio personale contro il leader, ma per evitare il proliferare del virus. E con le malattie mortali non si tratta e non si convive, proprio per non essere infettati e per non morire a sua volta. Perciò non bisogna avere pietà: bisogna stanarli casa per casa, luogo di lavoro per luogo di lavoro, ufficio per ufficio, strada per strada e togliere loro il brodo di coltura nel quale vivono, fatto di rapporti clientelari, di gruppi di potere, di divisioni di prebende, di gestione di piccoli e grandi potentati.
Perciò la caccia è aperta e si tratta di un lavoro utile anche per la sinistra di classe che una volta arato il terreno e finalmente dissodatolo potrà almeno provare a seminare di nuovo.

La destra

Non è da sottovalutare sia la probabile vittoria della destra, sia l’altrettanto probabile divisione in un campo che solo dall’esterno sembra omogeneo. La Meloni ha ripreso le questioni dela classica destra sociale, estrema ma anche attenta al linguaggio: da una parte con l’attenzione al political correct per quanto riguarda gli ormai “sdoganati” diritti civili, dall’altra riallacciandosi alle tematiche antiglobalizzazione (ma non anticapitaliste) della destra c.d “populista” (con tutta l’attenzione che si deve avere per questo termine, ampiamente screditato) europea. Salvini è in mezzo ad un guado ancora confuso, tra accenti di destra radicale ma con un apparato nato per ben altra politica che non quella della destra-sociale (lega anti Roma e iperliberista). Berlusconi si presenta
come Lo statista della destra moderata europea. Ma questa alleanza reggerà oppure implodendo darà vita al Nazareno Bis, strutturale questa volta?
Comunque vada, un’epoca sta finendo: quella dei leader senza partito, della politica senza mediazione e dei “movimenti” civici in senso classico.
Potrebbe essere una prateria che si apre, o una steppa che verrà attraversata dai barbari, senza dimenticare che una prima mandata di Unni sono già ampiamente passati.

La Redazione