furto con scasso

Da oltre vent’anni il sistema previdenziale italiano viene sottoposto ad un continuo martellamento, volto alla sua destrutturazione. L’attacco è immotivato, perché, come ormai tutti sanno, l’INPS è in attivo, se le sue prestazione vengono depurate degli oneri impropri (cassa integrazione, pensioni sociali, etc,) che dovrebbero essere a carico della fiscalità generale. E ciò grazie anche al fatto, non certo trascurabile, che gli oneri a carico dei lavoratori e del costo del lavoro, sono tra i più alti nel mondo.
La campagna iniziò dalla denuncia delle pensioni cosiddette baby e dall’allarme su di un futuro tracollo del sistema retributivo allora vigente, dovuto all’innalzamento della vita media ed alla diminuzione della natalità. Le pensioni bay erano una specchietto per le allodole, perché spesso gravavano su fondi pensione diversi dall’ INPS e spesso anch’essi in attivo. La data del dissesto in avvenire oscillava all’interno dell’arco di mezzo secolo a seconda delle agenzie che producevano le proiezioni.
Eliminate le pensioni “privilegiate” e trasportato tutto il sistema previdenziale sotto il controllo di un unico gestore, nel 1994 è stato fatto il passo decisivo: quella riforma pensata dal primo Governo Berlusconi ed avversata dai sindacati, ma attuata dal successivo Governo Dini con l’accordo dei sindacati. Lì fu fatta una svolta decisiva col passaggio dal sistema retributivo (modello solidaristico) al sistema contributivo (modello assicurativo). Si creò una frattura tra le generazioni, che scomparirà solo con la morte dei più anziani, gettando i giovani lavoratori nelle mani della finanza privata e nell’ansia per un futuro non più minimamente garantito, dopo una lunga, sempre più lunga, vita lavorativa. La svolta era economica, ma anche culturale, perché non solo era tesa a generare profitto sulle spalle della vecchiaia dei lavoratori, ma per il generale decadere delle garanzie sociali che tendevano a rendere coese le relazioni sociali.
Le assicurazioni di tipo privatistico (affiancate da quelle miste Stato-sindacato, rispondenti ad una logica similare e che giustificano l’interesse sindacale per l’operazione), hanno stentato a decollare e si è assistito, pertanto, ad un continuo intervento legislativo volto a favorirne lo sviluppo: dove potevano prendere i lavoratori i soldi per finanziarsi una pensione integrativa, se i salari continuavano a diminuire, grazie anche agli sciagurati accordi di “agosto”? Ma certo che potevano, bastava utilizzassero il TFR, per garantirsi una pensione meno scandalosa, rinunciando alla liquidazione. Gli anni del nuovo millennio hanno tracciato questo cammino, che, tra l’altro, ha particolarmente penalizzato le piccole imprese, già messe in difficoltà dalla poltica della certificazione di qualità.
Ma se questa è la via maestra, che persegue un lucido disegno di parte padronale, e contro la quale poco si è fatto e più invece bisognerebbe fare per contrastarla, l’operazione sul TFR inoptato giacente presso l’ INPS, voluta da Tremonti è solo una squallida manovra da guitti, non in contrasto ovviamente con quanto si è appena ricostruito sommariamente. Si fa finta di tappare un buco di bilancio con soldi che andranno poi comunque reintegrati, differendo nel tempo il problema, in attesa di stagioni meno sfavorevoli. Resta il fatto che questo Governo, che si vanta di non “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”, le caccia con arroganza in quella dei lavoratori, utilizzando risorse che a questi ultimi appartengono e non al Governo. Ma i lavoratori, si sa, non godono più della cittadinanza.