Russia: la tenuta del fronte interno

All’improvviso la stampa di regime e i grandi giornaloni sembrano essersi accorti che la guerra in Ucraina non va come avrebbe dovuto andare. Non solo l’offensiva ucraina è fallita, ma l’esercito russo tiene ed anzi in molte occasioni passa al contrattacco: se ne sono accorti anche loro! È naturale perciò chiedersi cosa sta succedendo, dal momento che sembra che la Russia stia vincendo la guerra d’Ucraina. La chiave di lettura per capire quanto sta avvenendo non è costituita dagli eventi che si svolgono sul fronte, perché anzi questo è, nel suo complesso, piuttosto immobile a causa dell’inverno, del gelo e del ghiaccio che bloccano le operazioni militari, ma piuttosto da quello che sta avvenendo sul fronte interno russo: è qui che la Russia sta vincendo la sua battaglia.
L’occidente, nel varare le sanzioni, aveva pensato attraverso questo strumento di mettere in ginocchio l’economia russa, recidendo le sue relazioni con i mercati, privandola di apporti di capitali, di tecnologia, creando un “cordone sanitario” ed economico che avrebbe soffocato il paese. Non è stato così e non solo perché la Russia ha trovato altri mercati per le sue vendite di petrolio e di energia, sia pure dovendo pagare il prezzo costituito dalla rinuncia a trarre profitto dall’utilizzazione di strutture come i gasdotti e gli oleodotti che gli erano costati enormi investimenti, ma perché il paese è stato capace di riorientare le sue esportazioni petrolifere e di gas verso il mercato e l’economia cinese così bisognosa di energia e quella indiana che lo è altrettanto. Certo occorrerà del tempo perché i nuovi impianti di trasporto di petrolio e gas vadano a regime, ma la direzione intrapresa promette lauti guadagni e una più sicura allocazione del prodotto. Hanno supportato le scelte russe lo sviluppo dell’iniziativa dei BRICS che hanno aumentato con successo il loro numero e il loro peso economico e politico, malgrado le defezioni ultime dell’Argentina, e ha anche giovato alla Russia la sua politica all’interno dell’OPEC e i rapporti che essa intrattiene con i paesi produttori di petrolio che le hanno consentito di superare le quote di produzione e di vendita ad essa assegnate, trovando sponde e complicità per
triangolazioni di vendite nel suo prodotto, pur dovendo sopportare di cederlo ad un costo minore o pagando delle provvigioni.
Ma non basta: è l’insieme dell’economia russa ad andare bene. Il Paese guidato da Vladimir Putin sembra essersi ripreso dopo la caduta del pil del 2022 (-2,1%), provocata dalle sanzioni approvate dagli alleati di Kiev dopo l’invasione dell’Ucraina. La ripresa russa del 2023 è frutto della robusta crescita che si è avuta già nella prima metà dell’anno nei settori del commercio al dettaglio, dell’edilizia e della produzione industriale, dovuta a un forte stimolo fiscale deciso e organizzato dalla Presidente della Banca Centrale Elvira Nabiullina. Ciò che era inatteso era lo sviluppo complessivo del
PIL della Russia: da un recentissimo documento del Fondo Monetario Internazionale, dedicato alla Russia (Article IV Staff report del 14 dicembre 2023) il Pil russo del 2023 viene quantificato in 129.182 miliardi di rubli, equivalenti a 1.702 miliardi di dollari; l’inflazione continua a mordere in Russia e l’indice dei prezzi al consumo potrebbe aver raggiunto l’8% nel 2023, mentre negli Stati Uniti e in Europa è stato tendenzialmente del 6% (quello reale). Più difficile la situazione bancaria: la banca centrale russa a portato al 15% i tassi ad ottobre. Tuttavia l’aumento dell’inflazione va di pari passo alla ripresa del Pil russo. Dopo il calo (appena ricordato) del 2,1% nel 2022, nel 2023 l’economia di Mosca ha dato segnali di resilienza, nonostante le sanzioni occidentali al punto che nel terzo trimestre il rimbalzo è stato del 5% rispetto allo stesso periodo del 2022, quando si era registrato un calo del 3,5%. Quest’anno la crescita potrebbe superare il 3,5% – 4% secondo fonti russe, mentre il Fmi valuta il rialzo del 2023 a +1,5 % , in ogni caso più di Italia e Germania.

La crescita dell’economia reale

Ma come spiegare la crescita del commercio al dettaglio, dell’edilizia e della produzione industriale. Certamente essa è stata facilitata da forti stimoli fiscali e dalla politica della Banca Centrale, la quale ha condotto una intelligente gestione del credito rendendosi conto del peso di un fenomeno strutturale che caratterizza l’economia russa: la voglia di
impresa. Per comprendere quanto è avvenuto bisogna tenere conto del fatto che prima delle dell’inizio delle ostilità la Russia si era aperta ai mercati e il paese aveva visto il crescere di investimenti nei servizi, nell’industria della ristorazione, nella economia civile (intendiamo con questo quella non militare) da sempre trascurata dai governanti russi. Per questi motivi il paese sta divenendo un promettente mercato nel quale fare profitti attraverso la fornitura di beni e servizi di largo consumo. L’improvviso ritiro delle aziende occidentali, imposto dalle sanzioni, ha prodotto almeno due fenomeni: alcuni investitori occidentali hanno ceduto a prestanome locali le loro attività e hanno continuato le loro attività economiche, altri hanno venduto a imprenditori ed oligarchi locali le reti produttive e commerciali costruite negli anni di penetrazione economica commerciale nel paese. Al manifestarsi della penuria di beni necessari allo svolgimento di queste attività il sistema produttivo russo è riuscito a rispondere producendo a livello autoctono il bene richiesto dal mercato.
Un esempio: è noto che in questi anni è nata in Russia una rete di ristoratori italiani o che almeno di ristoranti che fanno cucina italiana per la quale sono necessari alcuni prodotti, come la pizza per la quale è necessaria la mozzarella. Ebbene i caseifici russi hanno deciso di coprire quel segmento di mercato, producendo quanto richiesto, facendo investimenti e acquistando impianti, acquisendo tecnologie e professionalità Questo meccanismo si è ripetuto un po’ ovunque nel paese e in ogni settore, producendo un fiorire di investimenti che hanno stimolato la produzione industriale e il commercio.
Inoltre il reclutamento e l’invio al fronte di migliaia di uomini e di donne ha comportato l’erogazione di retribuzioni 10 volte superiori a quelle corrisposte ad un operaio che vive nelle regioni periferiche, per cui possiamo parlare della presenza di un “capitale di guerra” che è stato investito da chi è rimasto a casa in attività di investimento.
Naturalmente è inoltre cresciuta l’economia di guerra che ha visto un incremento degli investimenti del 70% ed è tornata ai livelli degli anni 1980-1990, raggiungendo la cifra di 10.800 miliardi (pari a 109 di euro), pari al 6 % del Pil russo, utilizzati per rilanciare la produzione di munizioni, carri armati e droni,( considerando che solo nel 2023 l’esercito
russo ha utilizzato più di due milioni di proiettili di artiglieria (il doppio dell’anno precedente e provvedere a sostituire più di 10.000 veicoli distrutti o danneggiati. Ma ciò che più interessa è che una parte cospicua di queste risorse è destinata e remunerare i soldati e risarcire le famiglie dei caduti, trasformandosi in “capitale diffuso.”

Il consenso alla guerra

È certamente vero che esiste malgrado tutto una diffusa resistenza alla guerra che tuttavia riguarda soprattutto i giovani delle città e ad appartenenti a ceti benestanti. Come è noto l’opposizione a Putin è molto debole nel paese e la repressione è pesante ed avviene secondo modalità differenziate nel senso che vengono ostacolati e repressi gli assembramenti attraverso un’attenta vigilanza delle convocazioni online di manifestazioni, si procede ad arresti con discrezionalità, evitando di creare vittime o di sottolineare il ruolo di alcuni oppositori come musicisti e rapper che potrebbero rappresentare dei punti di riferimento per altri giovani. Tuttavia quando la repressione colpisce è durissima ed arriva fino a combinare 7 anni di permanenza nelle colonie penali, poste nelle parti più remote del paese.
È ovvio che in queste condizioni l’opposizione alla guerra sia scarsa, anche perché bisogna aggiungere alla forza coercitiva del governo la propaganda svolta dalla Chiesa Ortodossa Russa presente in modo capillare in tutto il paese che come ha fatto il Patriarca Kirill non tralascia occasione per sottolineare la natura anche etnica e religiosa dello scontro in atto, mettendo in evidenza le persecuzioni attuate dagli ucraini nei confronti della Chiesa Ortodossa canonica Ucraina, legata al Patriarcato di Mosca. Malgrado ciò molti sono stati coloro che hanno abbandonato il paese verso la Georgia,
attraversando il confine finlandese prima che venisse chiuso, e utilizzando disponibilità economiche che non sono appannaggio di molti. È certamente vero che le ronde di reclutamento circolano per il paese, entrano nei locali pubblici frequentati da giovani e in molte occasioni obbligano alla coscrizione obbligatoria, ma è anche vero che il regime attinge non solo ai detenuti, promettendo loro il perdono in cambio del servizio nell’esercito, ma ha a disposizione un bacino di 144 milioni di abitanti, molti dei quali vivono in centri remoti del paese, ai quali rivolgere l’invito alla chiamata alle armi,
accolto a volte per ragioni patriottiche, ma spesso per motivi economici.
Si aggiunga inoltre che i pope presenti in modo diffuso nella provincia russa funzionino di fatto come ufficio di reclutamento per quelle fasce più disagiate di popolazione che possono vedere nella prestazione del servizio militare un’opportunità anche economica per dare una svolta alle loro condizioni di vita, investendo nella guerra. In altre parole
per le dimensioni stesse del paese e per la sua configurazione la Russia dispone di un bacino di reclute alle quali attingere per alimentare il fronte. Da questo punto di vista il passare del tempo e la durata della guerra, contrariamente a quando si crede, giocano a favore di Putin e non certo dell’Ucraina perché l’esercito russo ha bisogno di tempo per reclutare e istruire, per preparare al combattimento masse enormi di uomini e di donne che può riversare sul campo di battaglia.
Gli accordi con la Corea del nord e con l’Iran per la fornitura di armamenti sono andati a rafforzare l’apparato di produzione russa che ha potuto riversare nello sviluppo dell’industria bellica ulteriori capitali freschi che ne hanno alimentato le capacità, inducendo a innovare e raffinare l’apparato bellico con la produzione sempre più avanzate, destinate al sopperire alle necessità del fronte. Per converso i paesi occidentali e l’Unione europea, investendo in armamenti, hanno sottratto enormi risorse agli investimenti di carattere economico e sociale prova ne sia che sta entrando
in crisi il settore agricolo che subisce i duplici effetti derivanti dall’aumento delle tasse necessarie a coprire i vuoti di bilancio, e la concorrenza che le produzioni ucraine soprattutto di cereali venduti sul mercato comunitario, hanno fatto, provocando danni rilevanti al bilancio del mondo contadino.
Da questi insiemi di elementi si ricava un quadro di sostanziale tenuta del fronte interno russo, mentre quello ucraino si sgretola progressivamente sotto i colpi di un ridursi fisiologico e naturale dei finanziamenti provenienti dall’occidente, della crescente diminuzione del numero di uomini e donne mobilitabili per combattere, di una produzione di munizioni da parte occidentale non in grado di reggere i fabbisogni del fronte. A ciò si aggiunga la situazione contingente economica e politica degli Stati Uniti dove ,a causa di scontri interni, sembra venir meno il finanziamento alla guerra in Ucraina. In questa situazione solo la Gran Bretagna rimane impegnata nella guerra fino a quando i crescenti disastri della sua economia e la situazione sociale non sommergeranno il paese.

La Redazione

Guerra d’Ucraina e mercato delle armi

Non capita di frequente che i comunisti anarchici apprezzino un Papa della chiesa cattolica, ma questa volta dobbiamo unirci a lui per una riflessione sul mercato delle armi.
Conveniamo con lui che la guerra rappresenta un buon affare per i produttori di armi che dalla loro attività ricavano enormi profitti. Ma detto questo è opportuno chiedersi cosa sta succedendo sul mercato delle armi, oggi che la guerra d’Ucraina costituisce uno spot pubblicitario formidabile per questi venditori di morte.
I commentatori dell’andamento della guerra rilevano che la produzione di proiettili e di armi dell’Occidente ha difficoltà a reggere la concorrenza russa e dei suoi alleati nel disporre di ordigni di morte per alimentare il massacro. Tuttavia, le cose non stanno esattamente così: da parte russa non vi è dubbio che, con il passare del tempo le capacità di produzione dell’industria bellica sono cresciute e ancor più cresceranno, quindi più durerà la guerra più il sistema produttivo russo sarà in grado di riversare armi sul mercato. Alla produzione russa si è aggiunta a quella della Corea del Nord e
dell’Iran, fornitore di droni; la Cina, collaborerebbe – si dice – triangolando componenti ad alta tecnologia per i missili e armi intelligenti. Questa produzione è tale da soverchiare quella dei paesi occidentali, soprattutto per quanto riguarda la produzione di munizioni.
Nel campo occidentale i maggiori produttori di armi sono notoriamente gli Stati Uniti, ai quali segue la Francia e in buona posizione la Gran Bretagna. Ebbene approfittando della guerra le industrie di questi tre paesi sono subentrate ai produttori russi sul mercato delle armi, fornendo sistemi d’arma ai paesi che li richiedono, allertati e messi in allarme dalle iniziative russe. Infatti, se si guardano i bilanci dei vari Stati la domanda è cresciuta e tutti o quasi hanno incrementato il proprio bilancio relativamente alle risorse destinate agli acquisti di ordigni mortali. Le industrie dell’occidente ne stanno
approfittando per piazzare la loro merce e subentrare ai produttori russi, sottraendo loro clienti e quote di mercato e perciò non dispongono di una produzione sufficiente ad alimentare il cliente ucraino che, tutto sommato, è un cliente povero, sovvenzionato, che dipende dai bilanci in rosso dei paesi europei e dell’alleato riottoso statunitense che trovandosi nella contingenza delle elezioni, paga con difficoltà i conti.
Comunque non c’è da preoccuparsi: gli Ucraini possono continuare ad andare tranquillamente al massacro ed ora la guerra può anche finire perché tanto un nuovo mattatoio è stato aperto a Gaza e Israele è un buon macellaio e paga le forniture che riceve o direttamente o per il tramite degli statunitensi.
Peccato che ha pagare le spese siano i popoli ucraino e russo spinti ad una guerra fratricida in nome degli interessi geostrategici ed economici degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per mettere economicamente in crisi l’Europa.

Rocco Petrone