Germania. Le ragioni di una crisi di sistema

Le elezioni tedesche hanno registrato una sonora sconfitta dei partiti della grande coalizione a riprova che questa formula di governo ha ormai esaurito la sua capacità di rappresentare gli interessi della gran parte della popolazione del paese. Cristiano Sociali e Socialisti (CDU/CSU-SPD) hanno perso in percentuale rispettivamente l’8,61% e il 5,22% dei voti. Si afferma che il 7,93 % dei voti al partito di estrema destra AfD siano frutto della politica migratoria del Governo, ma le cause della crisi della coalizione sono ben più profonde.

CDU/CSU SPD AfD
Voti 1.531.576 9.538.367 5.877.094
Percentuale (voti) 32,93% 20,51% 12,64%
Seggi sul totale 264/709 153/709 94/709
Percentuale (seggi) 8,61% 5,22% 7,93%
Differenza seggi 65 40 94

Il paese è senza governo e senza una maggioranza e nessuno si preoccupa. I tedeschi non soffrono per il fatto di non sapere la sera stessa delle elezioni chi ha vinto. Questi dolori si sentono sono il Italia, e a Pontassieve, dove risiede il premier disarcionato. In Germania l’attuale coalizione si fonda sulla politica sociale scellerata del social-democartico Gerhard Schröder, Cancelliere dal 1998 al 2005, (come leader di una
coalizione tra SPD Alleanza ’90 e i Verdi). Insieme a Tony Blair questi fece dei partiti social-democratici gli alfieri del neoliberismo in campo economico e sociale: gli altri partiti socialisti si accodarono. A lui si deve una profonda riforma del mercato del lavoro che va sotto il nome di “Agenda 10”, avviata negli anni 2003-2005, che ha abbattuto le conquiste sociali della socialdemocrazia erette a tutela dei lavoratori: un lavoro che un
Governo della sola destra non sarebbe riuscito a fare!
Precarizzando e liberalizzando il mercato del lavoro è stato finanziato il modello economico tedesco, è stata aumentata la sua competitività sul mercato mondiale ma sono aumentate le fasce deboli e non garantite di lavoratori, almeno 6 milioni di persone, 2,6 milioni dei quali sono disoccupati ufficiali, 1,7 milioni sono disoccupati non ufficiali in quanto svolgono piccoli lavori occasionali e a tempo parziale e il resto sono i figli di costoro. Attualmente è in atto la quarta fase del piano, detta Hartz IV, che prevede la corresponsione mensile di 400 € circa di sussidio mensile da parte dei Centri per il lavoro, a condizione che i beneficiari accettino un controllo totale sulla loro vita e siano disposi a svolgere qualsiasi lavoro venga loro proposto e che forniscano le
loro prestazioni a chiamata, senza alcuna garanzia di continuità di lavoro.
Si tratta di strati di popolazione stanziate soprattutto nella Germania Orientale, tra i quali cresce costantemente la rabbia sociale, alimentata dal crescente odio verso i migranti che, andando a ingrossare l’esercito industriale di riserva in un paese nel quale il tasso di disoccupazione – sia pur manipolato attraverso l’attribuzione della qualifica di occupati ai già menzionati titolari di piccoli lavori – si attesta al 3,9 % e rende ancora più precarie le prospettive occupazionali.
A complicare la struttura del mercato del lavoro tedesco contribuisce la migrazione stagionale. Si calcola che ogni anno circa 270.000 lavoratori stranieri, soprattutto dell’Europa dell’Est, arrivano in Germania, dove possono lavorare 56 giorni, non di più. Costoro lavoramo 10 ore al giorno, dalle 5 del mattino con l’obiettivo di fare soldi che poi spenderanno nel paese di provenienza, di solito dotato di valuta debole. Si tratta
di una manodopera che non ha costi sociali per lo Stato, che non grava sul servizio sanitario in quanto ritorna a casa propria, che non ha costi per il sistema pensionistico, che si accontenta di una alloggio temporaneo e di fortuna, ma che rende ancora più flessibile il mercato del lavoro. Evidentemente le politiche di deregulation del
mercato del lavoro pagano sul piano economico, ma non su quello elettorale!
Le organizzazioni sindacali, complici di questa politica, non tutelano affatto i lavoratori ne quelli tedeschi spinti ai margini del mercato del lavoro, né tanto meno quelli stranieri e così la rabbia sociale cresce e va alla ricerca di nuovi referenti che trova nei partiti nazionalisti, xenofobi e razzisti.
La SPD, dopo la sconfitta, sembra aver capito tutto questo, prova ne sia che Martin Schulz si è affrettato a dichiarare che il suo partito non è disponibile a formare un Governo di coalizione, ritenendo che per continuare ad esistere i social-democratici devono recuperare la loro identità rispetto al loro elettorato di riferimento, quello costituito dai lavoratori: sembra perciò giunto il tempo per tornare all’opposizione e
scollarsi dall’abbraccio mortale di CDU e CSU.

Una nuova politica per la socialdemocrazia

Nei suoi precedenti tre mandati la Merkel ha prosciugato molti punti di programma dei suoi avversari politici. Decidendo di chiudere le centrali nucleari e di intervenire sull’ambiente ha neutralizzato completamente i Verdi. Nessun problema con i social democratici che del resto convergevano sul programma economico, il rafforzamento del ruolo delle organizzazioni sindacali nei consigli di amministrazione delle aziende e della
cogestione è stato un prezzo pagato volentieri e ha portato alla stipula di un’alleanza di ferro fra padronato e lavoro, alla piena condivisione delle politiche sociali e del mercato del lavoro.
A causa di questi comportamenti l’elettorato ha finito per non vedere la differenza tra i partner della coalizione e quando si è reso conto del danno sociale sul mercato del lavoro, sulle tutele contrattuali, sul diritto alla salute e ha cominciato a intravedere l’attacco alle pensioni, ormai inevitabile, ha deciso di cercare protezione da un’altra parte. La domanda alla quale bisogna rispondere è perché l’elettorato costituito dai ceti
popolari e da quelli ploletarizzati ha rivolto la propria attenzione alla destra piuttosto che a Die Linke, (La Sinistra), partito nato dalla fusione tra il Partito della sinistra, il movimento Lavoro e Giustizia Sociale e Alternativa Elettorale di Oskar Lafontaine ex leader del Partito Socialdemocratico.
La risposta sta nel fatto che Die Linke non ha elaborato un programma credibile per rispondere a questo attacco, in quanto la sua opposizione al Governo è stata debole e non è riuscita a intercettare la montante protesta sociale, limitandosi alla battaglia nelle istituzione e non nelle strade e nelle piazze e sui posti di lavoro, dove il Governo andava combattuto. Da qui i consensi a AfD, grazie a un insieme di fattori che vanno dall’odio anti-immigrati artatamente alimentato, a nostalgie per il passato – grazie ai gruppi giovanili di una destra aggressiva e nazista, particolarmente attivi nell’Est del paese – alla convinzione sempre più diffusa che per combattere la globalizzazione e i suoi effetti serve ricorrere al nazionalismo e al protezionismo. La politica sovranista era ed è del resto sostenuta anche dalla CDU/CSU che da sempre alimenta l’idea di una Germania virtuosa che mantiene il sud dell’Europa, sfaccendato e inefficiente, dimenticando e sottacendo che dall’Unione Europea e dall’Euro la Germania ricava la propria prosperità.
Quello che dunque occorre al Partito Socialdemocratico e alla stessa Die Linke è un programma politico radicalmente innovatore con il quale attrarre i consensi non solo dell’elettorato perduto, ma anche di quella fascia crescente di persone che necessitano di rappresentanza sociale e sono le vittime della simbiosi voluta dal duo Schröder-Blayr tra partiti socialisti e neoliberismo economico per la gestione della globalizzazione.
Il fatto è che una svolta di tale portata suona la campana a morto di numerosi politici in Europa e nel mondo, a cominciare da individui come il bullo di Rignano e i suoi accoliti, in quanto relega alla discarica della storia quei partiti socialisti che si sono spostati al centro (come il PD in Italia) e non solo perché non sono mai stati nemmeno veramente
socialisti, ma perché cercano di presentarsi come una destra alternativa alla destra, non avendo ben compreso che non solo in tal modo non sono più riconoscibili dal loro elettorato storico di riferimento, ma che la loro funzione si è esaurita perché hanno ormai svolto il compito che il capitale aveva loro affidato di smantellamento della legislazione sul lavoro, di distruzione dello stato sociale e di ogni tutela, di attacco alla salute, di prolerarizzazione dei ceti medi. Il loro compito è stato quello di fare ingoiare alle masse da essi rappresentate lo smantellamento totale delle conquiste conseguite nel precedente ciclo di lotte, ripristinando l’assoluta dominanza del capitale e della finanza sul lavoro. Ora non servono più e possono tranquillamente finire in discarica. Il rapporto con la destra e i suoi partiti ridiventa per il capitale fisiologico e naturale.

Gli elementi di un nuovo programma per la sinistra riformista

Nel laboratorio mondiale della sinistra riformista c’è già chi ha pensato a costruire. Lo ha fatto Bernie Sanders negli Stati Uniti, ma più compiutamente Jeremy Corbyn in Inghilterra. Tuttavia ogni paese necessita poi di punti di programma specifico che rispondano alle sue esigenze, anche se bisogna tenere in considerazione il fatto che le politiche imposte dalla Germania hanno condizionato e condizionano almeno tutta
l’area europea continentale [sia detto per inciso: questa è una delle ragioni che hanno indotto i socialisti inglesi a guardare con un certo favore alla Brexit, nella misura in cui contribuiva a sganciare il loro paese dalle politiche neoliberiste della UE a dominanza tedesca].
Pertanto il primo intervento da fare è sulle politiche del lavoro. Non si può più accettare che la battaglia per la competitività sui mercati sia strettamente legata, come è attualmente, a delle politiche di depressione del costo del lavoro e di sgravi fiscali alle imprese. Non basta mantenere alti i salari per una parte dell’aristocrazia operaia tedesca, supportandola con un mercato del lavoro forte della possibilità di utilizzare un esercito industriale di riserva segmentato, costituito da uno strato di lavoratori precari e a ore, da lavoratori trasfrontalieri, da immigrati di lungo periodo da selezionare col tempo, scremandoli con la possibilità di espulsioni a seconda delle richieste del sistema produttivo. Non si può continuare a consentire la speculazione finanziaria senza limiti, sostenendo il sistema bancario con le operazioni sui cambi e con interventi statali a
scapito, rispettivamente, degli altri paesi comunitari e dei contribuenti. Non si possono continuare a ridurre le prestazione del sistema pensionistico, considerando questa categoria di cittadini un settore ormai superfluo per l’efficienza del sistema produttivo e perciò da abbandonare a se stesso.”L’agenda” delle “riforme strutturali” imposte dall’Unione a tutti gli Stati, grazie alla leva finanziaria e monetaria, ha portato al progressivo abbassamento dei diritti e delle condizioni di lavoro in tutta l’Unione ed è giunto finalmente il tempo che si inverta la tendenza, rendendosi conto che questa politica non sta trascinando alla rovina solo le classi meno abbienti, ma sta distruggendo il tessuto sociale di tutto il continente.
La posta in gioco è alta perché la fine di queste politiche porterà inevitabilmente con se alla rovina dei servi consapevoli che agiscono da manutengoli del capitale finanziario in tutti i paesi. La crisi generale dei partiti social-democatici in tutta Europa non è altro che questa. A farli fuori in Francia sono servite le ultime elezioni e un laboratorio di elaborazione di un programma futuro si è aperto con Jean-Luc Mélenchon; la fine
annunziata del partito socialista spagnolo si avvicina mente indefinito è ancora il ruolo di Podemos in questo percorso. Ci la fine del PD in Italia, preparata dalle ragioni strutturali che abbiamo richiamato, avvenga al più presto, travolgendo quell’insieme insopportabile e maleodorante personale politico che il renzismo si è portato dietro. Del resto le elezioni sono vicine e si tratta solo di rimandare l’uccisione del maiale – che di solito viene macellato in inverno – a primavera.
Ciò che non è certo in Italia è la possibilità che si crei un nucleo di elaborazione di una linea politica alternativa fatta non solo di no agli orrori/errori della politica renziana, ma anche di proposte in positivo, mentre i diversi leader dei cespugli a sinistra del PD si accapigliano intorno alla figura del “Signor Piopio” e al suo campo, mentre Piopio a seconda dei giorni e delle ore pratica o dismette la poligamia e, non contento di questo,
pensa a un inciucio con il barilotto di Rignano, dimostrando che tante mogli non gli bastano, ma ha anche bisogno delle puttane. La sinistra riformista italiana per poter rinascere ha bisogno di fare piazza pulita dei vecchi cascami e di ritrovare i contenuti di una visione alternativa alla degenerazione prodotta da anni di collateralismo agli obiettivi del capitale e del padronato, dimostrando innanzi tutto di saper fare opposizione e di saper difendere le classi e i ceti che vuole rappresentare.

Il loro ruolo e il nostro

Quel che è certo e che noi non possiamo limitarci a lasciarli fare, consapevoli come siamo sia del pericolo rappresentato da una gestione di destra della società e dei rapporti sociali e produttivi, sia dei limiti del riformismo. Perciò dobbiamo lavorare affinché riparta un nuovo ciclo di lotte capace di sostenere da un lato l’eventuale rinascita di una politica genuinamente riformista, ma anche e soprattutto di una radicale volontà di trasformazione dei rapporti sociali e produttivi che dia vita ad una società governata dalla solidarietà, da rapporti sociali egualitari e partecipati. Non sono dunque solo i riformisti ad aver bisogno di un programma e di strategie, ma anche la sinistra di classe che deve essere capace di ricostruire non solo il proprio tessuto organizzativo, ma anche e soprattutto di individuare obiettivi immediati e credibili, capaci di aggregare in un fronte unico i diversi soggetti che subiscono le conseguenze del progressivo degrado delle loro condizioni di vita.
La crisi economica e la devastazione dei diritti sociali conquistati ha atomizzato le diverse componenti delle classi subalterne, ha alimentato l’odio sociale, fomentando lo scontro fra i poveri e gli emarginati; l’odio sociale si è diffuso, anche grazie allo scostamento fra la realtà e la percezione di essa, producendo disastri per la ricomposizione delle diverse componenti oppresse dallo sfruttamento. Complice l’informazione. ad esempio, la gran parte delle persone percepisce una migrazione in Italia del 30% della popolazione quando gli immigrati raggiungono appena l’8 % della popolazione e in numero dei clandestini, pari a qualche centinaia di migliaia, non sposta certo il rapporto rispetto al totale degli abitanti del paese. Ancora: i migranti vengono percepiti in maggioranza islamici, quando quelli di cultura e/o di religione islamica sono appena il 3 %. Il risultato è che nella proiezione del futuro le persone immaginano che tra 30-40 anni, cioè nell’arco della vita possibile di una persona attualmente giovane, gli islamici saranno più del 50% della popolazione italiana ! L’insieme di queste considerazioni è finalizzato a far pensare che l’Italia è vittima di un’invasione e che la sua popolazione autoctona è destinata all’estinzione.
Alle paure del domani la sinistra di classe deve essere capace di contrapporre le lotte per l’oggi: una politica per la casa che tolga gli incapienti dalle strade, che sostenga i pensionati diventati sempre più poveri, che aiuti chi è stato espulso dal mercato del lavoro o percepisce un salario insicuro e non sufficiente per vivere.
Bisogna rendere vivibili le periferie, recuperare verde pubblico, porre fine al degrado del territorio e lottare per conquistarsi forme di socialità inclusive, capaci di integrare le membra sparse non solo del proletariato diseredato e dei migranti, ma anche dei borghesi ridotti alla miseria, strappandoli così al governo politico dei movimenti di destra. Bisogna promuovere la cura, l’accesso alla tutela della salute, impedire la
sempre maggiore riduzione delle aspettative di vita, combattendo su due fronti: flessibilità del lavoro in vista della pensione e riduzione del tempo lavoro in modo da rendere dolce e accompagnare l’uscita dal mercato del lavoro; occupazione sicura, stabile e certa per i giovani, senza il precariato che riduce le prospettive di vita,
limita per ragioni economiche la procreazione, che invece deve essere frutto di una scelta libera e consapevole.
Bisogna pensare e realizzare un nuovo welfare inclusivo il cui onere ricada sulla comunità piuttosto che sulle formazioni sociali religiose e caritatevoli che spesso ne fanno un’occasione di lucro; bisogna smetterla con i finanziamenti alle imprese e investire invece direttamente a cominciare dalle infrastrutture.
La lotta per la difesa delle condizioni di vita va condotta nella scuola e nelle attività di formazione, praticando l’inclusione e il potenziamento del ruolo formativo della scuola della Repubblica e la proiezione della formazione lungo tutto l’arco della vita. La battaglia per la difesa della salute non può che accompagnarsi alla conquista di modalità di una morte dignitosa, nella consapevolezza che a disporre della vita deve essere ognuno di noi. Ma l’attenzione maggiore va dedicata al lavoro non solo come mezzo di sussistenza ma come espressione della dignità umana anche rivendicando un salario dignitoso e commisurato alla prestazione, condizioni di lavoro garantite sotto il profilo della tutela della salute, della certezza del reddito in un rapporto equilibrato tra tempo di lavoro e tempo di vita perché è giusto sia lavorare tutti che lavorare meno.
Per raggiungere questi obiettivi non occorre necessariamente vincere le elezioni, andare al Governo, ma si deve piuttosto imporre con la lotta un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, tra diritti e doveri, tra vendita del proprio lavoro e dignità umana, perseguendo l’uguaglianza di genere, di opportunità, senza discriminazioni razziali e a prescindere dalle origini e dal colore della pelle. La percorribilità di questi obiettivi, la loro concretezza può costituire il vero punto di forza della sinistra di classe e contribuire a conferire anche alla sinistra riformista quella forza e quella spinta necessaria a imporsi sulle tante forze della destra che vede nelle soluzioni autoritarie, razziste, difensive, egoiste e rancorose l’unica difesa possibile della sua miseria.

Gianni Cimbalo