Lotta di classe e crisi degli esecutivi

Eventi apparentemente lontani, ma contigui caratterizzano questa fase dello scontro sociale la lotta di classe in Francia legata alla battaglia sulla riforma delle pensioni e lo scontro in atto in Israele per difendere le istituzioni costituzionali dello Stato.[1] Sia la questione delle pensioni in Francia che la modifica costituzionale dello dell’ordinamento dello Stato con conseguente violazione dello stato di diritto sono stati affrontati con un colpo di mano che ha portato all’approvazione di una legge che ha suscitato il sollevamento popolare oltre che nel merito anche per le modalità con le quali è stata approvata.
Mentre la partita in Israele sembra essersi risolta con la almeno momentanea sospensione nell’applicazione della legge, in attesa di un suo auspicato e possibile ritiro in Francia l’esecutivo si rifiuta categoricamente di trattare con le Organizzazioni sindacali, fa confermare il provvedimento da un Consiglio costituzionale prono alle richieste dell’esecutivo e risponde negativamente alla crescente che richiesta popolare di disapplicazione della legge, anche dopo ben 12 scioperi generali nazionali e una mobilitazione che ha visto scendere in piazza milioni e milioni di cittadini, nonché scatenarsi la più forte opposizione sociale che il paese ha conosciuto negli ultimi anni. Prova ne sia che – come risulta da un recente sondaggio al quale hanno partecipato i lavoratori e le lavoratrici attive del paese il 905 di essi disapprova il provvedimento.
Quanto avvenuto in Israele ci dice chiaramente che quando il movimento popolare e la mobilitazione sono forti e determinati è possibile imporre al potere di recedere dalle sue decisioni, per quanto autoritario esso sia e per quando si basi sul consenso elettorale, e che il suo operato può essere sconfessato dalla mobilitazione di piazza, allorquando la
lesione dei diritti fondamentali di cittadinanza e delle regole di convivenza diviene tale da minare alla base il patto costituzionale sul quale si regge lo stare insieme. In altre parole, quanto è avvenuto in Israele rende chiaro che è possibile che una legge approvata venga disapplicata per sopravvenuti e chiari motivi di opportunità politica e di compatibilità costituzionale su decisione dello stesso potere esecutivo che l’aveva imposta.
Se ce ne fosse stato bisogno il caso estremo israeliano dice ai francesi che disapplicare la legge è possibile. Di questa convinzione ne sono dimostrazione le larghe adesioni che hanno avuto i 12 scioperi generali in Francia, ripetutamente indetti dai sindacati e certamente non lasciati isolato perché sono stati accompagnati da scioperi e mobilitazioni infrasettimanali che hanno punteggiato le cronache di queste settimane per l’arco di ben quattro mesi; ne quando sta avvenendo accenna a finire anche se, ovviamente, la partecipazione è stata soggetta a cali di partecipazione, causati dalla stanchezza degli scioperanti e al costo sociale ed economico della mobilitazione.
A tutto questo i manifestanti hanno cercato di porre rimedio mutando i metodi di lotta e ricorrendo ad azioni che potremmo chiamare di guerriglia. Numerosi sono stati gli episodi di picchettaggi, decisi e determinati, di manifestazioni di piazza spesso degenerate in azioni che hanno causato danni alla proprietà privata. Attività di saccheggio, quando non di sola distruzione di beni, il lasciare non raccolta l’immondizia delle città, sono state alcune delle manifestazioni estreme di lotta che testimoniano della profondità del disagio arrecato dal provvedimento. Tutto questo avviene perché ciò che viene rimesso in discussione non sono solo le condizioni di vita materiali della popolazione, ma anche l’abbattimento delle prospettive di vita e soprattutto della qualità della vita di tutti i lavoratori e le lavoratrici, costoro si sono visti negare il diritto di cessare il lavoro, malgrado svolgano attività di usuranti, poiché l’allungamento dell’attività lavorativa non è solo di due anni, come affermato da certa stampa, ma differisce categoria per categoria, rispetto alle conquiste ottenute durante lunghi cicli di lotta da coloro che svolgono lavori usuranti.
In altre parole, si sostituisce ad un sistema pensionistico articolato per categorie un altro basato su regole generali uguali per tutti, dimenticando che non c’è miglior modo per fare discriminazioni e praticare la diseguaglianza che quello di adottare delle regole generali e comuni per situazioni specifiche diverse.
In altre parole, non vi è dubbio che la protesta sociale sviluppata in Francia, anche grazie all’iniziativa sindacale, rappresenta una ripresa della lotta di classe, è una risposta alla crisi della rappresentanza delle istituzioni. Infatti, al voto (i votanti sono in calo costante) si sostituisce l’azione diretta e la difesa in prima persona dei propri diritti, senza delegare questo compito ad alcuno. Questa svolta rappresenta una novità che non avviene solo in Francia, ma in tutta la politica europea, in quanto consente alle masse di ripresentarsi in prima persona nel conflitto sociale rivendicando un loro ruolo,
decise ad affermarlo a tutti i costi, pronte a combattere in difesa delle proprie posizioni e interessi di classe.
Insistentemente sindacati, lavoratori e cittadini chiedono a Macron di ritirare il provvedimento, di sospenderne l’efficacia malgrado che il Consiglio Costituzionale, un organismo asservito all’esecutivo abbia sancito la costituzionalità della norma, pronunciandosi anche sull’anomala procedura attraverso la quale il provvedimento è stato adottato e di fatto imposto al Parlamento e sulla richiesta – rifiutata – di sottoporre la legge a referendum popolare.

E ora

L’esecutivo conta sul passare del tempo perché la protesta si plachi. Sa bene che dal 2005 il vento è cambiato in Francia e che le lotta sociale ha sempre perso: resistendo alle proteste, governo e padroni hanno fatto si che i provvedimenti adottati per ridimensionare lo Stato sociale, i servizi, i diritti, le conquiste sul lavoro restassero in vigore e dispiegassero i loro effetti e perciò auspica che anche questa volta il conflitto si risolva allo stesso modo.
A nostro avviso – ma è anche quello che auspichiamo – ha sottovalutato gli effetti della mobilitazione su tutto il territorio del paese dalle città alle periferie. Non tiene conto del fatto che anche in altri paesi è partito un ciclo di lotte molto dure che ha al centro la tutela dei sevizi pubblici, sanità e scuola in particolare, e la richiesta pressante di aumenti salariali da parte delle diverse categorie che domandano stipendi più alti (i medici inglesi chiedono il 35% di aumento dei salari) per far fronte ad un’inflazione che depurata del costo dell’energia cresce su tutti i beni di largo consumo erodendo il potere di acquisto.
È anche per questo motivo che i sindacati francesi possono rispondere al Governo “Ce n’est qu’un debut continuons le combat”, forti del fatto che queste mobilitazioni hanno avvicinato alla lotta sociale giovani e meno giovani, anche perché le condizioni di malessere sociale e di sfruttamento hanno toccato livelli insopportabili e la fiducia nelle
istituzioni è scomparsa. Una disaffezione al voto e alla condivisione della fiducia nelle istituzioni alla quale, per ora, non segue in Italia alcuna mobilitazione delle piazze.

[1] Coinvolgere lo Stato ebraico in un’analisi politica richiede da parte di noi comunisti anarchici un uno specifico discorso di chiarimento sull’origine, la natura e le caratteristiche dello Stato ebraico in rapporto alla questione palestinese nonché la necessità che riguarda tutta la sinistra chiamata a fare i conti con le proprie contraddizioni. Questo bisogno riguarda molto da vicino l’anarchismo poiché la componente libertaria all’interno dell’ebraismo e il suo contributo nell’elaborazione e ideazione della soluzione della questione ebraica è stato di fondamentale importanza ed ha avuto un ruolo in alcuni casi determinante nelle scelte effettuate da quel movimento di lotta che ha portato alla costituzione dello Stato di Israele, nonché al fallimento dell’ipotesi socialista e interreligiosa della propria natura come Stato che alle sue origini lo caratterizzo. Sull’argomento che riproponiamo di intervenire nello specifico in un prossimo articolo relativo a Israele, la natura dello Stato israeliano e la questione palestinese.

La Redazione