Fatti per durare

La strategia del governo disegnata dalla Meloni è finalizzata a durare. I risultati immediati non sono importanti perché rilevano gli obiettivi di lungo periodo. Perciò permane la divisione di ruoli tra quello del Governo e della premier, proiettato verso la politica estera per rafforzare ruolo e leadership dei conservatori europei in vista delle elezioni in Europa del 2024, e ruolo del suo partito e dell’accozzaglia di personaggi improbabili ed oscuri che ne fanno parte, dediti alla gestione del piano di fascistizzazione della società attraverso la declinazione delle tematiche chiave della destra asociale, che vanno dalla ristrutturazione dei rapporti sociali e produttivi, all’obiettivo etico di ridisegnare l’italiano, perfino nel linguaggio, come dimostra la grottesca, ma solo apparentemente ridicola, proposta di legge sul divieto dell’uso delle lingue straniere nella pubblica amministrazione che ricalca i provvedimenti a riguardo dell’amato ventennio. Certo che questa voglia di restaurazione è grande nel partito che ha vinto le elezioni, al punto da ricalcare e riproporre i provvedimenti al suo tempo adottati a favore della crescita demografica per cui c’è da aspettarsi la reintroduzione della della tassa sul celibato che francamente ci manca.
Ne il ritorno al passato si ferma qui perché percorre un po’ tutti i campi della convivenza civile e, quel che è più grave, opera anche rispetto alla legislazione sul lavoro. Infatti, il governo allunga a 36 mesi il periodo di precariato, consentendo alle aziende che adottano queste modalità di impiego di non dover motivarne le ragioni che le spingono verso questa scelta, obbligo che poteva essere di una qualche efficacia per circoscrivere e limitare il fenomeno. L’uomo nuovo che si vuole costruire ripercorre
vecchi sentieri, riproponendo l’immagine di un paese dove le prospettive di vita sono
occasionali e precarie, dove il ricatto nel mondo del lavoro è quotidiano e il bisogno di
occupazione è costante e costringe le persone a infeudarsi con questo o quel potentato.
Per riaffermare la presa sulla società il governo ha provveduto di recente anche alla spartizione delle nomine dei dirigenti delle partecipate di Stato, ma i provvedimenti adottati a questo riguardo sono funzionali alla strategia di fondo della destra: assorbire i tecnocrati, consolidare e perpetuare il potere.

Per una società infeudata servile e corporativa

La destra al governo opera mediante una strategia articolata su due corni: da un lato incorpora nel proprio staff gestionale burocrati e manager ammantati da una fama di professionalità ed efficienza, uomini e donne buoni per tutte le stagioni, in modo da attenuare la sensazione di regime che sarebbe emersa avocando a sé e ai propri sodali i diversi posti di governo e di gestione economica delle aziende di Stato, dall’altro mostra che poi, in fin dei conti, la gestione di destra del paese non è così terribile per le classi dominanti, ma anzi. Questo modus operandi permette alla destra di radicarsi nella società e stabilire un’egemonia, quella sì importante, anche se le lamentazioni del partito di maggioranza vengono confinate alla mancata egemonia nel campo dell’informazione e della cultura; ma si sa, come diceva un personaggio divenuto poi uno dei suoi esponenti, con la cultura non si mangia, affermazione ovviamente sciocca, ma tittavia nel breve periodo si godono lauti stipendi.
Tutto questo avviene mentre il governo ricorda che l’inflazione cala, omettendo di dire che si tratta di una manipolazione, perché in realtà quella relativa alla spesa dei beni essenziali cresce, prova ne sia che il dato dell’inflazione viene depurato dei costi dell’energia, la tendenza alla crescita dell’inflazione appare evidente, come segnalato da autorevoli fonti sia dell’Unione Europea che dalle banche. Se si guarda al Def ci si rende conto che per l’anno prossimo il governo predica la moderazione salariale, ovvero si prefigge di far sì che gli attuali salari, che sono quelli più bassi fra tutti i paesi europei, non crescano, prospettando per i lavoratori italiani fame e miseria, avendo cura di darne la colpa alla concorrenza sul mercato del lavoro esercitata dalla manodopera costituita dai lavoratori clandestinamente emigrati in Italia.
Questo gioco relativo alla continua e reiterata individuazione di un nemico da odiare dovrebbe operare da efficace deterrente per fare terra bruciata dell’opposizione sociale, anche confidando sul silenzio e l’incapacità politica delle opposizioni, sempre più divise tra i diversi partiti sempre più immobili sul pano sindacale.

L’opposizione politica e sindacale

Il Governo ha vita facile non tanto a causa del risultato elettorale, ma per il fatto di avere di fronte delle opposizioni divise e incapaci di svolgere il loro compito. Mentre il sedicente “terzo pollo” occupa le cronache pensando forse di divertire chi ascolta con le ridicole contrapposizioni fra i due galli che pretendono di egemonizzare il pollaio e che nel perseguire questo scopo, si becchettano senza esclusioni di colpi, disegnando uno scenario francamente disgustoso, gli altri partiti di opposizione hanno, a loro volta, linee politiche incerte e indecise lungo le quali articolare la loro risposta al Governo.
Da un lato il Movimento 5 stelle ha visto ridimensionato il suo ruolo di captazione dell’elettorato di sinistra a causa del presentarsi sulla scena della nuova segretaria del PD e quindi si perde dell’incerta ricerca di cavalli di battaglia e parole d’ordine sui quali articolare la propria posizione. Dall’altro il PD, ridisegnato ad immagine della sua segretaria, non riesce ancora o forse non ha avuto l’occasione di essere messo alla prova sulle sue concrete capacità di organizzare l’opposizione. La sinistra e i verdi sono più un aggregato elettorale che un partito di opposizione e quindi sono episodicamente presenti nelle lotte sociali, a volte con profili incerti. soprattutto per quanto riguarda la compagine ambientalista.
Bisognerebbe fare chiarezza prioritariamente sul fatto che le sterminate praterie di centro ipotizzate come il luogo nel quale le armate dei galli nel pollaio avrebbero dovuto dispiegarsi trovando da razzolare sono del tutto inesistenti e inconsistenti. Da ciò discende che gli esponenti di questa debolezza politica farebbero bene, francamente a levarsi dai coglioni. Altro punto da chiarire è che con queste premesse l’opposizione nel Parlamento è pressoché inesistente e comunque certamente inefficace. Lo dice la legge dei numeri, perché per quanti strepiti e grida i deputati e senatori possano fare nelle aule parlamentari non otterranno mai la maggioranza, anche perché l’ipotesi di staccare una morente.
Forza Italia, dalla maggioranza è del tutto ipotetica, inconsistente abche perché costituisce un enigma chi riuscirà a banchettare sulle spoglie di questa formazione politica personale, una volta che le leggi della biologia e la natura ci avranno liberato dall’onnipresente Silvio.

Un nuovo ciclo di lotte

Se tutto ciò è vero, le forze di opposizione dovrebbero capire che il vero terreno nel quale si svolge e si sviluppa l’opposizione al Governo sono le piazze, sono i movimenti di lotta; è con il consenso delle popolazioni, dei cittadini e non, di tutti coloro che soffrono per il crescente disagio sociale e che avrebbero bisogno di essere organizzati e orientati verso obiettivi perseguibili e ottenibili, costituisce il solo modo di farla.
Ma mobilitare le masse non sembra, almeno al momento, nelle corde dei due dirigenti  dei due partiti maggiori dello schieramento di opposizione, perché sia i suoi leader che i dirigenti politici a ogni livello dei due partiti devono dare dimostrazione della loro capacità di mobilitare e chiamare le masse alla lotta e al conflitto sociale, intorpiditi come sono del loro continuo ciarlare all’interno delle aule parlamentari.
Né a soccorso dei partiti si possono chiamare le organizzazioni sindacali Cisl e Uil a  causa della loro propensione endemica alla concertazione, né la CGIL, immobile al punto che sembra di giocare il ruolo della bella addormentata nel bosco. Eppure, i leader sindacali dovrebbero comprendere più di ogni altro, quello che sta avvenendo intorno a loro e rendersi conto che in Europa è in atto una mobilitazione delle masse che non conosce uguali rispetto ai tempi recenti e decidersi a porre la questione salariale, i problemi del fisco e della sanità, nonché dello statosocisale.
Basta guardare a quello che sta avvenendo in Francia con la lotta sulle pensioni e a sostegno dello Stato sociale, alle lotte sindacali sul salario il corso ormai da un anno in Inghilterra, dove i medici sono giunti a chiedere aumenti del 35%, ponendo con forza la questione salariale, in Portogallo dove la morsa dell’inflazione si fa forte al punto da indurre a uno sciopero generale partecipato come non mai, in Germania dove le lotte salariali hanno ripreso vigore con rivendicazioni di forti aumenti salariali come non se ne vedevano da tempo, supportati da scioperi decisi e duri.
Non si comprende cos’altro occorre per risvegliare dal letargo le masse dei lavoratori in Italia e portarli ad assumersi in prima persona l’onere di rivendicare maggiori salari, migliori condizioni di vita, migliori servizi, posto che, come del resto il forte astensionismo dimostra, la loro fiducia nelle istituzioni diminuisce sempre di più e che, quindi, è solo l’azione diretta, la lotta e lo scontro sociale che possono produrre quel mutamento dei rapporti di forza tra padronato.
Governo e lavoratori che può consentire loro di difendere efficacemente i loro diritti ed interessi. Aspettare il confronto elettorale al momento lontano e incerto sarebbe un suicidio inaccettabile e rischia di lasciare lungo la strada in povertà e miseria grandi masse di lavoratrici e lavoratori.
Forse a dare loro una mano ha provveduto il Governo abbolendo di fatto il reddito di cittadinanza ma ad essere colpiti sono i più poveri e i più deboli e di questi tempi la solidarietà sociale ha pochi adepti e quindi non c’è da attendersi una reazione. La crescente trasormazione in chiave corporativa nessa in atto dal governo attraverso la riforma dell’imposizione fiscalee il sostegno agli interessi di categorie e gruppi divide la classe e mette il vento in poppa alla destra.

La Redazione