La destra e l’occupazione dello Stato

A cinque mesi dalla vittoria elettorale delle destre nelle elezioni del 25 di settembre 2022 prosegue la sistematica occupazione dello Stato e dei suoi appartati da parte delle destre. A differenza che nel passato, quella guidata dall’attuale presidente del Consiglio, mostra di avere un preciso progetto strategico alla cui attuazione sta procedendo sistematicamente, senza che le cosiddette opposizioni mostrino di accorgersene o semplicemente di esserne consapevoli, prova ne siano le dichiarazioni rassicuranti sul fatto che la politica del Governo si è dimostrata migliore e meno pericolosa di quello che minacciava di essere, tanto che c’è persino chi ha tolto alla Premier la qualifica di fascista!
Tanta colpevole stupidaggine è il frutto dell’incultura politica, dell’inconsistenza, dell’ignoranza, della faciloneria, di politici d’accatto, abituati all’ordinaria amministrazione di comuni e regioni, tutt’al più buoni per esercitare
il mestiere di amministratori di condominio. Costoro mostrano di non aver capito che questa destra, preparatasi per andare al governo nel corso di lunghi anni, c’è andata con tutta l’intenzione di durare e di dar vita ad un regime che segni il paese più e in modo più marcato del ventennio fascista e del trentennio berlusconiano.

Agire senza fretta

La destra sa che può agire senza fretta e che deve farlo sistematicamente perché si è guadagnata cinque anni di tempo per sedersi comodamente e stabilmente al potere e perciò ha inaugurato una strategia che marcia su due binari. La prima, chiassosa e spettacolare, fatta di provvedimenti monstre, di grida manzoniane, come l’attacco ai rave, la politica anti-migratoria strillata, le liti diplomatiche con la Francia, l’attacco demagogico al reddito di cittadinanza, e soprattutto una gestione ordinata e prudente dei conti pubblici, atta a rassicurare i mercati, la questione del 41 bis, trasformata in fatto di cronaca alla pari con la gestione del Festival di Sanremo. La seconda fatta di provvedi reali come quello di individuare i porti di sbarco delle navi delle ONG il più lontano possibile dall’area di soccorso, salvo poi consentire e raggiungere il record di arrivo di migranti con i barchini, gestiti dall’imprenditoria privata del traffico di uomini e di donne, realizzare ben 12 condoni in finanziaria, abbassare le tasse ai più ricchi, affamare i poveri, ridurre le spese sanitarie, liberalizzare e precarizzare ancor più il mercato del lavoro, togliere ogni sostegno alle politiche per la casa, e condire il tutto con ulteriori spese militari e il sostegno alla guerra, forti del fatto che altrettanto, se non di più, avevano fatto i precedenti governi.
Intanto, il Governo precede spedito sulla strada del cosiddetto poils system (traduzione letterale dall’inglese: sistema del bottino) che è la pratica politica con la quale i vincitori delle elezioni conquistano e colonizzano i gangli del potere economico e politico per occupali il più stabilmente possibile, consapevoli che mentre i politici “passano” i funzionari, i dirigenti e i loro quadri intermedi, restano e sono quelli effettivamente in grado di consentire al sistema di potere di riprodursi, rigenerarsi e durare nel tempo. Questo lavoro è delicato, richiede pazienza certosina e tempo, va fatto con attenzione e avvedutezza e possibilmente deve essere il meno visibile possibile.
Questa occupazione è avvenuta impossessandosi dei centri di spesa del PNRR e modificando il codice degli appalti, distribuendo posti, incarichi e favori, acquisendo consenso attraverso l’incorporazione di burocrati convertiti o acquisiti, imponendo propri uomini e donne per premiarli di oscure militanze negli apparati, valorizzando chi era
cresciuto in periferia, sulle barricate, nelle piccole piazze di provincia, fornendo quel “riscatto” da lungo tempo covato e sofferto.
Si è in tal modo e si va ancora formando un esercito di “personale politico”, quella classe intermedia governante della quale i grandi giornali e gli opinionisti rimproverano l’assenza a destra, senza capire che costoro ci sono e come, anche se non si vedono, che sono tanti e più numerosi di un branco di cavalli e devastanti più di una mandria di bufali impazzita, capace di lasciare dietro di se le macerie, dopo aver desertificato il terreno di ogni risorsa, attuando quella riforma dello Stato necessaria a distruggere quanto di strutture di solidarietà sociale è sopravvissuto alle sconfitte del movimento operaio in questa fase storica e alla guerra scatenata e vinta dal capitale contro il lavoro.

Combattere per vincere

Se si guarda agli attuali rapporti di forza la situazione è disperante. I partiti sedicenti riformisti sono inconsistenti ed incapaci di far fronte ad una situazione che hanno contribuito a creare, succubi del capitale e delle forze padronali dominanti nel paese. Il PD, in particola, è privo di identità, prigioniero dell’ordinaria e ordinata amministrazione,
continua a rappresentare l’equivoco di un partito da Zona TL, estraneo ai problemi dei ceti e alle classi meno abbienti e questo quando nel paese 6 milioni di poveri hanno il problema della sopravvivenza, non ci sono prospettive di miglioramento e la ricchezza si concentra nelle mani di sempre meno persone. Lo smantellamento dei residui poli
produttivi e l’attacco ai residui nuclei di classe operaia, portano a un lavoro individuale fatto di precarietà, incertezze, bassi salari, assenza di luoghi di aggregazione.
Si fa fatica ad individuare quali possono essere quelle situazioni nelle quali è possibile sviluppare delle lotte in una realtà sociale frammentata e dispersa, a meno di non partire umilmente dai territori e dalle esigenze immediate e di vita, per costruire sui bisogni una resistenza, prima in modo da porre le basi per una successiva risposta che ha poi bisogno di nuovi punti di aggregazione, di nuovi obiettivi che vanno dalla possibilità di vita alla qualità dell’ambiente, della salute, delle relazioni sociali.
In questa direzione la strada è corta, stretta e tortuosa, fatta di tentativi e a volte di percorsi sbagliati, tanto che occorre fermarsi e ripartire, correggendo il tiro. La nostra battaglia può cominciare, contendendo metro per metro il terreno all’avversario di classe, il che vuol dire combattere e vincere il confronto nella scuola, come sul territorio, sul posto di lavoro e nella società, promuovendo obbiettivi e parole d’ordine aggreganti, che tengano uniti le lotte per il salario e un tenore di vita almeno dignitoso e la tutela dei valori e dei diritti fondamentali della persona e di genere.
Concentrare prevalentemente sui diritti le nostre forze non ha senso, se priva di consistenza materiale e di incidenza sui rapporti tra le classi il peso della nostra azione. Allo stesso modo non è sufficiente concentrare ogni sforzo sulla difesa dell’ambiente, se poi non si incide a livello strutturale sulle cause che producono il deterioramento delle condizioni materiali di vita.
Per questo motivo bisogna farsi carico della complessità di operare, tenendo conto della dimensione internazionale dei problemi, della solidarietà e dell’internazionalismo necessario a dare quel respiro globale alla lotta tra capitale e lavoro, che sola può consentire di sconfiggere i nemici di classe.

Contro la guerra e per la pace

Un primo passo sicuro in questa direzione è battersi contro le guerre tra i popoli, consapevoli del fatto che non esistono guerre giuste, ma che ogni guerra è frutto di uno scontro di interessi che avviene a spese dei popoli, sacrificando le vite e le esistenze di ognuno. La vera ed unica guerra da combattere è quella contro gli sfruttatori, in nome
dell’uguaglianza dei diritti e della solidarietà, per assicurare a tutti la libertà dal bisogno e un equo accesso alle risorse.
Barricarsi dietro la difesa dei confini, di etnie, di religioni, di nazioni, invocare la difesa delle patrie è quanto di più sbagliato possa farsi perché si accompagna a differenze di colore della pelle, di origini e tradizioni che non vale la pena difendere, accampando superiorità, privilegi, differenze.
Solo così facendo si da corso a quel ribaltamento dei punti di vista, a un differente punto di partenza, che consente approdi migliori, che permette di vivere in pace e migliorando per tutti le condizioni di vita. Come insegna l’incombere di disastri naturali che sono sotto gli occhi di tutti è inaccettabile pensare ed agire in modo che il benessere di pochi si fondi sulla rovina e sulla morte di molti.
Ciò che fa la differenza tra la visione del mondo propria delle classi sfruttate e una gestione autoritaria, liberista e egoistica del potere è proprio la solidarietà e la profonda umanità che distingue i valori sociali che sono patrimonio degli sfruttati e che si impongono sull’egoismo dei più forti.

Per i diritti, migliori condizioni di vita

Tuttavia senza la soddisfazione dei bisogni di uguaglianza non c’è libertà. E perciò, l’ubertà dal bisogno, libertà dallo sfruttamento, dell’uomo sull’uomo, sulla dona e viceversa, per la solidarietà e per cercare insieme una strategia per conquistare le cose belle della vita. Il primo passo, dunque, è prendere decisamente in mano il nostro futuro e, nulla delegando ad altri, battersi per la difesa dei nostri diritti ed interessi,in un quadro di solidarietà.

Gianni Ledi