PERÙ: i figli di un Dio minore

La popolazione india del Perù deve essere figlia di un Dio minore se nessuno parla del colpo di stato a suo danno in atto nel paese, dei suoi morti nel corso delle manifestazioni con le quali si chiede il rispetto del risultato elettorale e il ritorno alla presidenza di Pedro Castillo, primo Presidente indio del paese. Castillo era stato eletto Presidente un anno e mezzo fa con un leggero scarto di voti dopo elezioni giudicate regolari dagli osservatori internazionali, ma, come è ormai prassi della destra internazionale sconfessate dallo schieramento sconfitto che non riconosce il risultato elettorale. Per questo motivo a partire da giorno successivo al voto la destra ha messo in atto una campagna tesa a delegittimarlo.
Ciò malgrado l’insediamento nella carica di Presidente era avvenuto e la destra aveva scelto una strategia strisciante di attacco al Presidente, costringendolo a progressivi compromessi e cedimenti fino ad isolarlo forte del suo peso nel Congresso e sostenuta dalla stampa largamente da essa controllata. Castillo invece che chiamare il popolo alla
mobilitazione ha cercato di contrastare la crescente pressione sul suo Governo con continui compromessi e cedimenti fino al punto di isolarsi, dichiarando troppo tardi lo scioglimento del Parlamento e promettendo di indire entro 6 mesi un’Assemblea costituente per riformare la Costituzione, nel rispetto del suo programma elettorale: così facendo ha suscitato le reazioni del Parlamento che lo ha accusato di golpe istituzionale, destituendolo e disponendone l’arresto cautelare per 18 mesi il 7 dicembre 2022.
Dopo una prima fase di disorientamento la risposta delle masse popolari è andata crescendo e la polizia ha risposto a manifestazioni, sostanzialmente pacifiche, con 62 morti causate dall’esercito e dalla polizia. Un solo poliziotto è stato ucciso per mano dei dimostranti mentre, tutte le altre vittime appartengono alle forze di sinistra e popolari. La
mobilitazione riguarda varie regioni del Paese e secondo il quotidiano centrista La Republica, “una carovana di autobus e camion, con migliaia di manifestanti, è arrivata a Cusco dalle province di Canchis, Canas, Acomayo e Quispicanchi.” Il Governo, nel tentativo di screditare le proteste, sostiene che sono promosse e finanziate da gruppi terroristici e dai narcos, tesi respinta dai manifestanti che hanno eretto blocchi stradali e organizzato cortei in numerose regioni e soprattutto del centro-sud peruviano, il più povero del paese. Il occasione dello sciopero generale del 20 gennaio una manifestazione nazionale si è svolta a Lima.

Accuse inconsistenti e non provate

La magistratura peruviana è stata usata come una clava e ha formulato contro Castillo una denuncia costituzionale, procedimento riservato alle più alte cariche dello Stato, accusandolo di capeggiare un’organizzazione criminale “installata nel palazzo del governo, atta a acquisire, controllare e favorire contratti di appalto per ricavarne guadagni illeciti”, dichiarando di essere in possesso di prove secondo le quali sarebbe stato “scoperto l’ottenimento di benefici economici a seguito di nomine in posti chiave e l’incasso di percentuali per gare di appalto ottenute in maniera illecita e l’uso illecito dei poteri presidenziali”. La denuncia è stata accompagnata da alcune azioni su scala nazionale per ricostruire la presunta rete criminale; sono stati fermati cinque ex consulenti di Castillo, perquisite le case e gli uffici di sei parlamentari del partito del Presidente e la casa della sorella di Castillo, Gloria, che si trovava in compagnia della
madre, azione che il Presidente ha definito “atto abusivo”. A carico di Castillo, insieme alla moglie Lilia Paredes, erano stati aperti sei procedimenti con altre accuse di corruzione, senza tuttavia produrre alcuna prova.
Il Congresso ha nominato la Vicepresidente Dina Boluarte, eletta nelle liste di Castillo, alla presidenza della Repubblica, la quale non ha avuto scrupolo nell’intensificare la repressione. In particolare, nella città di Juliaca, nella regione di Puno, si sono avuti scontri fra manifestanti antigovernativi e le forze dell’ordine con 18 morti e centinaia di
feriti e il bilancio delle violenze scatenate in Perù fin dalla destituzione Pedro Castillo ha coinvolto centinaia di manifestanti e il loro numero cresce con il passare dei giorni L’Ufficio del Difensore del popolo peruviano ha confermato che a Juliaca si è registrato lo scontro più cruento da quando è in atto uno sciopero a tempo indeterminato, con il quale i manifestanti chiedono lo scioglimento del Parlamento, le dimissioni della presidente Dina Boluarte e immediate elezioni anticipate.

La struttura economica del paese

Il paese vive una profonda contraddizione: a sostenere la “modernizzazione” proposta da Carillo sono le compagnie petrolifere che da anni sfruttano i giacimenti presenti nelle regioni settentrionali del Perù ma che sono in forte contrasto con le comunità indigene che si battono per la salvaguardia delle antiche tradizioni locali. Cardillo aveva cercato di conciliare questa contraddizione proponendo la modernizzazione del paese e la giustizia sociale. A contrapporsi a questo programma è la classe media alleata dei proprietari terrieri e degli imprenditori nazionali che trovano la loro roccaforte nelle città (la sola Lima ha 10 milioni di abitanti, un terzo di quelli del paese), ma che sono circondate da immense favelas. A questo blocco sociale si contrappongono le  popolazioni rurali che hanno sostenuto compatte Castillo, il quale voleva rinegoziare i contratti con le multinazionali che sfruttano le risorse del paese, prospettando a quelle che non avessero accettato la nazionalizzazione.
È da ricordare che, in particolare, i cinesi hanno investito soprattutto nell’estrazione del rame e nella costruzione di porti, realizzando il primo hub logistico affidato naturalmente alla compagnia Costo, diretta emanazione dello Stato cinese. Va tenuto conto del fatto che il Perù svolge un ruolo strategico fondamentale per la politica cinese dell’Indo-Pacifico e ha firmato un accordo con la compagnia peruviana Volcan Compania Minera per l’estrazione mineraria al fine di soddisfare la fame cinese di terre rare e risorse minerarie delle quali il paese è ricco. Grazie a questo hub logistico – il porto di Chancay – la Cina potrà fare arrivare le sue merci in Sudamerica e gli investimenti che sono stati fatti – che si aggirano intorno ai 3 miliardi di dollari – consentiranno alla Cina di consolidare i suoi legami con Lima. A patrocinare l’accordo due uomini dell’esercito l ‘ex comandante della Marina Gonzalo Rios Polastri e l’ammiraglio Carlos Tejada Mera e Jason Guillen. Castillo avrebbe voluto rafforzare i rapporti con la Cina, forte del fatto che il 10 per cento dei peruviani ha origine cinese e che tra le due nazioni esiste un rapporto di collaborazione non solo economico, nato dopo l’accordo di libero commercio del 2009, ma anche culturale e scientifico.
Questi rapporti poggiano sul fatto che il 30 % delle esportazioni peruviane sono dirette in Cina e riguardano soprattutto prodotti relativi alla pesca, all’industria agroalimentare e mineraria e che la Cina ha effettuato importanti investimenti in Perù nel settore delle miniere, degli idrocarburi, dell’elettricità, dei trasporti, delle telecomunicazioni e della finanza, beneficiando di sgravi fiscali. Il punto di partenza di questi interscambi economici è stato il TLC (Tratado de libre comercio) sottoscritto nel 2009 tra i due paesi, il primo accordo commerciale della Cina con una nazione in via di sviluppo, che ha avuto una lunga gestazione ma che si è poi concluso con un breve tempo di negoziazione. Alla base dell’accordo c’è una riduzione delle tariffe doganali nell’interscambio tra i due paesi che ha permesso a molti prodotti peruviani di entrare nel mercato più grande del mondo senza balzelli che ne aumentassero i prezzi, anche se poi dall’accordo erano stati esclusi tutti i prodotti che potessero essere in concorrenza con quelli locali, Bisogna tenere conto che il paese ha più di 31 milioni di abitanti e alti tassi di natalità (20‰ nel 2012), accompagnati comunque da bassi tassi di mortalità (5,3‰ nel 2012), che rendono di fatto quella peruviana una popolazione giovane: circa il 30% ha meno di 15 anni. La metà della popolazione è costituita da indios, che abitano le alte terre, seguiti dai meticci (31,9%), che popolano prevalentemente i centri costieri, dai creoli (12%), che rappresentano l’élite del Paese e vivono nelle città, e da piccole minoranze di neri o mulatti stanziati nelle zone costiere. Gli indios sono in prevalenza quechua (47%), meno numerosa è la componente ayamarà (5,4%); meno importante che in altri paesi il peso degli immigrati dall’Europa o da Cina e Giappone. Per limitare il numero della popolazione india il governo Fujimori dal 1990 al 2000 fece sterilizzare forzatamente più di 300.000 donne a 150000 uomini appartenenti alla popolazione india. Si comprende perciò perché la parte più debole della popolazione teme la legalizzazione dell’aborto e l’introduzione dell’eutanasia che potrebbero essere strumenti per un controllo selettivo della popolazione. Inoltre, in Perù, come ovunque in America Latina, si sono diffusi i culti evangelicali fondamentalisti e nemmeno la famiglia del Presidente ne è immune, la moglie appartiene ad una di queste Chiese e il Presidente, dopo aver coltivato le stesse simpatie, è tornato nella Chiesa cattolica. Questa scelta di Castillo ha consentito alla destra di rafforzare la sua coesione ideologica e la sua base sociale che fa perno sull’appartenenza religiosa a queste Chiese, similmente a quanto avviene in Brasile e in tutta l’America Latina.[1]
Pur con le sue contraddizioni il programma del presidente eletto minacciava gli interessi della borghesia nazionale e del ceto di imprenditori e capitalisti nazionali che hanno costruito la loro ricchezza sul possesso delle terre e che sono gli eredi dei latifondisti del paese. Da qui l’attacco alle istituzioni, il discredito con campagne di stampa mirate, la mobilitazione delle componenti di destra del paese, spaventate dalla presenza di un indio al governo e dal programma sociale di Castillo; una destra che può contare anche su un’emigrazione di esuli venezuelani, oppositori del Governo Maduro, divenuti massa di manovra militante e attiva della destra.

Gli errori di Castillo

Castillo si è fidato eccessivamente delle sue capacità di mediazione, inimicandosi una parte delle forze politiche che lo hanno sostenuto; ha lasciato che la classe media e i proprietari terrieri stringessero la loro naturale alleanza con il capitalismo nordamericano e ha sottovalutato il fronte di destra, all’attacco non solo dei governi riformisti, ma anche delle democrazie liberali. Ha sbagliato nel confidare in un rapporto privilegiato con il Cile, illudendosi di ricevere sostegno da questo paese ed è riuscito a raccogliere la solidarietà solo di Venezuela e Messico. L’insurrezione popolare in atto può beneficiare solo limitatamente del sostegno del Brasile, come la vittoria di Lula avrebbe fatto sperare. Al momento il Brasile è ripiegato su se stesso per cercare di reagire all’attacco frontale delle destre che è parte di un disegno strategico generale come gli eventi peruviani dimostrano. Una positiva conclusione della crisi brasiliana potrebbe in prospettiva creare migliori condizioni per il successo della protesta.

[1] Perù: un Presidente campesino, newsletter Crescita politica, 22 giugno 2021, n. 147

Gianni Ledi