La questione ortodossa in Europa

Le recenti decisioni sull’allargamento dell’Ue mettono i paesi che attualmente ne fanno parte di fronte alla “questione ortodossa”. In un lasso di tempo che, secondo le sconsiderate promesse fatte agli ucraini, dovrebbe essere non molto lungo, i paesi aderenti alla Comunità europea a maggioranza ortodossa passeranno dagli attuali 4 (Grecia, Cipro, Bulgaria e Romania su 27 a 7 su 30 (8 su 33, nel caso di un ulteriore allargamento alla Moldavia), il che porterebbe il rapporto tra paesi a maggioranza ortodossa e gli altri a circa un terzo dei membri dell’Unione, con una popolazione complessiva, sulla carta, di più di 100 milioni di abitanti. Sono infatti paesi candidati la Macedonia del Nord (dal 2004), il Montenegro (dal 2010), la Serbia (la 2012), l’Albania (la 2014), l’Ucraina e la Moldavia (tutte e due candidate dal 2022), ma mentre i primi 4 candidati stanno facendo da tempo le necessarie riforme per adeguarsi all’insieme di regole giuridiche e di valori dell’Ue, previsti dai Trattati, (aequis comunitario) solo il primo di essi e l’Albania hanno concluso positivamente questo percorso, mentre gli ultimi due ne sono lontani a distanza siderale, tanto che solo le forzature dovute all’aggressione russa all’Ucraina sono valse a consentire loro di acquisire la qualifica di candidati Ciò premesso, viene da chiedersi cosa cambierebbe negli equilibri e negli assetti dell’Unione, e con quali
conseguenze, se tutti questi paesi entrassero in tempi brevi nell’Unione, tanto più che va messo in conto il peso politico e sociale della diaspora ortodossa, ovvero delle comunità migranti di cittadini provenienti da questi paesi che per la prima volta da secoli hanno dato vita alla nascita di Chiese ortodosse negli Stati dell’occidente, organicamente collegate alle Chiese dei paesi d’origine.
Non vi è dubbio che queste Chiese si sono conquistate uno spazio istituzionale e sociale che fa da parziale riequilibrio al ruolo certamente egemone del cattolicesimo nella gran parte dei paesi dell’Unione e rappresenta una presenza in crescita anche nell’area dei paesi protestanti o a composizione fortemente multireligiosa, al punto da porre una seria ipoteca sulla possibile rivisitazione del rapporto tra Stati e confessioni nello spazio politico e istituzionale dell’Unione Europea.
Ma la presenza organizzata dell’ortodossia in occidente incide anche sul patrimonio di valori, di tradizioni, di costumi, sulle convinzioni in campo etico che concorrono a formare l’aequis comunitario. Se non altro che per questi motivi è opportuno fare il punto e riflettere su quali sono oggi i rapporti panortodossi, e su come questi si riflettono, operano e opereranno nello spazio dell’Unione, chiedersi come si evolveranno tali rapporti, poiché anche da ciò dipende il mantenimento della pace religiosa in Europa, un rapporto equilibrato tra le confessioni e l’esistenza di un delicato equilibrio tra laicità e tendenze alla secolarizzazione, nel quadro della soddisfazione del bisogno di autoconservazione identitaria, in un rapporto di compatibilità con le esigenze di separazione e laicità degli Stati.

La rinascita degli “imperi”

Tra le cause e gli effetti della guerra in Ucraina interagiscono con il futuro assetto dell’Europa, la dimensione del suo territorio, le risorse delle quali deve e può disporre, in suo ruolo economico negli equilibri mondiali, il suo accesso ai mercati e la sua partecipazione alla divisione internazionale del lavoro. Tutto questo è irrimediabilmente connesso agli equilibri interni dell’Unione, alla composizione sociale delle sue popolazioni, al suo bagaglio valoriale, alla natura e al ruolo delle sue istituzioni.
La guerra ucraina è la cartina di tornasole che evidenzia in modo chiaro lo scontro in atto sullo scacchiere della politica internazionale di ridefinizione dei confini in un mondo multipolare reso possibile dalla sconfitta degli USA in Afganistan che ha dimostrato l’incapacità degli Stati Uniti di imporre il proprio dominio. La tendenza che sembra delinearsi è quella di una ricostruzione degli imperi. A rivendicare una vocazione imperiale sono i paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ma anche la Turchia. Altri attori che ambiscono a questo ruolo, ma possono essere definite delle potenze regionali, sono l’Iran e l’Arabia Saudita, Israele.
Su questo complicato scacchiere gioca la Gran Bretagna che. malgrado le condizioni miserrime della sua economia e la fragilità della sua unione politica (sono note le crescenti tendenze separatiste di Irlanda del Nord e Scozia) ambisce a sabotare l’unità dell’Europa al fine di frantumarla e costruire un proprio spazio grazie ad alleanze bilaterali e fomentandone le divisioni interne. (Guerra in Ucraina: la pista britannica, Newsletter Crescita Politica, Aprile 2022, N° 158).

I due Patriarcati

Per comprendere ciò che avviene oggi in Europa occorre guardare alle strategie di due attori: il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli. Il primo, retto dal Patriarca Kirill, ha stabilito un rapporto sinfonico con lo Stato russo e insieme ad esso opera per assicurarsi l’egemonia su tutte le popolazioni russofone e costituisce il cemento ideologico e valoriale della russofonia, svolgendo una funzione identitaria dei valori più tradizionali e retrivi della tradizione ortodossa. Avversario delle politiche di genere, di laicizzazione della società civile, dei diritti delle donne, di una società aperta ad un dibattito sulle ragioni del vivere che privilegia la qualità della vita e l’autodeterminazione degli individui è schierato in difesa di un’etica tradizionale dei valori e colma in proprio e per conto dell’oligarca Putin, il vuoto lasciato dalla caduta del sistema sovietico: costituisce oggi le basi ideologiche e valoriali della democratura russa.
A contendergli l’uso politico dell’ortodossia è il Patriarcato di Costantinopoli, conosciuto anche come Patriarcato Ecumenico, il primo nella gerarchia d’Onore dei Patriarcati ortodossi, che si ritiene titolare del potere di riconoscere Chiese autocefale (Chiese autonome che operano in un territorio definito).
Queste Chiese hanno un ruolo importante per i paesi nei quali la maggioranza della popolazione è ortodossa o di tradizione ortodossa, perché creano con lo Stato un rapporto privilegiato, detto tecnicamente “sinfonico” che, dividendo le sfere di competenza rispetto alla società, si rivela un formidabile sostegno dello Stato. È per questo motivo che gli Stati
dell’Est Europa che non avevano una Chiesa autocefala hanno fatto di tutto per averla perché ciò legittimava e rafforzava lo Stato. È questo il caso della Macedonia del Nord e dell’Ucraina; a dare una Chiesa auto amministrata di Stato alla Bielorussia è stato il Patriarcato di Mosca che ha concesso invece l’autocefalia alla sua Chiesa in Moldavia dove opera anche una Chiesa ortodossa legata a quella rumena.
Per concedere l’autocefalia il Patriarcato Ecumenico pone precise condizioni economiche e di potere che trovano posto nei Tomos di riconoscimento della Chiesa: chiede l’apertura di una sua rappresentanza nel paese, la proprietà di una o più chiese, qualche monastero, del quale riscuoterà i proventi economici, mentre dell’entità dei doni in denaro elargiti dai Governi degli Stati interessati non è dato sapere. Ma quel che è più importante il Patriarcato Ecumenico chiede la cessione alla sua giurisdizione della diaspora, ovvero dei fedeli emigrati fuori dallo Stato, e questo perché il Patriarcato Ecumenico che ha sede in Turchia, e quindi non ha un proprio popolo di fedeli. In tal modo il Patriarcato Ecumenico
drena le risorse dagli ortodossi soprattutto residenti nelle ricche diocesi degli Stati Uniti, del Canada e dell’Australia, nonché del resto del mondo.
Il Patriarcato Ecumenico è legato da stretti rapporti con gli Stati Uniti, a far data almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale, prova ne sia che il suo Patriarca dal 1948, Atenagoras, nel 1938 venne naturalizzato cittadino degli Stati Uniti dove esercitava il suo incarico ecclesiastico. È in questo contesto che il Patriarcato Ecumenico ha promosso la
nascita di una Chiesa Autocefala in Ucraina, riconoscendola, per contrastare la presenza nel paese di una Chiesa ortodossa legata al Patriarcato moscovita, contribuendo in tal modo allo scoppio del conflitto.
Continuando nella sua politica il Patriarcato Ecumenico ha recentemente riconosciuto l’autocefalia della Chiesa della Macedonia del Nord (denominandola Chiesa di Ohrid) e ha favorito la stabilizzazione della situazione in Montenegro, garantendo alla Chiesa Serba il possesso di Chiese, monasteri ed edifici di culto, non ha caso, altro paese candidato, retto da un governo filo occidentale. Tutto questo avviene – ovviamente per motivi religiosi – e la maggior gloria di Gesù Cristo che, risorto, immaginiamo, non possa trattenere un conato di vomito.

L’Europa di fronte all’ortodossia

I motivi per i quali tutto questo ha delle conseguenze sulla società civile risiedono nel fatto che le Chiese delle quali parliamo sono fortemente identitarie e legate a valori tradizionali e regressivi. Risentono del fatto di aver operato in società chiuse e illiberali, hanno un forte legame con lo Stato che supportano con il proprio patrimonio etico in materia di famiglia, rapporti di genere, ruolo della donna, qualità della vita e problemi di fine vita, cure palliative, ecc. Tendono ad avocare a sé il ruolo dell’assistenza attraverso strutture da esse gestite e finanziate dallo Stato, promuovono la scuola confessionale e rivendicano il suo finanziamento, chiedono l’insegnamento religioso nella scuola pubblica e l’adeguamento dei suoi programmi ai valori che esse sostengono.
Pertanto, l’ingresso dei paesi a maggioranza ortodossa nell’Unione non farebbe che rendere possibile una convergenza “naturale” con quelle componenti cattoliche integraliste eversive dell’aequis comunitario che operano in Polonia, promuovendo una legislazione fortemente repressiva dei diritti delle minoranze e delle scelte delle donne sull’interruzione della gravidanza e la gestione del proprio corpo; dell’Ungheria dove vengono adottati provvedimenti di analogo tenore; della Croazia dove la componente cattolica ha spinto la Corte costituzionale a promuovere la tutela dei diritti del feto; della Slovacchia che segue analoghe politiche sulla famiglia e i rapporti di genere. Non va dimenticato che tutte le confessioni dell’Ucraina si sono pronunciate contro la convenzione di Istambul che combatte la violenza verso le donne e quella di genere; che nel paese le minoranze sono represse, che l’uso della lingua russa era vitato anche prima della guerra, che le organizzazioni politiche delle minoranze sono vietate.
Da questa convergenza potrebbe nascere un progetto politico tendente ad introdurre profonde modifiche nell’insieme dei valori condivisi dall’Unione nelle materie eticamente sensibili e per ciò che attiene le libertà politiche e sociali. Per evitare questo pericolo occorre che gli attuali paesi facenti parte dell’Unione europea vigilino attentamente sul
processo di adesione, dilazionandolo e condizionandolo, diluendolo nei decenni, in modo da permettere che via via che il processo di adesione si sviluppa, l’ordinamento comunitario produca i necessari anticorpi per mantenere coerenza e organicità al sistema di valori dell’Unione, conformemente a quanto stabilito nei Trattati.

G. Cimbalo

Per un approfondimento di queste tematiche vedi dello stesso autore;