GLI USA TRA IL PANTANO UCRAINO E LA SINDROME CINESE

L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia, in “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252–304.
Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo-ucraino, in “Diritto e religioni” n.2 del 2021, pp. 487–512.
Autocefalia ortodossa e pluralismo confessionale nella Macedonia del Nord, Rivista telematica (https://www.statoechiese.it), fascicolo n. 13 del 2022, pp. 1-34.
Le Chiese ortodosse e gli Stati in Europa: problemi e prospettive, Laicidad y libertades. Escritos jurìdicos, 2022 (in corso di pubblicazione)

GLI USA TRA IL PANTANO UCRAINO E LA SINDROME CINESE

Mentre le elezioni di Midterm del 9 novembre si avvicinano: si voterà per rinnovare tutti i seggi della Camera dei rappresentanti e 34 seggi su 100 del Senato e 36 governatori su un totale di 50 Stati. Biden è in caduta libera nei consensi, l’inflazione cresce, avvicinandosi al 9,1%, (la più alta da 40 anni), colpendo soprattutto l’elettorato a basso reddito e di colore che aveva sostenuto il Presidente. La classe media è colpita dall’aumento del prezzo dei carburanti e dei prodotti di prima necessità. Bidem viene dato da sondaggisti al 38% con il tasso di disapprovazione vicino al 60% ed è molto probabile che i Democratici perdano la maggioranza, oggi assicurata solo dal voto del vicepresidente (Democratici e Repubblicani hanno oggi entrambi 50 seggi).
A tutto questo l’amministrazione Biden ha cercato di rispondere varando l’ Inflation Reduction Act, una legge da 750 miliardi di dollari di investimenti per l’assistenza sanitaria e il clima, che si finanzia istituendo un’aliquota fiscale minima del 15%. per tutte le società i cui profitti superano il miliardo di dollari l’anno. Si prevede che questa misura possa generare ricavi per oltre 258 miliardi di dollari per lo Stato federale nei prossimi 10 anni. 370 miliardi di dollari sono diretti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 40% entro il 2030; la gran parte delle restanti risorse hanno l’obiettivo di correggere le diseguaglianze nell’accesso alle cure mediche negli Usa, in particolare abbassando il prezzo dei medicinali. Si tratta di un provvedimento strutturale di lungo periodo i cui effetti si diluiranno nel tempo.
Il bisogno di risultati e la necessità di soddisfare le richieste delle pesanti lobbie che operano nel Congresso li ha spinti ad impegnare il paese nel sostegno all’Ucraina, ma in vista dell’imminente scadenza elettorale l’amministrazione ha bisogno di risultati immediati mentre la guerra in Ucraina è entrata in una fase di stagnazione ed è scomparsa dalle
cronache. C’è bisogno allora di guardare verso l’area del Pacifico e dirigere l’attenzione della politica estera USA verso la Cina, percepita dagli statunitensi come il vero avversario del paese. Perciò è tutto il partito che si mobilita a cominciare dalla Presidente del Congresso.

Gli USA e l’Europa

Sul piano della politica estera Biden ha cercato di superare i contraccolpi del precipitoso ritiro dall’Afganistan reimpostando la politica estera su due direttrici: attacco alla Russia, impegnandola in una guerra di logoramento in Ucraina, che se è vero che non sta costando perdite in vite umane agli americani (ma tante agli ucraini e ai russi!) ha richiesto investimenti esorbitanti in armi, per la gioia dell’industria bellica e delle agenzie di contractors di tutto il mondo, creando crescenti problemi per l’erario.
Dal punto di vista degli USA i risultati di questa strategia sembrano esserci: l’Europa è non solo nei fatti, ma anche metaforicamente, “alla canna del gas”. Il suo modello produttivo basato sull’approvvigionamento dell’energia a basso costo e sulla partnership con la Russia (gas e petrolio in cambio di tecnologia e prodotti finiti) è distrutta. È giunta così a buon fine l’attività lobbistica di ben noti oligarchi ucraini presso i congressmen americani, finalizzata a bloccare la realizzazione del Nord Stream 2, con la motivazione che non va bene per i cittadini dell’Unione Europea, ma in realtà per conservare l’attività degli oleodotti che transitano per l’Ucraina. [1]
L’operazione è stata facilitata dall’uscita dalla vita politica di Angela Merkel che aveva puntato sulla politica di cooperazione con la Russia in funzione di sostegno al modello produttivo europeo. L’invasione russa non prevista ha radicalmente spostato l’impostazione stessa del problema, consentendo agli Usa di inserirsi nel conflitto per mettere in crisi il modello produttivo europeo e trarne profitto infeudandola alle proprie forniture di gas e di petrolio a prezzi e condizioni così elevate da aumentare a dismisura i costi fissi dell’economia europea.
Un altro effetto di questa politica è stato il rilancio della NATO, ritenuta da Macron in liquidazione. L’alleanza non solo è rinata ma ha reclutato nuovi adepti. L’Ue, inoltre, è divisa dalle trame inglesi che attraverso accordi privilegiati con i paesi nordici e rapporti unilaterali privilegiati con i singoli Stati stanno distruggendo l’unità di azione dei paesi
dell’Europa continentale. Un ulteriore effetto è l’inquinamento dell’aequis comunitario attraverso l’immissione probabile di paesi a maggioranza ortodossa, accentuando le tensioni interne sull’etica e sul patrimonio culturale e valoriale dell’Unione al fine di minarne la coesione. Si aggiunga l’aumento della pressione migratoria già prodotta dalle guerre
americane del Medio Oriente e dai disastri climatici ed economici con l’aggiunta di 7 milioni di profughi ucraini e si avrà il quadro del dissesto prodotto nell’area dell’Europa.
Tutto questo facilitato da una classe politica europea completamente succube alle scelte statunitensi e inglesi e un ceto politico europeo privo di una propria visione strategica, nella quale brilla la von der Leyen, politicamente inconsistente, attorniata da uno staff di invertebrati, primo tra tutti lo sciocco Josep Borrel, Charles Michel. misogino e guerrafondaio, Presidente del Consiglio d’Europa, affiancati dalla Presidente del Parlamento Roberta Metsola, nella parte dell’oca giuliva, che hanno scelto Kyiv come meta turistica per i loro viaggi, mentre il sub agente degli USA, Mario Draghi, guidava la pattuglia dei filo-ucraini, sostituendo Jhonson, divenuto un’anatra zoppa dopo la sua defenestrazione.

Lo scacchiere del Pacifico

Ma Biden sa bene che nelle preoccupazioni statunitensi l’Europa ha un posto residuale: le preoccupazioni riguardano il Pacifico, area di sviluppo dell’economia mondiale sulla quale insistono i consumatori di Cina ed India, che insieme costituiscono un po’ meno della metà della popolazione mondiale.
Inizialmente gli usa hanno cercato di creare il vuoto lasciato dal loro ritiro dall’Afganistan affiancando alla Five Eyes (acronimo: FVEY) un’alleanza di sorveglianza che spia l’area del Pacifico e che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti l’ Aukus, un partenariato strategico-militare per la sicurezza nell’Indo-Pacifico che prevede una stretta collaborazione in settori come la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale e la condivisione di tecnologie di difesa navali. La novità più importante riguarda il fatto che Stati Uniti e Regno Unito forniranno all’Australia (sostituendosi ala Francia) la tecnologia necessaria per costruire, un’arma di deterrenza di cui finora erano in possesso solo Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito, Cina e India. Si da vita in tal modo a un partenariato strategicomilitare per la “sicurezza nell’Indo-Pacifico”, finalizzato al contenimento della Cina nella regione consentendo alla marina australiana di operare nel Mar cinese meridionale.
Il passo successivo è stato la mobilitazione della Presidente del Senato inviata in visita a Taiwan, mentre l’amministrazione giocava a nascondino, dichiarando di non aver condiviso la visita, tuttavia, seguita dalla missione nel paese di una delegazione del Congresso, a conferma che gli Stati Uniti sono pronti a mostrare i muscoli nel confronto
competitivo con la Cina e di un ipotetico attacco a Taiwan.

La politica estera russa e quella cinese

Lo scoppio della guerra Ucraina che avrebbe dovuto produrre l’isolamento economico, politico e diplomatico della Russia ha visto la diplomazia russa quanto mai attiva ed è risultato evidente quanto questa non sia affatto isolata e isolabile. Per le sue esportazioni di petrolio e gas la Russia ha spostato il suo mercato ad oriente su Cina, India e il resto
del mondo. Così ha fatto per l’esportazione di cereali. Ha evitato il default finanziario, dimostrando – avendo accumulato ingenti riserve valutarie – di aver preparato accuratamente l’economia rissa agli effetti dell’invasione dell’Ucraina, certamente meglio di quanto non abbia preparato l’azione militare.
Sta approfittando della situazione per reimpostare i rapporti e le relazioni con l’Africa e l’America Latina; è giunta ad organizzare manovre militari congiunte con Cina ed India su territorio russo, approfittando del fatto che la Cina ha incassato con favore il sostegno incondizionato alle sue rivendicazioni su Taiwan. Se l’obiettivo della politica statunitense era isolare la Russia il risultato ottenuto va nella direzione esattamente contrario.

Il ritorno di Trump

Di tutto questo sta approfittando Trump che più che un populista si rivela essere un peronista, capace di entrare in sintonia con la pancia profonda del paese, di coglierne gli umori, riuscendo a tradurli in programma politico. Gli abitanti degli Stati Uniti sono storicamente una popolazione onnivora, pronta a cannibalizzare ora e subito le risorse del paese.
Hanno sterminato senza ritegno e cinicamente le popolazioni autoctone, depredandole di tutto, uccidendole in maniera programmata con le malattia, in primo luogo con il vaiolo. Hanno messo le mani sulle risorse minerarie ed agricole, sfruttandole senza ritegno, inquinando, devastando, desertificando. Con Trump negano la crisi climatica.
Ai minatori della Virginia promette che le miniere resteranno aperte e si continuerà ad usare il carbone, ai petrolieri e ai lavoratori del settore che potranno continuare a frantumare scisti e devastare il territorio riprendendo a costruire quello che attraversa u territori incontaminati dell’Alaska; ai coltivatori che potranno usare tranquillamente le sementi trasgeniche e che se il grano ucraino resta nei silos, quello americano diviene più competitivo. Ricorda agli addetti all’industria automobilistica che la conversione del mercato automobilistico all’elettrico può aspettare, ribadisce e tutte le volete che può che è un diritto degli americani armarsi per difendersi e che portare le armi è da veri americani, e
così procedendo raccoglie consensi, come dimostrano le primarie che hanno visto i  candidati da lui sostenuti, prevalere.
Contro questa marea montante i Democratici annaspano, cercano di coltivarsi l’elettorato liberal che vorrebbero appoggiasse la loro linea di difesa del paese aggredito, la difesa dei diritti umani – poco più che una foglia di fico che nasconde la politica imperialista degli Stati Uniti.
Ciò detto non vale assolutamente la pena di stracciarsi le vesti per difendere le scelte politiche dei Democratici dal ritorno del peronista Trump.

[1] Enrico Verga, Ucraina, è una questione di soldi e la guerra è già in corso a Washington, “il sole 24 ore”, 15 febbraio 2022

G. L.