DI DEMOCRAZIE E ALTRI OSSIMORI

Alle ultime elezioni amministrative è andato a votare un numero molto basso di cittadini, per non parlare dei ballottaggi (questa invenzione idiota nata nei decenni dell’avvio dello smantellamento democratico) dove gli elettori che hanno partecipato sono stati una minoranza. Quindi consigli comunali e regionali, e relativi Sindaci-Podestà e “(ri)governatori” non rappresentano più neppure la maggioranza relativa della popolazione. Questo, per gli “eletti” non è certo un problema, anzi, si tratta di una strada imboccata ormai da anni. Si risponde ai “portatori di interessi” (ma come piace la parola “stakeholder” nei convegni dei minus habens della neolingua!) non certo alla società, di cui non si sa e non interessa più nulla.
E così non è tanto lo stupore per il basso numero di partecipanti al voto che ci coglie, ma il fatto che ancora siano così in tanti quelli che depongono la scheda nell’urna.
Dalla fine degli anni ‘80, dopo una incubazione di una decina d’anni, il restringimento della partecipazione democratica ha proceduto per accumulazione con una intensa campagna stampa finalizzata a demolire ogni traccia delle grandi mobilitazioni degli anni precedenti (racchiuse e condensate tutte dentro la cappa degli “anni di piombo”) e una mobilitazione ideologica senza precedenti finalizzata a stigmatizzare ogni tipo di impegno sociale attraverso le prime notevoli picconate all’edificio istituzionale: leggi elettorali maggioritarie (oggi passate di moda, quando si riparla di proporzionale, ma dentro un panorama ormai completamente trasformato), elezioni dirette, svuotamento delle assemblee, per tacere di tutto il riassetto sociale che passa dalla fine della scala mobile fino all’abolizione dell’art. 18.
È interessante notare che se il ventennio berlusconiano ha inciso molto sui costumi (una specie di anni ‘80 infiniti) chi ha messo in atto i diktat della scuola neo(ordo)liberale è stata la sinistra di governo. E questo non perché la destra sia mai stata in qualche maniera “anticapitalista” (anche se sussiste il mito di questa misteriosa destra sociale, la quale in realtà adottava una critica al capitalismo di tipo morale ed etico), ma proprio per la ricerca, da parte della sinistra di nuovi diktat ai quali aderire, in maniera trinariciuta e per rappresentarsi come “forza responsabile”.
Il passaggio renziano non è stato un accidente di percorso. Renzi, seppur non inevitabile, non ha conquistato il PD con un colpo di mano (o, perlomeno, non solo con quello) ma perché dava una interpretazione “vincente” e “postideologica” e alla fine convincente di cosa dovesse essere la sinistra ex-pci. Lasciamo perdere che si trattasse di un raffazzonamento di blairismo fuori tempo massimo con il berlusconismo senza Berlusconi (e perciò molto meno divertente) e, alla fine, di uno dei più pietosi bluff degli ultimi 70 anni. Conta il fatto che abbia avuto un consenso reale e sia stato visto come il nuovo dall’establishment. Lui e la sua squadra di giovani beccamorti hanno quindi portato avanti, indefessi, la distruzione formale e reale di ciò che restava della democrazia italiana. Finito il lavoro che doveva fare, il rignanese è tornato a casa, ovviamente pieno di soldi lui e chi l’aveva seguito, anche se (come il Lotti) con qualche causa giudiziaria per conto terzi (da “lampadina” a “fusibile” il passo è breve). Nel frattempo però qualcosa era cambiato. Se Berlusconi era costantemente attaccato dalla stampa, non in quanto capitalista al cubo, ma per via delle cattive maniere (oggi è invece uno statista) Renzi fu osannato in maniera completamente acritica, cosa che era già successa, a dire il vero, con Ciampi qualche anno prima e, ovviamente, con Monti il salvatore. In pratica, a partire dagli anni ‘90, la democrazia parlamentare è stata prima svuotata dall’interno e poi demolita anche dal punto di vista formale. Oggi siamo di fronte a paesi democratici dal punto di vita nominale che però hanno caratteristiche completamente diverse rispetto al concetto stesso di democrazia, per come lo si poteva intendere fino a qualche decina di anni addietro.
Innanzitutto la grande marea populista di qualche tempo fa pare essersi sgonfiata e, per quanto essa fosse ambigua politicamente e avesse nelle sue corde anche una certa dose di pulsioni negative, rappresentava perlomeno l’emergere di una insoddisfazione di massa verso le élite (che venivano identificate in maniera grossolana e non certo secondo un’analisi di classe. Ma dopo la distruzione sistematica della politica non c’era molto da aspettarsi). In Italia il M5S raccolse, meno di 10 anni orsono, una grande e confusa spinta mossa dalla delusione rispetto alle ricette che la finanza internazionale aveva pensato e i governi nazionali messo in atto. Tuttavia, una forza politica non basata su una visione generale e, soprattutto, non avvezza al potere e alla sua forza attrattiva, non poteva dare nessuna garanzia.
Il primo governo “Giallo/Verde” legittimamente emerso dalle elezioni del 2018 è stato messo nel mirino sin da subito. E non per quanto riguarda le boutade del capo della Lega, insignificanti e di nessun interesse per le classi dominanti, ma per alcuni (seppur minimi) aspetti del M5S. L’attacco ad alzo zero verso Conte (certo non Che Guevara) e verso il Reddito di cittadinanza (un provvedimento sostanzialmente inutile, ma che aveva fatto emergere la vera situazione dei redditi in Italia) dimostravano che il “pilota automatico” di Draghi era una realtà concreta.
“pilota automatico” vuol dire che la politica, i partiti, i rappresentanti “democraticamente eletti” non possono occuparsi delle questioni economiche e, tantomeno, della politica estera. Questi due aspetti non appartengono ai governi ma sono stati direttamente assunti dal capitale finanziario secondo i dettami dell’ordoliberismo. Una vera e propria ideologia totalitaria.
Così è arrivato al potere direttamente l’emanazione del capitale finanziario. Draghi. Un “cervello parziale” (secondo la descrizione che Camilleri dava di un certo tipo di persone). Totalmente indifferente persino alla forma democratica, insofferente verso il Parlamento, attorniato da partiti che hanno scelto ben volentieri di farsi commissariare e che decide su materie fondamentali come la politica estera e la guerra senza neppure darsi la pena di
passare da un consesso assembleare ormai del tutto bonificato dalla discussione ovviamente di rispondere ad un paese in larga maggiornza ostile alla guerra. Un finanziere che ci sta portando al disastro economico con scelte di asservimento penoso verso una NATO ricostruita e sempre più bellicosa, che non risponde ai giornalisti, e che ha
scelto come Ministro degli esteri un totale cretino come Di Maio (Il che conferma perfettamente la cessione della politica estera a terzi).
Certo, in autunno, bisognerà vedere come le classi dominanti italiane, in sofferenza estrema per i costi dell’energia, reagiranno di fronte alla scelta di privilegiare quelle transnazionali. Se FDI avesse una classe dirigente appena meno pietosa di quella che ha (tutta persa dietro alle cazzate dei valori tradizionali della famiglia, identitarismo speculare alle lotte “civili” della sinistra. Quando hai perso le basi ideologiche non ti rimane che
l’antropologia) potrebbe avere le praterie aperte. Ma non succederà. Anche la destra “estrema” deve rispondere al PUL, il pensiero unico liberale. Pensiero che, a guardarlo con un certo distacco, assomiglia a quello del giapponese che combatteva nella giungla ancora nel 1970. Il mondo si sta trasformando. I paesi non “occidentali” sono stanchi
di giocare di rimessa, l’Europa e l’Italia in prima fila invece stanno con il vecchio e la decadenza e sono pronte a combattere una guerra per conto terzi completamente folle. I rappresentanti dell’occidente (una minoranza della popolazione mondiale) si fanno fotografare come difensori della libertà nel mondo. E in questo fervore bellicista, con
una stampa che racconta fatti completamente inventati (la guerra in Ucraina è davvero la cartina al tornasole), non c’è spazio per le analisi, per la riflessione e neppure per il dissenso. Si può mettere da parte anche la farsa della democrazia.
Basta ignorare l’impoverimento generale del paese, la tragedia portata dalla riforma Fornero (con 70enni che precipitano dai ponteggi)…..anzi forse l’aveva già scritto molto meglio Giorgio Gaber 44 anni fa: “Lasciamo perdere il pessimismo, l’insofferenza generale dei giovani, i posti di lavoro, l’instabilità, gente che non ne può più, la rabbia, la droga, l’incazzatura, lo spappolamento, il bisogno di sovvertire, il rifiuto, la disperazione.
Cerchiamo di essere realisti. Non lasciamoci trarre in inganno……..dalla realtà”
Che la democrazia parlamentare fosse un po’ una farsa (seppure con alcuni pregi) l’avevamo sempre pensato, ma certo neppure con la più accesa fantasia avremmo pensato di vedere lo spettacolo attuale.
Quel 40% che va ancora votare ci sembra davvero una cosa da non credere.

Andrea Bellucci