Andalusia, la debacle socialista

In Andalusia i conservatori del Partito Popolare hanno vinto le elezioni, conquistando 58 seggi su 109 del Parlamento regionale. Si tratta senza dubbio di una vittoria per Juanma Moreno che con questo risultato “storico”, in quanto è la prima volta che il suo partito può governare da solo nella regione dopo la caduta del franchismo, può grazie ai seggi dei quali dispone non dover governare in coalizione con il partito di estrema destra Vox, come ha dovuto fare di recente nella regione di Castille-et-Leon. Una nuova alleanza con Vox avrebbe indebolito il nuovo presidente del partito
conservatore, Alberto Nu’nez Feijo’o, arrivato alla guida del PP all’inizio di aprile adottando una linea moderata che dovrebbe permettere ai popolari di porre una pesante ipoteca sul governo nazionale. Tuttavia il risultato elettorale se si tiene conto dei 14 deputati di Vox, conferma la portata della svolta a destra di questa regione, con 72 deputati della destra, contro i 37 seggi della sinistra divisa tra Psoe, Por Andalucía e Adelante Andalucía.
Moreno aveva governato dal 2018 con il sostegno di centrodestra Ciudadanos che a questa elezione si è liquefatto, coerentemente alla crisi che attraversa a livello nazionale. Il test elettorale che ha coinvolto sulla carta almeno 6 milioni di elettori ha registrato un’astensione superiore al 50% che ha certamente facilitato il successo del PPE. Si approfondisce così la crisi dei socialisti che avevano governato la regione dal 1982 al 2018.
Ma le elezioni andaluse confermano la crisi di tutti i governi in carica, piegati dalle conseguenze della gestione dell’epidemia di covid non ancora conclusasi e che minaccia nuove fiammate, dalla crisi economica, aggravata dalle conseguenze della guerra ucraina, dalla crisi energetica, dal fortissimo aumento dei beni di prima necessità, dalle disuguaglianze crescenti, dalle povertà diffuse. Il segnale arriva chiarissimo dall’esito delle elezioni in Francia, dalle amministrative in Italia, dai sondaggi effettuati sull’elettorato tedesco, dai crescenti problemi per il governo di Johnson, malgrado la spavalderia incosciente del leader britannico che per uscire dalla crisi vede come soluzione quella più classica per il capitalismo: la guerra e la produzione bellica sostitutiva di quella civile.
La crescita esponenziale dell’astensione, ovunque, segnala una crisi di sistema e la consapevolezza della maggior parte degli elettori che i governi si sono sempre più ridotti in comitati d’affari impenetrabili che sono formate da lobby intercambiabili che pur etichettandosi in modo diverso, perseguono tutti il medesimo fine, con gli stessi metodi,
escludendo che i cittadini possano modificare le loro scelte. Ne è un esempio evidente la politica bellicista dei governi europei, perseguita con pervicacia malgrado la disapprovazione crescente dei popoli che vogliono la pace e rifiutano la guerra come soluzione delle controversie internazionali.

La Redazione