Zelens’kyj e il gobbo

Il discorso di fine anno 2021, durato 21 minuti, il Presidente Zelens’kyj è stato lungo e noioso, ad unanime giudizio di chi lo ha ascoltato, mentre invece, parlando alla Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, 19 febbraio 2022, i suoi toni erano già cambiati. Segno evidente che lo staff originario di trenta persone era stato integrato con altri estensori dei suoi discorsi, in vista di appuntamenti più impegnativi.
Il suo guardare alla telecamera, come solo un attore di grande professionalità sa fare, le parole selezionate con cura e pesate, diverse a seconda degli interlocutori ai quali si rivolge, i messaggi di resistenza ai coraggiosi ucraini che combattono, fanno parte di una strategia di comunicazione di stampo populista, studiata e finalizzata a manipolare
sentimenti ed emozioni, una comunicazione i cui contenuti vengono trasmessi in modo estremamente efficace e studiato.
È del tutto evidente che l’esperienza politica e la comunicazione di Trump ha fatto scuola e non solo nella comune abilità nell’uso del gobbo ma anche nel frequente ricorso alla retorica, anch’essa ispirata a un format che questa volta riguarda la
figura d’insieme del leader.
Preoccupa, e al tempo stesso è necessario, sapere che dietro i discorsi di Volodymyr Zelens’kyj, che hanno incantato per abilità oratoria i parlamenti con i quali si è collegato sta uno staff di professionisti della comunicazione. Il nucleo originario di questo teamwork è costituito dagli sceneggiatori della serie TV che lo ha reso famoso e che ha gestito la sua campagna elettorale con successo. Si tratta di una squadra affiatata e collaudata che organizza le giornate del Presidente, che sa come usare i social per ottenere consenso.
Ma l’abilità dimostrata per destreggiarsi tra i problemi della geopolitica, necessaria da quando l’Ucraina è in guerra, difetta per ingenuità, mostra poca conoscenza delle tecnicalità istituzionali delle quali le richieste politiche avanzate di aiuto a alleati e amici necessitano, denota certamente un certo avventurismo, frutto di auto esaltazione e
condito dalla convinzione di stare scrivendo la storia.
Questo è certamente vero, ma va fatta una riflessione innanzi tutto in relazione agli interessi e ai bisogni del popolo ucraino e soprattutto in rapporto al prezzo che sarà obbligato a pagare per le cose che chiede. Certamente le persone che sono state poste al fianco di Zelens’kyj sono riuscite a trasformare un attore in un Presidente e in un eroe, ma al prezzo di chiamarlo a recitare una sorta di pericoloso reality, dove il popolo ucraino è coinvolto non come comparsa, ma certamente come attore, insieme ai popoli d’Europa e di Russia, per non dire del mondo.

Il peso della guerra

Zelens’kyj e il suo staff dovrebbero sapere che una guerra vera è cosa diversa da una serie TV, produce molti lutti e rovine, scava solchi profondi, abissi di odio, incolmabili. E tuttavia, nel loro modus operandi, sembra esserci la mano di uno (o più) ingressi recenti di persone che ritengono di possedere una visione di lungo periodo del tempo, degli eventi e della storia, una visione dilatata, millenaria, tipica di chi agisce per fede (o fanatismo), piuttosto che utilizzando ragione e razionalità, che nascondendosi dietro fumi d’incenso e polverosi libri sacri, si crede depositario della storia millenaria di Rus’ e ancor più della conversione degli slavi all’occidente cristiano.
Se così fosse occorre avere paura, tanta paura: quella paura suscitata e cercata, ma spiegata e visualizzata, che ha un riscontro nei video di propaganda che esportano l’ipotesi di guerra sul resto del mondo, trasformando la guerra in atto in scontro globale, video prodotti e diffusi, non a caso, dall’entourage mediatico del Presidente.
Non si tratta di un sottoprodotto mediatico dello staff che presiede alla comunicazione, se si guarda agli effetti speciali di questa tecnica utilizzata per comunicare con il Congresso degli Stati Uniti, che è stato abilmente manipolato, tanto da indurre a scatti d’ira anche un addormentato, ma navigato politico, come Biden. Mentre la violenza dilaga, le bombe cadono e tre milioni di ucraini scappano, e dieci sono sfollati nel proprio paese, basta aggiungere alla torta qualche decorazione, qualche effetto speciale e sembrerà allo spettatore di aver vissuto un nuovo tragico episodio della serie di un reality che si svolge tra realtà e fantasia, ma che gli sceneggiatori hanno costruito a tavolino per realizzare la campagna mediatica che è stata loro commissionata dell’orso russo cattivo. Sono tutti così ipnotizzati dalla mimica e dalla dialettica di Zelens’kyj, al punto di non preoccuparsi delle sue richieste che ci porterebbero dritti dentro la terza guerra mondiale.
La via d’uscita da questa situazione richiede che si abbandoni l’emotività per usare la ragione, evitando di lasciarsi condizionare dai discorsi ad effetto, dall’oratoria, dal sacro furore del Presidente ucraino e di lasciare spazio alla diplomazia che richiede silenzio, al dialogo tra capi di Stato che si parlano e non si insultano. È in atto non una guerra
santa, ma uno scontro d’interessi economici e geostrategici, ai quali solo un  compromesso può dare una soluzione.
Il problema è sfuggire alla retorica di Zelens’kyj e alle mire dittatoriali di Putin per cercare un compromesso possibile e ragionevole, che comprenda il riconoscimento dell’autonomia e dell’auto amministrazione delle nazionalità; distingua tra le responsabilità del popolo russo e quelle di Putin, che ha scatenato per primo questo orrore e poi ne ha perso il controllo mediaticoricorrendo ad una manifestazione da stadio ma non riuscendo a utilizzare i social; tutto questo senza restare vittima della meravigliosa macchina da guerra messa in piedi dai collaboratori di Zelens’kyj, sempre che non si decida di essere manipolati dall’accorto e molto professionale utilizzatore di un gobbo.