Le due destre

La visita di Letta ad Atreju, la rassegna dell’estrema destra italiana e le convergenze su bipolarismo e maggioritario fra Letta e Meloni dimostrano, anzi certificano, una verità evidente da decenni.
Ovvero che il PD ha concluso il percorso avviato con la liquidazione del PCI, 30 anni orsono (in verità messo in moto un buon quindicennio prima a PCI ancora in vita, insomma) e che, senza passare dalla parti della socialdemocrazia, è approdato direttamente dall’altra parte.
Non credo sia sbagliato definire il PD un partito di destra. Non per una qualche forma di “tradimento” degli ideali di gioventù (del resto poco frequentati anche nel tardo PCI) ma proprio per la collocazione strutturale di quella formazione. Mercato come ultimo orizzonte dell’umanità (e non come fenomeno storico, cosa della quale erano invece
consapevoli anche i liberisti più estremi come Hayeck, ad esempio) battaglie politiche esclusivamente indirizzate verso la difesa di “diritti civili” sganciati completamente da qualunque idea di giustizia sociale; per cui un miliardario omosessuale è sullo stesso piano di un omosessuale disoccupato o precario.
Sono battaglie ormai sposate da un’amplissima destra liberale e liberista che non ha nulla da obiettare sulla decadenza di valori che il capitalismo ha sempre triturato essendo il suo fine il profitto. Questa destra liberale e liberista ha come “nemico” un’altra destra, che rappresenta la parte del capitale sconfitto dalla globalizzazione e che non ha, a sua volta, nulla da obiettare sul capitalismo, ma che si distingue per la difesa di presunti valori e radici. Insomma, lo scontro è su quella che una volta si sarebbe chiamata sovrastruttura.
Beninteso, una destra che appoggia i diritti civili è sempre meglio di una che si richiama ai valori della patria, delle radici e di tutto l’apparato clerical-reazionario. Ma, alla fine, sempre destra è.
Se avessimo da combattere il fascismo con le armi andrebbe bene anche allearsi con questa destra per abbattere il nemico, ma, come è storicamente accaduto, il giorno dopo il 25 aprile saremmo su sponde opposte.
Non essendoci un fascismo in armi contro cui combattere e, tanto meno, un 25 aprile, personalmente credo che non rimanga altro che la terza condizione. Ovvero, quella di essere su sponde opposte.
Tra l’altro anche sul piano dei diritti civili, ovvero l’universalismo astratto e alieno a qualunque composizione sociale, la destra liberale recita in realtà una farsa indegna. I passi avanti fatti anche su questi piani sono minimi, per non dire ingiuriosi. E se, alla fine, sulle questioni del potere reale c’è un accordo come quello rappresentato ad Atreju (seguito dal cordiale caffè fra Zingaretti e Storace) anche la foglia di fico della recita “liberal” all’americana cade dimostrando la vacuità di una destra che ormai copre tutto l’arco parlamentare.
Le recite annuali sul “pericolo fascista” (un fascismo ormai rappresentato come una specie di Gambadilegno, il cattivo di Topolino, prosciugato da ogni elemento di classe) sono, appunto, recite. Ad uso del popolino che si ritiene poco più che deficiente. Come la ridicola e ingiuriosa commedia del pericolo “leghista” alle ultime elezioni regionali, in
maniera da votare Giani per salvare la “rossa” Toscana dalla discesa dei barbari.

A. B.