Happy birthday, Brexit!

Il primo gennaio u.s. la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha compiuto un anno, anche se non tutte le clausole previste dall’accordo del dicembre 2020 hanno trovato piena attuazione. La fortuna elettorale dell’attuale Primo Ministro, Boris Johnson, volgono al peggio; egli è stato il più radicale brexiter e sulla riuscita del distacco dal vituperato continente ha basato la sua ascesa al potere, promettendo “magnifiche sorti e progressive”, che non era in nessun modo in grado di mantenere, non è, però, a causa dello stato dell’economia britannica, susseguita allo
storico distacco dagli altri paesi dell’UE, che il suo posto a Downing Street vacilla vistosamente. È la leggerezza, la superficialità, l’andamento ondivago con cui ha affrontato il Sars-Cov-2 che ne ha messo in discussione la leadership. La stampa ha spesso, troppo spesso, amplificato i suoi presunti successi, come la vittoria alle ultime elezioni, frutto più del sistema elettorale e delle incertezze laburiste, che del numero reale dei consensi. Le alternative che si contendono il suo posto non lasciano intravedere nulla di esaltante, se la concorrente più accreditata è tale Elizabeth (Liz) Truss, già convinta sostenitrice della permanenza nell’Unione ed ora Ministro degli Esteri, delegata a trattare da posizioni tenacemente scissioniste per risolvere il garbuglio irlandese. Ma al di là dei festini alcolici nei giardini della residenza del premier in epoca di stretto lockdown, che stanno seriamente compromettendo il bufalo biondo inglese, qual è il risultato economico della fuoriuscita britannica?

Dogane e confini

L’impossibilità materiale di ricostituire una barriera doganale tra Ulster e Repubblica irlandese ha generato un accordo ingestibile: la dogana per le merci in transito tra Unione Europea e Regno Unito è stata posta nel tratto di mare tra le due isole. Ciò ha complicato notevolmente le pratiche doganali, ma ha sancito un distacco virtuale dell’Irlanda del Nord dal resto della nazione; di fatto il paese è approdato ad uno stato privilegiato, avendo facilità di commercio sia con l’Ue che con l’isola britannica, anche se i primi scambi sono più semplici. La maggioranza politica nell’Ulster è ancora protestante ed unionista, ma la componente cattolica che si batte per l’unificazione dell’isola sta per attuare il sorpasso demografico e un eventuale referendum sulla permanenza del paese nel Regno Unito si fa via via più incerto: gli interessi economici iniziano, tra l’altro a premere per una soluzione unificatricedelledue entità irlandesi,
Galles e Cornovaglia, che a suo tempo hanno votato in maggioranza per il leave, stanno rivedendo la propria posizione, in sintonia con l’opinione pubblica britannica che giudica deludente i risultati della scissione (circa il 40% di coloro che avevano votato per Brexit si dolgono della loro scelta, contro un 16% dei coloro che votarono per il remain e che oggi si sono ricreduti).
La vittoria del SNP (Scottish National Party) nelle recenti elezioni dello scorso maggio ha rafforzato Nicola Sturgeon, Premier scozzese, a richiedere un nuovo referendum dopo otto anni per separarsi dall’Inghilterra, con la pressoché totale probabilità di vincerlo, questa volta.
Le nuove barriere doganali non procurano solo problemi politici, ma si stanno riverberando su di una crisi di movimentazione delle merci nei porti inglesi: per aggirare infatti le lunghezze burocratiche relative all’importazione e all’esportazione le navi preferiscono attraccare nei porti della repubblica irlandese, con danno economico di quelli britannici e conseguenze gravi sull’occupazione.

Il nodo immigrati

Dal gennaio 2021 i cittadini europei sono divenuti stranieri nel Regno Unito e quindi hanno dovuto lasciare il paese. Questo ha creato notevoli falle nelle occupazioni che essi ricoprivano. La più evidente e notoria è stata quella degli autotrasportatori, un mestiere che i sudditi di Sua Maestà non hanno più voglia di fare; partiti i polacchi sono andati in tilt gli approvvigionamenti; si sono formate code nelle stazioni di rifornimento di carburante, gli scaffali dei supermercati scarseggiavano desolatamente di mercanzie, i container stazionavano nei porti. Il governo è corso maldestramente ai ripari proponendo agli autotrasportatori un visto temporaneo di tre mesi, che è stato ovviamente non molto apprezzato dagli stessi; poi si è pensato di ricorrere all’esercito. Ma se i trasporti su gomma sono stati sotto l’attenzione spasmodica dei media, altri settori hanno sofferto la penuria di manodopera. Prima di tutto la ristorazione e poi l’agricoltura con le derrate destinate a marcire nei campi; per alcuni un colpo mortale alla produzione agricola britannica. L’assenza improvvisa e forzata di molti immigrati deve investire anche il settore immobiliare: i quartieri di lusso della capitale godono ancora di buone valutazioni e le richieste per investimento sono ancora sostenute, ma cosa ne sarà degli affitti nelle periferie?

Il commercio estero

Una delle scommesse della Brexit era quella di aprire al Regno Unito nuovi sbocchi commerciali, una volta che si fossero rotti i vincoli del mercato comune. L’obiettivo è stato clamorosamente fallito. Per di più nell’altra sponda dell’oceano si è verificato un deciso cambio di clima: ad un Trump supporter della secessione è subentrato Biden
intenzionato a ricucire i rapporti col vecchio continente. Recentemente la Gran Bretagna ha iniziato a tessere un trattato commerciale con l’India, ma nel complesso attualmente il bilancio è negativo. Secondo la Camera di Commercio Britannica l’economia del paese è “meno globale di prima”. Le esportazioni sono calate del 14% in un anno, perché il grosso dell’interscambio del Regno Unito era con il resto dell’UE: in particolare, le esportazioni verso i tradizionali partner sono diminuite del 60% per il settore dell’abbigliamento e delle calzature, del 40% per la frutta e verdura. Ed il
problema non è congiunturale. L’unico accordo a tutt’oggi siglato, potrà produrre fra quindici anni una crescita del Pil dell’0,8%, circa un centesimo di quanto valeva l’interscambio con l’Europa. Il governo, in difficoltà, cerca di attribuire la responsabilità alla pandemia, ma l’interscambio globale è altrove in crescita; per esempio, quello tra Stati Uniti ed Europa è aumento del 18%, mentre quello tra Europa e Cina del 17%. Per effetto della Brexit, secondo fonti ufficiali, il Pil tenderà a scendere del 4,5%, mentre l’effetto del Covid 19 avrà un impatto negativo dell’1,5%. Le cose per il commercio
non andranno a migliorare se dal gennaio di questo anno sono entrati in funzione controlli doganali più stringenti e nel prossimo luglio i generi alimentari potranno subire ispezioni sanitarie. Ne faranno le spese soprattutto le piccole aziende e i rivenditori al minuto, che vedranno salire i costi e alcune di loro non saranno in grado di sbrigare le necessarie complicate pratiche doganali [1].

La finanza che fu

L’altra scommessa forte della Brexit era quella di trasformare il Regnio Unito nel centro mondiale della finanza, fidando sull’importanza che la piazza di Londra già possedeva. Ad aprile dello scorso anno già più di 400 società finanziarie avevano abbandonato la Gran Bretagna per approdare a piazze europee; le sedi preferite sono Dublino, Lussemburgo, Francoforte e Amsterdam. “Le banche con sede in Gran Bretagna hanno spostato oltre 900 miliardi di sterline di asset (circa il 10% dell’intero sistema bancario britannico) mentre le compagnie assicurative e gli asset manager hanno trasferito più di 100 miliardi di sterline tra asset e fondi. Queste mosse hanno portato finora a circa
7.400 trasferimenti di posti di lavoro”[2]. Nella seconda metà dell’anno la City di Londra si è mossa al contrattacco segnando un recupero nei confronti delle piazze europee per due ordini di motivi: il primo è stata la riluttanza degli agenti di cambio ad abbandonare la loro sede tradizionale ed il secondo la determinazione di Wall Street nel sostenere a
mantenere la capitale britannica quale luogo previlegiato dei propri affari. In altri termini i mercati finanziari stanno opponendo una resistenza viscosa al cambiamento; una riprova della validità, almeno parziale e settoriale, della teoria economica cosiddetta del QWERTY [3]. Resta il fatto che, anche se Londra riesce ancora a risultare la prima piazza d’affari del continente europeo, il suo insediamento non è più stabile ed incontrastato come un tempo.

Produzione e consumi

Il prodotto interno lordo della Gran Bretagna segna una moderata ripresa, troppo moderata secondo gli analisti, a valle della pandemia. I dati della produzione sono in calo: il dato di ottobre 2021 fa registrare un -0,6% su base mensile.
Nei primi tre trimestri la crescita del Pil ha segnato un buon +5,5%, restando comunque al di sotto del 2% rispetto ai livelli precovid; la Germania che ha registrato un più modesto + 1,8%, sta sotto al livello del quarto trimestre del 2019 solo del 1,1%. L’anomalia si spiega col pessimo andamento dell’economia britannica nei primi due trimestri (l’Italia con +5,7% [4], è ancora sotto a due anni fa del 1,2%). Dati definitivi sul quarto trimestre e quindi sull’intero arso del 2021 ancora non ci sono, ma le previsioni non sono rosee. I consumi sono in calo del 7,3% rispetto al 2019, anche se le spese alimentari delle famiglie sono aumentate; ci sono settori in forte calo: ristorazione e alberghi, infatti, registrano una perdita di consumi, rispettivamente, del 27,3% e di quasi il 35%, i servizi culturali e ricreativi del 21,5%; e ci sono anche altri comparti con cali a doppia cifra, come i trasporti (-16%) e l’abbigliamento e le calzature (-10,5%). Il governo cerca
di attribuire tutti i problemi creatisi alla pandemia, ma se per turismo e servizi ricreativi può avere ragione, per i trasporti la giustificazione regge meno, lo stesso vale per la ripresa dopo l’anno terribile del 2020, che per il paese fa registrare dei risultati meno buoni di altri, che pure attraverso il contagio sono passati.

Il ruolo geopolitico

Per quanto gli inglesi si illudano ancora di essere a capo di un impero, il  Commonwealth non esiste più; che la regina Elisabetta sia tuttora anche la regina dell’Australia è un fatto del tutto formale di cui i cittadini australiani non si ricordano nemmeno; le isole Barbados il 30 novembre sono divenute una repubblica, uscendo formalmente dal Commonwealth, e non è che l’inizio. Se il Regno Unito pensava di realizzare con la Brexit una piena libertà di manovra nello scacchiere mondiale si è sbagliato; il suo peso quale quinta colonna statunitense all’interno dell’Unione Europea è andato perduto ed ora rimane una costola degli Usa, come dimostra il recente accordo del 15 settembre 2021 che i due paesi hanno siglato con l’Australia (AUKUS), in funzione del contenimento dell’espansionismo cinese nel sud pacifico.
Cresce invece la una politica di contrasto commerciale con la Francia, e quindi con un suo vecchio partner (i rapporti fra Gran Bretagna e Francia sono divenuti nel corso dello scorso anno particolarmente tesi sul problema dei diritti di pesca nelle acque della Manica e sui migranti). Il distacco dal continente ha, nel complesso, reso meno incisivo il ruolo geopolitico del Regno Unito, ma per di più il suo legame stretto con l’imperialismo statunitense rischia di trascinarlo nella decadenza akka quale gli Usa stanno andando incontro [5].

Le fortune elettorali

Le fortune politiche del vulcanico Boris sembrano ormai compromesse: costretto ad allentare le misure contro la pandemia per tenere a sé i deputati del suo partito, corre un rischio non troppo calcolato, ma necessario. Intanto i conservatori pensano seriamente alla sua sostituzione, anche se le alternative non promettono nulla di buono. Sta di fatto che i sondaggi danno i laburisti in vantaggio ed il segnale venuto da un’elezione suppletiva sono sconfortanti per i tory: la circoscrizione del North Shropshire era da quasi un secolo a loro appannaggio ed il 20 dicembre u.s. lo hanno
clamorosamente perso, cedendolo al terzo partito, quello liberale democratico. Ma, come detto, i delusi della Brexit sono nettamente superiori a coloro che si sono ricreduti, per cui è per lo meno dubbio che oggi una eventuale, quanto improbabile, consultazione popolare volgesse a favore del leave, considerando i problemi insorti nell’Irlanda del Nord e nel Galles, senza pensare alla Scozia dove già la maggioranza si era espressa per restare nell’Unione Europea. Il Regno Unito ha imboccato una strada per ora senza ritorno, e comunque irta di pericoli.

[1] I dati citati si possono rinvenire in NICOL DEGLI INNOCENTI, Brexit un anno dopo: danni evidenti, benefici ancora tutti da scoprire, in Il Sole 24 ore, a. 158, n° 3, martedì 4 gennaio 2022, p.11.
[2] https://euractiv.it/section/brexit/news/brexit-440-societa-finanziarie-hanno-abbandonato-la-city/
[3] Sono le prime sei lettere della tastiera da scrittura. È ben noto che la disposizione delle lettere nella tastiera non corrisponda ad alcun criterio logico o di economicità
di movimento, ma la tastiera così è nata ed ogni modifica, anche se migliorativa, cozza contro l’abitudine ormai acquisita dai dattilografi ed al suo utilizzo pressoché
automatico e quindi risulta inattuabile.                                                                             [4] Ad inizio anno gli “analisti” di Goldman Sachs annunciava il volo dell’economia britannica che, secondo loro, avrebbe raggiunto nel corso del 2021 una crescita di ben il 7,8%; cfr.; NICOL DEGLI INNOCENTI, Goldman vede il grande rimbalzo dell’economia britannica: +7,8%, in Il Sole 24 ore, a. 157, n° 114, martedì 27 aprile 2021, p.10.
[5] Un recente articolo (JEFFREY D. SACHS, La grande crisi dell’America ha una storia lunga 40 anni e un futuro tutta da scrivere, in Il Sole 24 ore, a. 158, n° 18, mercoledì 19 gennaio 2022, p.15) l’autore fa risalire le origini dell’attuale crisi democratica del paese ai tempi della presidenza di Richard Nixon e della nomina che egli fece alla Corte Suprema di Lewis Powell, le cui sentenze hanno profondamente inciso sui valori fondanti della Stato. Le previsioni per l’avvenire prospettate non sono esaltanti: “Il tumulto che attraversa l’America ha implicazioni negative a livello internazionale. Gli Stati Uniti non possono promuovere riforme a livello globale, se non sono neanche in grado di governare se stessi. […] Gli Stati Uniti non sono tornati quelli di un tempo, almeno non ancora. Sono ancora nel pieno della lotta per contrastare decenni di corruzione politica durante i quali i bisogni della società sono stati trascurati. L’esito del confronto è ancora incerto e le prospettive per gli anni a venire sono pieni di pericoli sia per gli Stati Uniti che per il mondo”.

Saverio Craparo