Che cento fiori fioriscano

Nella newsletter n° 11 de “La Bussola” del 16 gennaio 2022 Giampiero Landi intervenendo sulle elezioni del Presidente della Repubblica, riferendosi all’incipit dello scorso numero dell’editoriale di Crescita Politicam nel quale dicevamo che non ci saremmo occupati del dibattito su chi eleggere Presidente della Repubblica, si dice preoccupato del disinteresse dei libertari per questa scadenza, ancor più quando ciò avviene da parte nostra, che siamo solitamente attenti alla politica istituzionale; prosegue poi ad argomentare nel merito dei possibili esiti della vicenda e sulle conseguenze che questa avrà sulla vita politica e sociale.
È evidente che da una parte c’è la nostra consapevolezza di non poter in alcun modo incidere sulle scelte, ma soprattutto ad ispirare le nostre scelte era l’urgenza delle altre tematiche da affrontare. Ciò ha prodotto un’incomprensione alla quale intendiamo porre rimedio.

Sulla scelta del Presidente della Repubblica

La figura del prossimo Presidente non ci è indifferente (vedi editoriale): come per nostra antica tradizione siamo molto attenti ai temi istituzionali che ci sembrano rivestire un ruolo non trascurabile nell’evoluzione delle lotte sociali.
Già Bakunin asseriva che era preferibile vivere ed operare politicamente nell’Inghilterra liberale che nello Stato autocratico zarista; abbiamo sempre trovato paradossale che i marxisti, convinti che lo Stato fosse una superfetazione senza avvenire dell’assetto economico borghese, abbiano dedicato estrema attenzione alle questioni istituzionali e che, d’altra parte, gli anarchici convinti del ruolo nefasto dello Stato, ne abbiano così poco studiato l’evoluzione dopo gli anni ’50 dello scorso secolo. limitandosi ad indagare sulla deriva burocratica di quello sovietico, ma non andando molto oltre.
A nostro avviso, è merito dell’anarchismo, – ci permettiamo di dire soprattutto comunista – di aver ripreso dopo il 1968, l’analisi sia della struttura dell’economia che dell’evoluzione dello Stato e delle istituzioni, del loro ruolo nel perpetuare la struttura di dominio del capitale sulle classi subalterne. Abbiamo indagato sulle cause delle crisi
ecomomiche, sulla trasformazione delle istituzioni, sul ruolo delle multinazionali e della finanza, sui mutamenti della divisione internazionale del lavoro, sulle trasgormazioni del modo di lavorare e su tanto altro e continueremo a farlo.
Tuttavia, anche se i nostri percorsi politici hanno seguito vie diverse, molte conclusioni ci trovano concordi, forse perché non abbiamo rinunciato al gusto dell’analisi delle situazioni concrete in cui ci troviamo a vivere, senza chiudere gli occhi, nascondendoci dietro schemi tanto astratti quanto sterili.
Affrontiamo nel merito le questioni che il compagno affrontava nel suo articolo nell’editoriale di questo numero a giochi ormai fatti dalla castam con l’intento di aprire un confronto che consenta a noi stessi e a chi ci legge di articolare l’analisi e di meglio comprendere ed affrontare i problemi del vivere e dello scontro di classe. E qui veniamo all’aspetto più rilevante della questione.

Lasciamo che cento fiori fioriscano (Bǎihuā yùndòng)

La campagna dei cento fiori era il nome di un programma del Partito Comunista Cinese (PCC) che incoraggiava gli intellettuali cinesi a presentare idee, opinioni e suggerimenti diversi – pensate – persino critiche al partito e alle sue politiche. Venne lanciato da Mao Zedong nel maggio 1956 con lo slogan: “Che cento fiori sboccino, che cento scuole di
pensiero si contendano” per superare la stagnazione del dibattito e del progetto politico rivoluzionario.
Oggi l’anarchismo ha bisogno di riprendere a discutere e ad elaborare sul che fare, quale strategia adottare, come difendere gli interessi di lavoratrici e lavoratori, mentre il capitalismo e le nuove tecnologie cambiano il mondo. È necessario che il dibattito coinvolga non solo le sue diverse componenti, ma si estenda a tutte le forze che accettano di far parte di un nuovo Fronte Unico Rivoluzionario, ovvero quel patto di confronto e unità d’azione ipotizzato dagli anarchici nel loro Congresso del 1920 a Bologna, coinvolgendo tutti coloro che lottano per una società di liberi ed eguali, contro lo sfruttamento e la miseria, per l’uguaglianza di genere e di condizioni sociali.
Che si riprenda a dialogare tra di noi e con altri, pur se da posizioni diverse, è un fatto positivo; adottare questa strategia e queste pratiche è necessario ed urgente. Un primo passo nella giusta direzione.

Facciamo si che cento fori fioriscano, l’insieme dei colori sarà bellissimo!

Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia