Piazze buone e piazze cattive?

Mentre i carri armati presidiano le piazze del paese e l’esercito formato e armato dagli statunitensi cerca di separare i contendenti due piazze si confrontano in Egitto. Da una parte una opposizione composita che va dai partiti laici ai salafiti, che occupa piazza Tahrir e, dopo un anno di crisi e fallimenti del Governo di Mohamed Morsi, ne ha ottenuto la deposizione da parte dell’esercito; dall’altro i Fratelli Mussulmani che hanno eletto questo presidente e vinto le elezioni che denunciano il colpo di stato e chiedono il ripristino della legalità democratica.
Siamo di fronte a due schieramenti contrapposti, ad un paese spaccato in due già dalle elezioni del presidente deposto.
In questo scenario l’Occidente e le diplomazie internazionali anche se non nascondono una certa simpatia per le opposizioni non possono sottacere il fatto che Mohamed Morsi sia stato democraticamente eletto. Per uscire dall’impasse alcuni commentatori sono giunti al punto di parlare di un golpe non golpe, arrivando ad affermare che quando la piazza si impone pacificamente allora è lecito deporre un presidente eletto, inaugurando una inedita “democrazia e legittimità della piazza” che introduce il concetto delle piazze buone e di quelle cattive. Del resto è il ruolo delle masse in tutto ciò che sta avvenendo nel mondo araboislamico ad imporre questo passo .e ciò può funzionare fino a quando non esplode la violenza, come invece sta avvenendo ora in Egitto.

Le ragioni strutturali della crisi

Nel momento nel quale scriviamo non siamo in grado di prevedere quali saranno gli sbocchi della crisi, ma riteniamo utile fornire qualche elemento di analisi strutturale che ci sembra più utile per formarsi una opinione sulle vicende che coinvolgono l’Egitto, nella consapevolezza che questo paese, di gran lunga il più popoloso tra quelli arabo-islamici, svolge un ruolo strategico essenziale anche grazie al controllo che detiene
del canale di Suez.
Le ragioni della crisi hanno radici lontane e, come ovunque, dipendono anche dalla situazione internazionale che per l’Egitto sono rappresentate soprattutto dalla crisi delle rimesse degli emigrati e dal crollo del turismo. Ma in Egitto, allo stesso modo di quanto avviene in ogni paese, vi sono delle cause specifiche che vanno ricercate nella politica economica e sociale adottata dai Fratelli Mussulmani e su questi aspetti ci soffermeremo.
Il loro successo politico si spiega considerando che questo partito-movimento ha avuto una evoluzione assai complessa. Nato nel 1928 il movimento dei Fratelli Mussulmani si proponeva di superare la crisi seguita alla fine dell’impero ottomano con il ritorno a un Islam rinnovato nelle sue istituzioni, ma fedele ai suoi principi. Il partito si oppone alla occidentalizzazione e secolarizzazione delle società mussulmane promossa dai
protettorati dei paesi occidentali, attraverso un ritorno al rispetto del Corano e il contrasto delle visioni “dolci” dell’Islam, come quella Sufi.
Dopo una fase durante i governi di Nasser e Sadat, durante la quale prevale l’ala terrorista, tanto che saranno proprio i Fratelli Mussulmani ad assassinare Sadat, con conseguente feroce repressione, durante i cinquanta anni del governo Mubarak si assiste a un mutamento di strategia. I Fratelli Mussulmani decidono di privilegiare la crescita dell’organizzazione del movimento e di curare prioritariamente il suo radicamento e la sua diffusione nella società egiziana e nei paesi arabo-islamici. Il movimento-partito si è impegnato nel settore dell’insegnamento, in quello della sanità e delle attività sociali. L’organizzazione di incontri spirituali e di preghiera è l’occasione per sottolineare che l’Islam è autosufficiente nella sua visione della società futura, in
quanto possiede una visione solidaristica della società e ha rielaborato strumenti giuridici come i Waqf per gestire i frutti della pietà dei fedeli e, in una visione assolutamente liberista della società, è pronto ad affidare a queste istituzioni la gestione dei servizi sociali. I proventi della zakat sono lo strumento attraverso in quale intervenire per promuovere opere pubbliche e investimenti. Di conseguenza intorno alle moschee e ai centri di preghiera controllati dai Fratelli Mussulmani cresce negli ultimi cinquanta anni una vasta struttura di assistenza che sostiene economicamente i fedeli, attraverso forme di attività economiche e strutture assistenziali che vorrebbero essere alternativi al ruolo sociale dello Stato, sostenuto dalle forze filo occidentali. Del resto si pensa che basti poco ,visto che il popolo dei credenti è chiamato alla jihad, avendo come speranza suprema il martirio, la morte sulla via tracciata da Dio, sotto la guida dell’insegnamento del Profeta e della legge scritta nel Corano. L’elemento politico centrale di riferimento è la Umma e dunque c’è spazio per la lotta contro 11 milioni di copti, molti dei quali poveri e diseredati, la cui funzione deve essere comunque servente verso il popolo dei credenti.
Da qui nel dicembre 2012, con un colpo di mano, la riforma in senso islamista della Costituzione – che conferma la Shari’a come legge civile, reintroduce il chador per promuovere l’immagine femminile tradizionale invece della promessa valorizzazione della donna contenuta nel programma elettorale del movimento -, registra un sostanziale arretramento nell’apertura ai costumi occidentali, improponibile a una
parte consistente della società egiziana che vede nei rapporti con l’occidente le possibilità di sviluppo economico, impone per legge istituti giuridici islamici in campo sociale.
Conquistato il potere Morsi accelera i tempi e crede di poter procedere senza gradualismo, avviando con una serie di “strappi” l’islamizzazione del paese a livello sociale ed economico: si crede forte del potere conquistato negli ultimi anni di opposizione con la creazione di una solida e lubrificata organizzazione a livello sia sindacale che di partito e non comprende che paradossalmente, l’Egitto è il paese tra quelli arabi nel quale queste linee di attuazione del proprio programma trovano maggiori difficoltà a radicarsi e questo non solo per le dimensioni demografiche, ma anche per il carattere relativamente sviluppato e occidentalizzato della sua economia e per il fatto che essa gravita sul turismo, che mal sopporta le restrizioni a livello eticocomportamentale.
Inoltre molta parte dell’economia ruota sulle attività che si svolgono intorno al Canale e al grande deposito-smistamento di container di Alessandria. La crisi economica globale ha messo in crisi sia il manifatturiero sia le piccole industrie e l’agricoltura sulle quali invece avevano puntato i Fratelli Mussulmani con le loro organizzazioni di massa. La concorrenza economica turca si è fatta spietata e invade anche il mercato domestico e quelli, già poveri, legati all’Egitto in nome del comune panarabismo.
A fronte di questa crisi la risposta del blocco borghese non si è fatta attendere e attualmente il paese appare spaccato in due tra la componente che abbiamo appena descritto e una galassia di forze di opposizione filo borghesi e neoliberali, ai quali si uniscono a tratti i salafiti del partito El Nour che in realtà ambiscono, da posizione estremiste, a prendere la guida del fronte mussulmano. In mezzo l’esercito addestrato in USA e da questi lautamente finanziato che cerca di farsi garante dell’equilibrio tra le forze in campo. Il milione e mezzo di dollari versato dagli americani ogni anno resta all’interno del compound militare che di fatto costituisce un circuito separato che si auto alimenta e non distribuisce reddito al di fuori di chi ne fa parte.

Gli errori di Morsi

Un regime economico alternativo o comunque anomalo, come quello vagheggiato dai Fratelli Mussulmani non si improvvisa e soprattutto ha bisogno di tempi lunghi per andare a regime. L’indubbio successo economico delle banche islamiche (che attuano le loro teorizzazioni) nel ciclo economico precedente alla crisi non regge nel mercato globalizzato dei capitali e in una situazione di forte speculazione sui titoli e sulle monete, se non accettando, come molte di esse hanno fatto, di entrare nel gioco alla pari, speculando contro ogni prescrizione religiosa islamica. L’islam infatti equipara il profitto dovuto al mero passaggio del tempo all’usura, ma il mercato globale gioca di questi scherzi!
Altrettanto dicasi delle esigenze di uno Stato moderno che deve far fronte alla presenza di una fascia enorme di popolazione diseredata che ha bisogno d’interventi immediati e di istituti di protezione sociale, che non possono dipendere dalle intenzioni caritatevoli o da un sistema di protezione arretrato e mortificato da anni di ostacoli e boicottaggi da parte del potere, come è avvenuto per istituti tipicamente islamici proposti dai Fratelli Mussulmani come la Zakat o gli stessi Waqf. Eppure era questa “linea economica” che aveva procurato ai Fratelli Mussulmani la simpatia degli Stati Uniti, aveva fortemente contribuito a guadagnare loro l’appoggio incondizionato dell’Ambasciatrice USA al Cairo Anne Patterson.
Si dirà che in alcuni casi, come è avvenuto per Hamas nella striscia di Gaza, queste strutture di economia alternativa hanno garantito e assicurano la tenuta del potere ai Fratelli Mussulmani, ma stiamo parlando di un microcosmo che vive in una situazione eccezionale di tensione politica, una situazione sociale che non è paragonabile nemmeno lontanamente all’Egitto, nella quale gli aiuti internazionali fungono da
sostegno a strutture produttive non proprio efficienti.
L’Egitto invece, nell’ultimo anno ha potuto contare sull’aiuto economico del Qatar, molto interessato a tutte le attività che ruotano intorno al Canale al fine di acquisirne il controllo e poterne fare un’arma di pressione verso l’occidente, oltre che una buona occasione di profitto. Il risultato di questo interesse è l’impoverimento di quei ceti le cui attività sono state sempre legate a questa risorsa. Del resto l’Emirato, pur essendo alleato sul fronte del sunnitismo combattente è il concorrente diretto dell’Egitto nella leadership di questa componente.
La tendenza dei Fratelli Mussulmani a sostenere l’internazionalizzazione del confronto all’interno del mondo islamico, la loro decisione di alimentare il fronte internazionale sunnita in funzione anti sciita e contro i loro alleati siriani, chiedendo all’esercito egiziano di intervenire nel conflitto siriano, il sostegno all’attacco ai paesi di antica tradizione Sufi come il Mali, il voler intervenire negli altri paesi del Nord Africa, primi tra tutti Tunisia e Libia, a fare da contraltare alla politica di penetrazione di Erdogan, hanno fatto il resto. In buona sostanza un atteggiamento velleitario finalizzato a rivendicare la guida del fronte sunnita nel conflitto intra islamico ha minato profondamente la forza dei Fratelli Mussulmani in Egitto.
Sarà un caso, ma la crisi egiziana esplode all’indomani di quella istituzionale del Qatar che ha portato alle dimissioni dell’Emiro, a fronte del venir meno della redditività di alcune operazioni come quella libica e delle forti difficoltà riscontrate in Egitto, prova ne sia che uno dei principali obiettivi dei rivoltosi di piazza Tahrir è stata Al Iazeera di proprietà dell’Emiro del Qatar, che, pur essendo un alleato dei Fratelli Mussulmani
nella politica di sostegno al sunnitismo, compete con essi alla guida e controllo del movimento.

Internazionale islamica, guerra santa e nuovi califfati

La complicazione crescente del quadro internazionale vede oggi in crisi tutte le diverse componenti dell’islamismo non solo perché dilaniate da lotte intestine, ma perché oggetto di un attacco mirato dei paesi occidentali che non sono disposti a perdere posizioni di vantaggio sui diversi scacchieri internazionali.
E’ in crisi e scosso da forti lotte interne alla Turchia il progetto di Erdogan di ergersi a punto di riferimento per i paesi mussulmani impegnati in uno sforzo di modernizzazione di tipo occidentale e di essere punto di riferimento per l’Islam balcanico, malgrado che egli cerchi di salvaguardare i valori fondanti dell’Islam.
Sono in crisi i Fratelli Mussulmani, insieme concorrenti e tuttavia sostenitori di un Islam più tradizionale, più arabo, rispetto a quello turco. Sono sotto attacco i paesi della mezzaluna sciita sottoposti alla pressione dei sunniti che sognano il ripristino del Califfato e i siriani gioiscono delle difficoltà dei loro nemici, restituendo all’occidente tutte le loro critiche alla mancanza di democrazia in Siria. E’ in crisi il fronte fondamentalista del Qatar alleato dei Sauditi Wahabiti in tutte le sue componenti.
Il mondo arabo islamico appare scosso da profondi sussulti e si divincola alla ricerca di una strategia vincente, mentre la costruzione dei grandi corridoi di energia (gas e petrolio) da est ad ovest dell’Eurasia prepara il ridimensionamento della loro importanza energetica, mentre i mutamenti dei flussi del commercio ridimensionano l’importanza del trasporto marittimo tramite Suez, mentre le loro riserve di petrolio si vanno esaurendo. Intanto la loro capacità manifatturiera non riesce a decollare e
diminuiscono quindi le possibilità d’incidenza di questi paesi nello scacchiere mondiale. I governi si rivelano incapaci di sostenere le popolazioni nella produzione di reddito.
Gli americani agiscono in modo contraddittorio nell’incapacità di controllare quello che avviene e di fronte al pericolo di essere coinvolti ancora una volta nei paesi del medio oriente in un momento nel quale è troppo presto per sganciarsi definitivamente da ciò che accade in quest’area. Un ritiro, d’altra parte, equivarrebbe a lasciare spazio all’iniziativa cinese che ha già messo pesantemente le mani in Africa e economicamente sta subentrando nello sfruttamento delle risorse sia minerarie che di energia e di acquisizione della proprietà di suolo in Asia come in Africa.
Forse la crisi egiziana come quella dei paesi rivieraschi del Mediterraneo e del medio e estremo oriente non è altro che un segnale delle mutate ragioni di scambio, della trasformazione del commercio mondiale e del profondo mutamento nelle strategie di sfruttamento delle risorse energetiche. Con buona pace delle masse mussulmane diseredate e di quelle che aspirano a un futuro migliore e che hanno creduto nell’arrivo di una primavera nel mondo arabo, insieme a coloro che in occidente ci hanno creduto.
La via dell’autodeterminazione dei popoli ha bisogno di maggiore chiarezza rispetto ai caratteri strutturali della società e al fatto che le soluzioni religiose ai problemi sociali hanno da tempo mostrato la loro inconsistenza.

Gianni Cimbalo