OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n. 22, giugno 2013

Congiuntura – Sei anni di crisi hanno lasciato il segno, ma non ovunque. Il panorama del mondo ha cambiato aspetto e se la mutazione era iniziata ben prima gli ultimi anni hanno accelerato e reso macroscopico il fenomeno. Il Sole 24 ore del 7 giugno 2013 (a. 149, n° 153, pp.1-2) riporta dati aggregati dal 1990 al 2013 che inducono alcune riflessioni che vanno al di là della loro presentazione nel giornale. Prima di tutto vediamoli questi dati. Dal 2007 al primo trimestre del 2013 l’indice manifatturiero dell’Italia è sceso di oltre il 10%; il paese è in buona compagnia: la Spagna è calata di circa il 20% e la Francia di quasi il 9%. Solo la Germania ha visto aumentare il proprio potenziale industriale (indice della produzione manifatturiera diviso il grado di utilizzazione degli impianti) di poco più del 5%. Ma sulla Germania e sul suo presunto benessere torneremo, per dimostrare che se lo sguardo retrospettivo la salva il futuro si sta offuscando. L’indice di produzione manifatturiera mondiale nel 2013 è tornato ai livelli del 1990, dopo essere aumentato fino al 20% a metà del prime decennio del nuovo millennio; ma il fatto che la produzione sia regredita durante questa crisi ai livelli di oltre due decenni fa non significa che tutto sia tornato come prima: la distribuzione fra le nazioni è fortemente mutata. La tabella sottoriportata è estremamente significativa.

Quota % (dollari correnti) media Tasso % di crescita $ 2005
1991-1992   2001-2002   2011-2012 1990-2012     2000-2012
Cina 4,1 9,7 21,4 12,4 11,7
Stati Uniti 21,8 24,7 15,4 2,4 0,8
Giappone 19,4 13,4 9,6 -0,4 -0,7
Germania 9,2 6,9 6,1 1,7 1,8
Corea del Sud 2,4 3,1 4,1 7,7 7,2
India 1,2 1,9 3,3 7,5 8,6
Italia 5,5 4,4 3,1 -0,7 -2,5
Brasile 2,1 1,7 2,9 2,2 2,8
Francia 5,0 4,1 2,9 -0,1 -1,1
Russia 0,2 0,8 2,3 3,8
Mondo 2,8 2,7
EU15 + USA + GIAPPONE 73,3 64,9 45,5 1,0 0,1
BRIC* 7,6 14,1 29,9 8,0 9,7
Nuovi UE 1,1 1,6 2,4 4,6 6,0

* Brasile, Russia, India, Cina

Lo spostamento da paesi di vecchia industrializzazione verso i paesi emergenti è più che evidente. L’Italia continua a precedere la Francia che non se la cava certo meglio, anche se il suo prestigio dentro la comunità europea continua ad essere immeritatamente notevole. Gli Stati Uniti, nonostante la massiccia iniezione di nuova valuta, marcano il passo e sono pericolosamente vicini e regredire nelle quote mondiali. Solo il modello tedesco sembra, tra tanti ciechi, mantenere un po’, poca, di vista. L’andamento del Pil nel primo trimestre sembra confermarlo. Cipro cala dell’ 1,3%; Spagna ed Italia dello 0,5%; il Portogallo dello 0,8%; l’Eurozona come la Francia arretra dello 0,4%; l’Unione Europea dei 27 arretra dello 0,2%; come Olanda e Finlandia;
l’Austria resta stabile; il Belgio e la Germina crescono di un misero 0,2%; la Danimarca cresce dello 0,4; il Regno Unito dello 0,6%; la Svezia dell’1,2%. Ma questa è la produzione, il fronte dell’export racconta altre cose. Vediamo l’andamento dell’export dal 1995 al 2008 ( e certo negli ultimi cinque anni la situazione non è migliorata). La tabella riporta la quota percentuale dell’export dei vari paesi sul totale dell’export mondiale.

Paese 1995 2008 differenza
Cina 3,9 16,5 +12,6
Germania 13,3 11,8 -1,5
Stati Uniti 12,9 9,9 -3,0
Giappone 13,8 8,1 -5,7
Italia 5,4 4,2 -1,2
Francia 5,4 3,8 -1,6
Regno Unito 5,8 3,5 -2,3
Corea del Sud 3,0 3,4 +0,4
Canada 3,5 2,4 -1,1
Spagna 2,1 2,1

L’Italia ha ceduto il passo, ma meno di altri paesi, se si eccettua la Spagna la cui situazione è decisamente peggiorata rispetto al 2008. Francia, Regno Unito e Stati Uniti cedono quote di export maggiori, questi ultimi più del doppio dell’Italia, tant’è che quest’ultima fa un sorpasso in retromarcia divenendo il quinto paese esportatore al mondo. Il Giappone è in pieno tracollo, mentre ora il mercato mondiale è dominato dalla Cina. Anche la decantato locomotiva tedesca perde l’1,5% della sua quota di export, ancora una volta più dell’Italia. Allora come si spiega che tutt’ora il Pil di Germania e Regno Unito è positivo, contrariamente a quello nostrano. È del tutto evidente che quello che mina di più l’economia italiana è la caduta verticale del mercato
interno, come tutti i giorni i dati delle vendite si prendono carico di certificare. Il FMI si è accorto che la politica di austerità imposta alla Grecia è “forse” stata eccessiva, si direbbe abbastanza in ritardo. Chissà se il professore bocconiano, supertecnico, grande luminare dell’economia, senatore a vita per meriti incerti, è in grado di fare, seppure in ritardo, la stessa riflessione!
Banche – Nel capire le cause della profondità della crisi italiana non bisogna dimenticare il ruolo delle banche nostrane, quelle con i ricarichi sui propri correntisti più alti del mondo. Anche sui tassi di interesse le cose non sono diverse, ma con un aggravante. Partiti allineati con gli altri paesi europei nel 2009 (Il Sole 24 ore del 7 giugno 2013, a. 149, n° 153, p.10), i tassi di interesse praticati dalla banche italiane sono scesi in armonia con tutti gli altri fino a metà del 2010; poi, sempre all’unisono con gli altri sono risaliti leggermente fino alla metà dell’anno successivo. Poi l’anomalia: mentre gli altri paesi conoscevano un nuovo repentino calo, in sintonia con il taglio del tasso di sconto della BCE, quelli di Spagna ed Italia impennavano per raggiungere ingiustificatamente i livelli da cui erano partiti quattro anni fa e nel primo trimestre del 2013 quelli Italiani superavano quelli della Spagna. Certo, un buon modo per
rilanciare l’economia e l’intrapresa.

chiuso il 7 giugno 2013
saverio